Recensione film “Sembra mio figlio” per la regia di Costanza Quatriglio
Vita da profogo tra dolori e speranza
Divisa in due parti, Europa e Asia, è la ricostruzione, scabra e insieme evocativa, della storia vera di un rifugiato, uno dei ragazzini del doc “Il mondo addosso” (2005). Dalla nuova vita a Trieste, il 30enne Ismail riprende contatto a Kabul con la madre, perduta da bambino nella fuga dai talebani col fratello. Nei titoli di coda si ricordano le stragi degli hazara afgani, che da maggioranza etnica è diventata piccola minoranza sparsa nel mondo. Già il volto di Ismail (il poeta Basir Ahang), amato e interrogato dalla cinepresa in una scelta quasi esclusiva di primi piani e rari scorci sociali netti, è una trama materica di sofferenze di diaspora nella sensibilità dei nostri giorni. Concentrato il dialogo con la madre e il conflitto col fratello in flebili telefonate, il film si apre poi al “ritorno” tra deportazioni e omicidi di massa con un colpo di cinema (da una discoteca a un rito religioso) e un finale emblematico. E’ però l’intero progetto a funzionare, un aspro frutto di finzione generato da un poderoso albero di documentazione. Quattriglio è tra i migliori cineasti italiani.
Silvio Danese
Titolo originale: Sembra mio figlio
Nazione: Italia, Belgio, Croazia, Iran
Anno: 2018
Genere: Drammatico
Durata: 103′
Regia: Costanza Quatriglio
Cast: Tihana Lazovic, Basir Ahnang, Dawood Yousefi