di Serenella Menichetti
“Ciao Sarona “ la salutò Emma, portandosi la mano davanti alla bocca per nascondere uno sbadiglio.
Lei era già seduta sul sedile grigio del vagone. “Ciao ti telefono appena arrivo e grazie di esser venuta “ rispose. “Ma adesso vai a dormire.”
Il treno partì con un sospiro.
Sara era sola in quel vagone, ai suoi piedi gonfi, due gonfie assurde valigie, rosa.
Le avrebbe dovute mettere sul portapacchi, ma erano talmente pesanti !
Tutto era pesante. Lei in primis. Passò in rassegna tutte le cose pesanti: sicuramente la sua vita, il suo lavoro e adesso quelle valigie, che sembravano il suo prolungamento o forse è meglio dire il suo allargamento.
Le guardò accorgendosi che erano simili alle sue due grosse pesanti tette e le odiò. Così come odiava ogni parte del suo corpo. Certo le valigie avrebbe potuto sceglierle di un colore più scuro, magari blu.
Pensò a ciò che contenevano e si calmò.
Basta, non ce la faceva proprio più….si impose di pensare a cose più leggere che le regalassero un po’ di quella felicità che non riusciva mai ad assaporare.
Sette ore di viaggio, in quel vagone… Quelle non le pesavano, era abituata a ben altro.
In quelle sette ore, avrebbe riposato. Si sarebbe concessa anche una dormitina con tanto di sogno colorato ( ci sperava) e poi avrebbe pensato….alla nuova vita che l’aspettava. Un’incognita.
Pensò al ruolo a cui aveva rinunciato, volontariamente.
Un ruolo che le apparteneva ma al quale si era subito sottratta.
Se lo era strappato di dosso il primo giorno, come un vestito che non le apparteneva. Abbandonandolo e cedendolo a sua madre.
Chissà se adesso che sua madre non era più in grado di indossarlo l’avrebbe potuto rimettere.
Quel vagone era interamente occupato da lei e dalle sue valigie.
Fortunatamente i passeggeri su quel treno non erano molti. Se non fosse entrato nessuno, avrebbe potuto mettersi più comoda. Magari con le gambe allineate al corpo, sopra il sedile.
Come le pesavano quella gambe.
Il treno aveva preso un’andatura costante, camminava sulle rotaie con il suo carico umano, andando avanti tranquillamente nel suo percorso, con l’intento di trasportare ogni persona alla propria destinazione.
E lei si sarebbe lasciata trasportare, così era stato deciso. Era giunto il momento di raggiungere la propria destinazione.
Le piaceva raccontarsi la bugia di essere ormai, una normale banale pensionata che tornava a casa. “Che grande cavolata,” pensò.
Gli occhi le si chiusero al ritmare del treno.
Da li a poco si ritrovò nella dimensione della non coscienza.
Dove l’ansia e le tensioni a volte si appianano fino a diventare sogno è allora che tutto sembra più accettabile.
La stanza aveva ancora i mattoni rossi lucidati a cera, al centro la grande tavola di marmo. Il camino nell’angolo era acceso, davanti al fuoco
sul panchetto impagliato, una minuscola figura sedeva, imbacuccata in uno scialle grigio, aspettando in silenzio il fluire lento dei giorni.
Solo dagli occhi neri e profondi si capiva che non era un pezzo dell’arredamento, ma che faceva parte degli esseri viventi.
Quegli occhi in cui scorrevano grandi emozioni, avevano accompagnato Sara, per molti anni.
“Vieni Sara ti ho preparato il pane con la panna del latte, ho messo anche un po’ di zucchero, svelta mangialo, veloce, prima che arrivi la mamma.”
La nonna la viziava, fra loro esisteva un legame fortissimo.
Erano accomunate dal dolore di non essere comprese dalla stessa persona: la nonna dalla figlia, la nipote dalla mamma.
Sara afferrò quella leccornia con la mano grassoccia e mentre cercava di portarla alla bocca per gustarla, giunse la madre, appena in tempo per impedirglielo. Come una furia le tolse la fetta di pane dalla mano, scaraventandola nel bidone dell’immondizia.
Poi guardò mamma e figlia con uno sguardo pieno di odio e disse “Sara non deve mangiare questa porcheria!”
Che era come se avesse detto “ Sara è grassa troppo grassa, terribilmente grassa”
La nonna non parlò, ma dai suoi occhi uscirono lampi di rabbia e di dolore, verso la figlia. Poi quegli occhi guardarono Sara e lei si sentì investita da un soffio di grande amore e comprensione. Ma questo non poteva bastare.
Sara si rifugiò nella sua cameretta e si sdraiò sul letto dove come al solito si addormentò.
Dormiva così bene in quel letto morbido…..si sentiva leggera, la testa riposava. Il mondo ovattato in cui era scivolata le succhiava i cattivi pensieri, le scioglieva i nodi più stretti, la ristorava.
“Cazzo, questa pensa di essere la padrona del vagone”!
“ Senti come russa…ah,ah,ah, sembra una macchina a vapore” !
I due ragazzi si sedettero davanti a Sara.
Dopo le battute iniziali e il tentativo fallito di svegliarla si misero a leggere.
Sara continuava a dormire beata…
Aveva appena terminato di danzare. Era l’etoile e prima ballerina della scala e, si stava godendo il delizioso suono dello scrosciare degli applausi. Quando in platea scorse la figura di Nando che rivolto verso gli spettatori pose termine a quell’effluvio dicendo: “Ma che ballerina del cavolo! Vi siete presi un grosso abbaglio! Quella non è la stella danzante, ma non la vedete ? Guardate bene è la Sarona, grassa e maialona !”gli applausi cessarono e tutti si misero a ridere e a schernirla ripetendo a mo’ di cantilena “ Sarona grassa e maialona/ Sarona grassa e maialona”
Lei, rabbrividì e si alzò per sfuggire al suo uomo e aguzzino che certamente era venuto a riprenderla.
“ A grassò ma siediti un lo vedi stai a cascà” disse una voce meno bestiale, di quella di Nando. Poi si sentì sorreggere da due braccia, che la fecero sedere.
Sbalordita si rese conto di essere ancora in treno. Davanti a lei due ragazzi di circa diciassette anni la guardavano.
Quando si riprese, chiese loro quanto tempo mancava per arrivare al paese.
“Poco”, rispose il ragazzo biondo, “una mezz’ora. Scendiamo anche noi lì. Possiamo aiutarla nel trasporto di quelle due grosse boe.” “Ma che ci sarà mai dentro!” chiese il più scuro
Sarona lo guardò e gli sorrise. Il ragazzo si accorse che quando sorrideva era bella, aveva un sorriso dolce che le faceva venire sulle guance burrose due simpatiche fossette, e gli occhi grigi che si riempivano di pagliuzze argentate.
“Sono due valigie piene di regali, tanti. Sono i doni di diciassette compleanni e diciassette Natali. Acquistati ma non recapitati.
Che poi sono scivolati nella voragine scavata dal tempo.
Eppure ogni regalo è stato acquistato con l’amore di essere donato.
Ma in realtà non lo è mai stato. Forse per paura, per vigliaccheria, per egoismo. Adesso sono tutti lì ammucchiati dentro le valigie. Spero tanto che l’affetto con cui sono stati comprati, gli sia rimasto dentro.
I ragazzi si guardarono senza capire, non risero, ne’ chiesero spiegazioni.
Il treno si fermò i tre erano arrivati.
I giovani si misero lo zaino a spalle, poi presero una valigiona rosa ciascuno, il biondino chiese “dove dobbiamo accompagnarla signora ?” Mentre il ragazzo più scuro aspettava silenzioso e assorto, lei rispose “ Devo andare in Via Dante al n° 15”
Il ragazzo scuro annuì con il capo e si avviò, il biondino lo seguì e la donna li seguì a sua volta.
Quel terzetto silenzioso assomigliava al mini corteo di un funerale.
“Magari fosse stato il mio ! ” pensò Sara. Avrebbe tanto voluto seppellire quello che era stata e amen.
A un certo punto, circa a metà strada il ragazzo scuro si fermò, tornò indietro fino ad affiancarla.
Fu allora che cercò la sua mano morbida, per stringerla dentro la sua asciutta e fredda. Poi guardandola negli occhi le disse “ Vieni, siamo quasi arrivati a casa, la nonna ti sta aspettando.
Fu allora che Sara iniziò il primo passo verso la propria rinascita.
Serenella Menichetti
Un bel racconto sulla dualità sogno e realtà, entità che si alternano e si sovrappongono in un gioco crudele. Qui immagini di sogni infranti si ricreano con l’aiuto del sonno e lo scorrere di una vita non facile si ripropone, traumatico, ad ogni risveglio.
Personaggi-chiave, forse artefici di una tale esistenza, diventano quelle figure diafane che appaiono durante le parentesi oniriche (la madre inflessibile e apprensiva, il Nando che infrange un sogno impossibile) e, dopo avere inciso l’animo, subito scompaiono per lasciare il campo a una realtà ancor più dura e a un futuro già segnato.
Unico personaggio positivo, unico tocco rosa, “la nonna” con la sua dolcezza e tolleranza. Ma anch’essa scompare fagocitata da un domani incerto, anche se l’Autrice spera in una possibile rinascita “familiare”.
Complimenti.
Enzo Maria Lombardo