A cura di Frank Iodice
Possedere dei personaggi o essere imprigionati dall’immenso IO della propria persona?
Follia o ragione?
R. G.
Il Premio Goncourt 1975 è assegnato a Émile Ajar, per il romanzo intitolato La vie devant soi. La critica sembra sorvolare sul fatto che Ajar sia uno sconosciuto, anzi, che non sia neanche un uomo fisico. Émile Ajar… la stampa ha di lui soltanto una vecchia fotografia; è un selvaggio che sfugge ogni contatto, apparentemente nessuno l’ha mai visto di persona. Il libro venderà più di un milione di copie. Ajar, un uomo che non esiste, diventa autore simbolo del suo tempo, con i suoi romanzi resterà per sette anni in cima alle classifiche di vendita. Ma Émile Ajar è in realtà Romain Gary, il quale ha inventato un’opera e il suo autore creando uno dei più grandi fantasmi dell’umanità. La più grande mistificazione letteraria della storia.
Tutto incomincia con una falsa pista, per sviare l’attenzione: accanto al primo libro di Ajar appare un altro romanzo, di un nuovo autore, un giallo scritto da un certo Shatan Bogat, nel 1974, un americano di origini turche che secondo l’editore vive in India, dove dirige una compagnia di pesca. Due mesi più tardi, nella seconda edizione di questo romanzo, viene rivelata la vera identità dell’autore: Shatan Bogat non esiste, altri non è che Romain Gary. «Sfortunatamente,» dichiara Gary, «non ho potuto conservare lo pseudonimo perché l’editore ha messo un po’ troppo entusiasmo nel cercare le origini del signor Shatan Bogat e ha scoperto che avevo fatto un reportage per lo stesso giornale, ha riconosciuto lo stile ed è arrivato subito a me. È impossibile nascondere qualcosa ai media, impossibile imporre uno pseudonimo.» Il ladro si è fatto prendere con le mani nel sacco; Shatan Bogat è stato sacrificato per proteggere il cammino di Émile Ajar e della sua creatura, Gros Calin, la storia di un pitone.
La scelta dello pseudonimo per proteggersi dall’etichetta, da quell’immagine pubblica che pesa sulla testa dello scrittore come una spada di Damocle. «Hanno creato una faccia, un nome, il personaggio di Romain Gary, la critica, la gente, di cui io ero prigioniero. Ogni volta che rileggo un mio libro, mi sento addosso sempre gli stessi giudizi sull’uomo che c’è dietro, e quest’uomo che c’è dietro io non lo riconosco, mi è completamente estraneo.» Romain Gary, un uomo solo negli anni Settanta, un uomo che vuole rinascere. «Ho creato uno pseudonimo perché credo che capiti a ognuno di noi a un certo punto di desiderare di cambiare pelle, ritornare un esordiente, ricominciare in una nuova direzione ritrovando una certa verginità.» Essere uno sconosciuto che suscita una curiosità del tutto nuova, del quale non si è mai letto nulla, e che racconta una nuova avventura.
Gros Calin. Col suo testo Ajar ha le stesse chance dell’autore debuttante, che spedisce il manoscritto per posta, come in una bottiglia gettata in mare… Come introdurre un pitone di due metri e venti, di padre sconosciuto, nel torbido giardino dell’editoria parigina? Bisogna innanzitutto convincere un editore. Robert Gallimard avrebbe ricevuto la visita di un intermediario che viene dal Brasile, dove avrebbe incontrato Émile Ajar, il quale gli avrebbe affidato il manoscritto. Dopo essere passato nelle mani del comitato di lettura, si decide di pubblicarlo. Il testo è singolare, esiste, sarebbe un peccato perderlo. Lo si affida a una filiale, un editore più piccolo ma prestigioso, Le Mercure, che ha già pubblicato autori dello spessore di Reverdy e Michaux; presso questa piccola casa editrice Gros Calin avrà tutto il tempo di crescere. Simone Gallimard, la proprietaria, sarà una madre premurosa, segretamente entusiasta e sempre positiva. Il direttore letterario ordina un taglio di cinquanta pagine prima di pubblicarlo. Per correggere le bozze bisogna attraversare l’oceano, andare a Rio, dove Ajar, ex studente di Medicina perseguitato in Francia, vivrebbe al sicuro dalle minacce anonime. Al corrente della farsa, Gallimard ne approfitta per restare un po’ in Brasile e godersi la bella vita al sole.
In realtà, le bozze non hanno mai lasciato Parigi. A poche centinaia di metri dalla casa editrice, nella rue du Bac, una mano tranquilla apporta le ultime modifiche a questa strana storia, quella di una solitudine a Parigi e della ricerca di tenerezza in una stretta che Michel Cousin, umile eroe del libro, vive ogni sera col suo pitone. Rimanere sconosciuto agli occhi del proprio editore, è la prima prova di forza.
Roger Grenier afferma: «In tutto il gruppo Gallimard, una sola persona conosceva il segreto, questa era Robert Gallimard. E Robert Gallimard era una tomba.» Robert Gallimard è il cugino di Claude, marito di Simone che dirige la Mercure; è l’amico e il consigliere di Romain Gary, che gli ha rivelato tutto. «La cosa straordinaria è che né Simone Gallimard né il direttore letterario Michel Cournot ne erano al corrente.»
L’avventura può cominciare. Un libro senza etichetta, senza il viso dell’autore, si presenta ai media. Non si sa chi sia Ajar, si dice che sia un autore sconosciuto, alla sua prima pubblicazione, che ha inviato il manoscritto dall’America del Sud; ci si chiede perché non si mostri in pubblico, perché non esistano fotografie di questo Émile Ajar. Mistero completo! Il libro è angosciante ma allo stesso tempo divertente, ricorda la storia di un clown, come nei film di Charlie Chaplin.
È così che nasce Ajar, battezzato ufficialmente dalla stampa. Ma Romain non rinuncia alla sua opera; sarà due scrittori, due autori allo stesso tempo, alternando nello stesso giorno la scrittura di Gary la mattina e quella di Ajar il pomeriggio. Il vero Gary intraprende un percorso crepuscolare, noir. Il suo nuovo titolo, Au-delà de cette limite votre ticket n’est plus valable, storia di Jacques Rainier, industriale di sessant’anni, e Laura, una giovane brasiliana di vent’anni. Il loro coinvolgimento sentimentale si oppone alla paura, paura della fine dell’amore, paura dell’impotenza, e della fine della loro stessa vita. Una vita che, al contrario, è appena incominciata per Momo, l’arabo, il nuovo eroe di Ajar, che in una grotta incontra madame Rosa, la quale lo accoglie poco prima di morire. L’angoscia dei due romanzi è simile, ma vista da occhi diversi, quelli di un vecchio e quelli di un bambino.
La vie devant soi è, dunque, il secondo libro dello sconosciuto Ajar. La gente vuole un volto! Gary sceglie un suo giovane cugino, Paul Pavlowitch, appassionato di letteratura, che ha la faccia adatta per il ruolo di Émile Ajar. Tra Paul e Romain il rapporto è quasi filiale, dura da vent’anni. Si incontrano a Nice; Paul, infreddolito, ritrova una specie di zio dell’America, che gli regala vestiti nuovi, una pelliccia appena comprata in Polonia, regalo prestigioso quanto eccessivo. I presupposti per un’avventura surreale ci sono tutti. Romain si prende a carico la madre di Paul che è malata, dà loro un alloggio e paga gli studi del ragazzo, interi semestri negli Stati Uniti, che costano un occhio della testa. «Vecchio mio, ho bisogno di te. Puoi essere Émile Ajar, dare qualche intervista? Non durerà tanto…» Una storia senza precedenti. Paul sa che Romain ha delle idee impossibili e che probabilmente è capace di metterle in pratica. Bisogna costruire il personaggio, i suoi gesti, il suo ruolo… «Non hai bisogno di fare molto; dopotutto, la gente vede quello che vuole vedere!»
Il primo incontro si tiene con Michel Cournot, il direttore letterario della Mercure, fuori dal Paese, lontano dagli occhi indiscreti, in Svizzera. Ajar avrebbe lasciato Rio e sarebbe rientrato in Europa, a Ginevra. Pavlowitch racconta: «Partii per la Svizzera, con dei documenti falsi. Romain, che era un maniaco per i dettagli, mi aveva dato la sua patente internazionale e avevamo fatto delle copie. Era orgoglioso del suo lavoro, mi aveva detto di tirare fuori i documenti se me li avessero chiesti.» Perso nelle strade di Champel, Cournot vive un film di spionaggio, la clandestinità, l’appuntamento che si tiene nell’oscurità, presso una residenza per studenti, in un monolocale. Pavlowitch mette sulla scrivania un paio di copie dell’Herald Tribune. Cournot è teso, si spaventa pensando che si tratti di una pistola. Gli pone mille domande sullo stile, sui tempi verbali che giocano in un senso letterario particolare. Pavlowitch non sa come rispondere, il suo silenzio viene interpretato come un dissenso. Ma Romain gli ha dato qualche cartuccia di riserva! Due o tre “ajarismi” da tirar fuori al momento opportuno, delle frasi nello stile di Ajar da aggiungere a penna proprio sotto gli occhi di Cournot. Voilà, il gioco è fatto! Dopo essersi rilassati, Cournot gli domanda cos’ha in progetto e lui gli racconta la prima cosa che gli viene in mente: partire per la Danimarca. E proprio a Copenaghen, città liberale e tollerante, avranno luogo d’ora in avanti gli incontri con Ajar.
Simone Gallimard, dopo diciotto mesi di impazienza, incontra finalmente il suo autore. «Simone vuole vederti, è molto importante. La signora Gallimard può aiutarti a risolvere i tuoi problemi con la giustizia; potrai parlargliene.» Gary è completamente immerso nella finzione letteraria, vive la finzione letteraria. Non è soltanto una messa in scena, è la logica propria del personaggio che ha creato. In una modesta casetta da funzionario, Ajar riceve Simone Gallimard, che con uno spirito da missionaria, porta a Copenaghen tre scatole piene di libri da autografare. Per lei è come incontrare un selvaggio, ai margini della società, salvato dalla letteratura. Quando scende dal taxi e urla “Émile Ajar!” non sa che si sta rivolgendo a qualcuno che non esiste. «Credo che sia un uomo impulsivo,» dichiara Simone Gallimard, «un uomo con delle idee proprie, che mette in pratica quando può, un uomo di cuore. Credo che sia una brava persona.»
«Ajar esiste, l’ho incontrato!» Ma la stampa vuole una controprova. Ivonne Baby, responsabile della pagina culturale de Le Monde, si aggiudica l’intervista esclusiva, e parte per il nord. A Copenaghen, Paul interpreta per la terza volta Émile Ajar. «Appena ha iniziato a parlare,» racconta Pavlowitch, «mi sono reso subito conto che era mille volte più colta di me! Tutto il nostro incontro si è mosso non sul piano della seduzione ma su un piano in cui la seduzione aveva luogo; ero giovane e lei una donna affascinante. Ne ero sicuramente colpito.» Anche Ivonne Baby è affascinata da Ajar, si tratta di un autore che incarna a pieno i suoi romanzi.
Bernard Pivot afferma: «Non possiamo immaginare miglior attore di Pavlowitch nel ruolo di Ajar. Anche la scelta di questo giovane cugino, è una scelta straordinaria. Era la persona perfetta per interpretare Ajar. Pavlowitch è Ajar!» In una pagina intera de Le Monde a cura di Ivonne Baby, intitolata Maison Ajar, Paul racconta la sua vita personale, come se fosse quella di Ajar, la giovinezza a Nice, la sua famiglia dell’Europa centrale, gli studi a Toulouse, cercando di non allontanarsi troppo dalla verità perché, mentendo, il racconto sarebbe stato meno naturale. Verità, menzogna… Come la menzogna di un uomo che interpreta due ruoli nello stesso tempo.
Gary, intanto, presenta così il suo ultimo libro: «Il mio personaggio è alla fine del suo percorso, ed è questo che rende ogni momento particolarmente profondo, particolarmente vivo. Ho scelto il declino sessuale di quest’uomo di sessant’anni, a confronto con la ragazza di ventuno, minacciati dalla fine, dalla morte che tira fuori l’acuità e la profondità di vibrazione di ogni secondo della loro vita.»
Mentre Ajar viene preso in considerazione per il premio Goncourt, Paul vive in un paesino tranquillo, circondato dal verde, senza il telefono; si sposa con Annie, ha una bambina, Anne. Ajar è stata soltanto una parentesi della sua vita? Ma a ottobre Ajar è già nei finalisti! La storia bussa alla porta…
Gary, alla vigilia del premio: «La ragione per la quale sono qui, io, romanziere, Romain Gary, creatore di personaggi, è perché c’è qui un personaggio, un romanziere creato da se stesso come un personaggio. Come un autore crea un’opera, lui è stato creato da se stesso, come Balzac creava i suoi personaggi, una creazione artistica prodigiosa!»
Il diciassette novembre 1975 è annunciato il vincitore: Émile Ajar col suo romanzo La vie devant soi… L’indomani telefonano a Gary e gli chiedono cosa ne pensi. «Non l’ho ancora letto,» risponde. «Gros calin mi è piaciuto, ma non credo che quest’autore continuerà a conservare a lungo il suo anonimato…» Robert Gallimard lo implora: «Devi confessare tutto! hai già vinto un Goncourt, è impossibile averlo due volte! Non oltrepassare i limiti!» Gary risponde: «Ajar vivrà, deve vivere, lui lo sa, mi gioco la pelle. E me ne frego dei limiti…» Secondo Pavlowitch, Gary tenta qualcosa di straordinario, di cui probabilmente non ha piena coscienza.
Il Goncourt, Gary lo vince diciannove anni prima, nel 1956, con Les racines du ciel, un libro dedicato al massacro degli elefanti, il primo romanzo ecologista. A quarantadue anni, è un autore francese alla sua quarta pubblicazione, uno scrittore di origini slave che vive in America. «È una gioia immensa sapere che un libro ha sollevato delle polemiche profonde, dei sentimenti di odio, dei sentimenti forti. È meraviglioso; la Francia è il miglior paese al mondo e naturalmente è il miglior paese al mondo per via degli slavi che ci vivono.» In California è console generale, rappresenta la Francia. A Los Angeles, quest’uomo con diverse vite, scrive un libro che tiene dentro da troppo tempo e davanti al quale ha sempre indietreggiato, un libro interamente dedicato alla sola donna della sua vita, sua madre, Mina. La promesse de l’aube. Un’autobiografia leggendaria, segnata anche dalla presenza dell’uomo che poteva essere suo padre naturale, il grande attore russo Ivan Mosjoukine. Con tutto l’amore materno, la vita ti fa all’alba una promessa che non manterrà mai, sarai obbligato a mangiare freddo per il resto dei tuoi giorni, e ogni volta che una donna ti prenderà tra le braccia e ti stringerà sul suo cuore saranno solo delle condoglianze.
Nice. L’ambientazione principale del libro, la sua prima terra quando è arrivato in Francia, la città della sua adolescenza, la città in cui le battaglie si svolgono con i fiori, quelli del carnevale, dei burattini e dei burattinai… Sua madre, Mina. Imperiosa. Riesce a gestire grazie al suo modo di fare, un hotel ristorante con cinque impiegati, l’hotel Mermonts, a tre minuti dal mare e dal marche de La Buffa, vicino al boulevard Gambetta. Nei tre ultimi piani dell’immobile, una pensione di 36 camere che accoglie una clientela perlopiù russa, spesso per diversi mesi. In un primo tempo, Romain ha la stanza più bella, lavora come receptionist e maître, ma tutti sanno che è destinato a partire, un grande avvenire lo attende, la via trionfale sulla sica di suo padre Ivan Mosjoukine. Un cammino pieno di luce per lasciarsi alle spalle un passato pieno di ombre.
«Sono nato nelle steppe della Russia centrale,» racconta Gary, «mia madre era una ebrea russa, mio padre era di origini russe tartare o non so cosa. In ogni caso, venivano davvero dalla steppa, la vera steppa russa…»
Vilna, nel cuore dei Paesi baltici. Gary non va a scuola, vive al n° 16 della grande Paul Anka, in un soppalco del teatro con sua madre, un’attrice col sogno della gloria, la quale per guadagnarsi da vivere fabbrica cappelli a cottimo. I clienti di Mina parlano diverse lingue, russo, polacco, slavo, yiddish. Intrappolata tra l’Europa e la Russia, Vilna in dieci anni sarà russa, lituana, poi polacca… Negli archivi di Vilna c’è una certezza storica, tradotta in La promesse de l’aube: Mina è la sposa di Arieh Leib Kacew, col quale ha un figlio di nome Romain. Il suo vero padre, dunque, è un soldato ebreo.
Tutti gli ebrei sospettati di complottare col nemico, sono deportati in Russia. Per Romain e Mina iniziano sei anni di esilio, dei quali non conosciamo nulla. Nel frattempo proseguono le strazianti rivolte, le battaglie, le fucilate nelle piazze di Mosca e San Pietroburgo. Sei anni della sua infanzia dei quali ha sempre conservato il mistero. Di ritorno a Vilna, nel 1921, a sette anni, Romain incontra suo padre, due sconosciuti, uno di fronte all’altro. Quattro anni più tardi, scoprirà anche che Arieh Kacew avrebbe lasciato Mina per una donna più giovane, con la quale avrebbe avuto due figli. Abbandonato, ferito, impotente, timido, colpevole, Romain vive la paura, la collera, la coerenza con il reale che lo obbliga ad ammettere che il sogno non era un vero sogno, era un brutto sogno. La realtà è il vero nemico, la potenza della lotta senza speranza durerà per tutta la vita. Per sopravvivere bisogna ristabilire la verità, la giustizia, e al reale sarà imposta la legge di Romain. Romain cruciale, forse, per la sua vocazione di scrittore. Mina e Romain lasciano Vilna, da sempre lei sogna di raggiungere la Francia, il Paese dei diritti dell’uomo. Il loro viaggio dura due anni, si fermano a Varsavia. Per la prima volta va a scuola; il piccolo ebreo si ritrova in un collegio polacco con i bambini degli ultracattolici; non immagina quello che lo aspetta, considerato il piccolo povero barbaro, umiliato, porterà per sempre dentro di sé quei personaggi della sua infanzia polacca.
La stazione di Nice. Finalmente, a quattordici anni, Romain assieme a Mina arriva nella terra promessa, il Paese della giustizia. Nel 1928, sono due immigrati senza soldi, nella città più xenofoba del sud, dove per sopravvivere Mina inventa mille espedienti, come la compravendita di oggetti d’antiquariato presso i palazzi dei ricchi signori. «Era terribile, sembrava che una donna russa con un bambino potesse essere soltanto una puttana!» dice Gary in un’intervista. Grazie ai lavori di sua madre, Romain frequenta il Lycée Masséna, prestigiosa scuola laica della Repubblica. Timido e taciturno, tenta di confondersi tra i francesi; e scopre un nuovo mondo, nascosto nei romanzi. Costretto a ricominciare tutto daccapo, in un nuovo Paese, poi il Paese successivo di adozione provvisoria, abbandoni su abbandoni, ogni volta perdendo il bagaglio che dovrà strutturarlo come uomo. Impossibile vivere tutto ciò senza diventare malinconico! Ma davanti a Mina, Romain non può concedersi debolezze; lui è l’uomo di casa, innumerevoli volte lei lo manda in strada a battersi per difendere il loro onore.
Romain non ama il suo viso, ma adora le ragazze, ha già un discreto successo. «Romuska, tu sei l’uomo più bello del mondo, sarai un Casanova, farai impazzire le donne. Sarai D’Annunzio, sarai ambasciatore!» gli dice Mina quando lo guarda. «Tutta la sua vita,» racconterà Gary, «era il riflesso della mia; tutto il suo carattere ero io, fino a 35 anni, lei era cristallizzata su di me, viveva una vita divisa in due; io rappresentavo una promessa, una promessa di trionfo, come diceva lei.» Il sogno incompiuto della ragazza sarà trasmesso a Romain, e lui lo sa. Lei gli darà la sua vita; agli occhi di sua madre sarà sempre un Dio. Tutte le sue ambizioni incompiute; tutto ciò che non può più ottenere, lo trasforma in un dovere per suo figlio; per tutta la vita Romain dovrà riuscire in imprese talvolta insuperabili. E deve fare in fretta, Mina è malata, fuma tre pacchetti di Gauloises al giorno, soffre di crisi ipoglicemie frequenti per via del diabete. Qualunque sia la ricompensa, i giorni sono contati. Il cammino della gloria? Ma quale? Non la musica, non la pittura, adesso è sicuro: la scrittura. Essere Tolstoy! Gli serve un nome, che non sia quello di suo padre. Lo trova assieme a Mina. Né Roland Campeador, né Alexandre Natal. Sarà Gary! [in russo: colui che brucia].
Nel 1934, a vent’anni, la partenza per Parigi, la prima grande separazione da Mina, l’inizio di una corsa contro l’orologio, investito di una missione, pronto a mantenere la sua promessa. Si iscrive alla Facoltà di Diritto di Saint Jacques, ottiene il diploma per la carriera diplomatica, un privilegio conteso da un pugno di giovani borghesi che lui non ascolta nemmeno! Nella stanza d’albergo in cui vive, Le Roland, Romain ha fame, scrive il suo primo romanzo e diversi racconti che devono dargli da vivere. «Scrissi come un ossessionato, sfogando tutta la rabbia dell’infanzia e dell’adolescenza, fino a ottenere una pubblicazione sulla rivista Gringoire.» Si tratta del racconto L’Orage, storia dallo sfondo erotico che termina con un suicidio.
Gary è naturalizzato francese, ma nessuno vuole pubblicare gli altri suoi scritti. Non può guadagnarsi da vivere, così si arruola per tre anni nell’aviazione, combatte con la Francia Libera nel gruppo bombardieri, è navigatore, colui che guida il pilota verso l’obiettivo. Alla fine del 1940 il suo gruppo è trasferito in Africa, dove rimane per due anni. Nel febbraio del ’41, gli assegnano missioni di protezione e di sorveglianza, si sente inutile lontano dai combattimenti. Lì riceve un telegramma da Nice: sua madre, a sessantun anni, è appena morta. Dopo quella notizia, Gary si fa trasferire nel gruppo dei cosiddetti avventurieri, una manciata di disperati che venivano spediti al fronte ogni volta che c’era da rischiare la vita; è considerato una testa calda, uno che non ha nulla da perdere. Il 1943, l’Inghilterra, il gruppo bombardieri Lorraine, la fratellanza. Del suo gruppo sopravvivono solo in pochi; ad ogni missione si perdono dei compagni. Nel Boston-4, il navigatore ha il posto più pericoloso, è chiuso in una gabbia di plexiglas, un sarcofago volante. Due bombardieri Boston partono per colpire il nord della Francia, l’Olanda, volano bassi per ingannare i radar; se l’aereo viene colpito è impossibile saltare col paracadute. Ferito al ventre, Gary prosegue la missione e lascia le bombe sull’obiettivo, è un eroe. Ma dov’è il reale per Gary? Dentro una gabbia di plexiglas o nei suoi testi, che continua a scrivere ogni notte, ostinatamente, fino all’alba? «Quello è stato realmente il grande exploit della mia vita, e non parlo soltanto da un punto di vista letterario. Non riesco a capire come abbia potuto fare quello che ho fatto. Dovevo essere veramente abitato da una sorta di rabbioso folle per lavorare così.»
Scrivendo Educazione europea, Gary vive in un altro mondo, in Polonia, a nord di Vilna, nel paese natale di sua madre. Due giovani orfani, Janek e Zosia, rinchiusi in una fossa nella foresta polacca, al fianco dei partigiani nel 1943, scoprono l’amore. E la crudeltà. Alla fine della storia, Yanek ha ricevuto la sua educazione europea, e uccide a sangue freddo un giovane soldato tedesco. Un romanzo che riassume in un soffio la poesia della natura, la stupidaggine umana e la forza onirica. A Parigi riceve il premio della critica. Il generale Charles De Gaulle lo nomina Compagno della Liberazione; gli offrono la nomina di scrittore della resistenza, ma la rifiuta. La sua vita è a Londra… accanto a una donna, Lesley Blanch. Lesley è una scrittrice, è pazza della Russia e soprattutto di una sovrana libertà. Lei è la quintessenza della civilizzazione britannica; il capitano trentenne è soggiogato da questa donna che ha dieci anni più di lui. Nel 1945 si sposano.
Nel 1946, Gary indossa lo smoking da diplomatico, non ha dimenticato la sua promessa. A trentadue anni è nominato segretario d’ambasciata a Sophia, in Bulgaria, Paese governato dalla nuova democrazia popolare del leader Dimitrov. Petikov, il leader dell’opposizione, diventa amico intimo di Gary, il quale cena addirittura assieme a Dimitrov, l’assassino del suo amico. Dopo l’eroismo nei cieli, il tradimento obbligato, il gusto della finzione che colora il suo nuovo libro… Avevo appoggiato la mia fronte bollente contro il vetro, cercando coloro per cui mio padre era morto, ma l’unica cosa che vedevo erano gli spogliatoi e i mille visi che esprimevano la calunnia umana. Camminavano sul marciapiede, compravano le sigarette, il giornale, prendevano l’autobus, piccole solitudini ambulanti che si salutano e si evitano, piccole isole deserte che non appartengono al continente. Mio padre mi aveva mentito, gli uomini non esistevano. Una storia di un adolescente, di nuovo senza padre, in un mondo senza valori, quello del mercato nero della Francia del 1945, Le grand vestiaire, un libro ispirato, visionario, che non riscuote successo in Francia.
Nel 1956 Gary ha quarantadue anni, è console generale di Francia in California, sua madre non è più lì per vederlo. La promessa è ancora più forte. «È diventato console perché è quello che desiderava sua madre?» «Assolutamente no. Mia madre era un’attrice, sognava per me una carriera artistica, lei viveva per delega, vale a dire, delegava me per ciò che non aveva realizzato lei; voleva che io diventassi uno scrittore, una sua vocazione; è lei in fondo ad aver vinto il premio Goncourt!»
The roots of heaven, intanto, diventa un Best-seller, vengono vendute più di un milione di copie. Diventa un film di John Huston. Gary è popolare negli Stati Uniti. Da dodici anni Lesley condivide la sua vita di Nomade; è una donna di cinquantatré anni, è una scrittrice ed è la sua più grande lettrice, complice delle sue creazioni. Gary scrive in inglese un romanzo intitolato Lady L, un omaggio a lei. La protagonista è un’aristocratica che chiude il suo confidente in una cassaforte, nella quale morirà affogato. Un libro di una storia crudele e di un’angoscia personale. Altri romanzi saranno scritti direttamente in americano, alcuni neanche tradotti in francese, come The talent scout, The Gasp, The ski bum. L’autore americano è un altro autore.
Si ispira di nuovo al reale per concepire l’eroina di The talent scout, una giovane americana che arriva in America latina per aiutare i bambini indiani, originaria dell’Iowa, patria di idealismo, un’eterna colpevole. Jean Seberg ha ventun anni, ha appena interpretato Giovanna d’Arco, diventerà l’emblema della sua generazione. Si innamora subito. Romuska non ha resistito, è un regalo che gli ha fatto la vita, rinasce. Jean lo adora, vuole sposarsi, ma lui esita; ventiquattro anni li separano. Si stabiliscono a Parigi, nella rue du Bac, in un appartamento di dieci vani, all’interno di un grande immobile appartenuto ai Rochefoucauld.
Quarantasette anni, il giro di boa. Lascia definitivamente la diplomazia per vivere della sua penna. Uno scrittore che sposa una star. Lei lascia Hollywood per seguire un uomo tormentato; per interpretare nella sua opera una parte singolare. È contenta di aver lasciato tutto e di essersi trasferita a Parigi. È lui però che sembra perdere la sua libertà. La segue da un set all’altro, da Roma a New York, da Atene a Hollywood, ossessionato dalla gelosia. La gelosia può mettere a dura prova l’uomo e sminuire lo scrittore. Gary si sente svirilizzato; per riprendere il controllo diventa produttore! E dirige sua moglie nell’adattamento di un suo racconto, Les oiseaux vont mourir au Pérou. Un fiasco. La scrittura continua come può, al fianco dell’attrice, in ville di lusso, la scrittura è come un’amante esigente… Gary la ritrova negli occhi della gente, durante le presentazioni a Praga o a Budapest, dove è ormai popolare.
Nel 1966, durante una visita al museo del Ghetto a Varsovie, sviene, l’avvenimento è avvolto dal silenzio: Tutta la famiglia Kacew è stata sterminata, bruciati vivi o fucilati, sorte che toccava agli ebrei di Vilna che non avevano lasciato il Paese. Si sente colpevole, non tradirà mai più la sua gente, quella dualità che ha risolto inventandosi un padre, la spiegherà così: «Riguardo al problema di mio padre, io sono ebreo per intero; è tutto. Lo sono sempre stato.» Adesso l’ebreo e il suo assassino vivono nel cervello dello scrittore, la lotta tra il bureau e la vittima, le due facce di Romain Gary. Nel romanzo La danse de Gengis Cohn, esprime l’orrore per la farsa, un amore senza tabù che va contro la critica francese; dimostrazione che Gary non è un autore francese.
All’inizio degli anni ’70 la sua vita di coppia è soltanto un bel ricordo, ha divorziato da Jean Seberg, ha rinunciato alla vita coniugale, alla paternità — perché ha avuto un figlio con lei — e può vivere di nuovo per se stesso, per scrivere. La fa finita anche con la Patria, con i doveri sociali; nell’appartamento della rue du Bac lo attendono nuovi libri, nuove amanti. Una nuova vita incomincia, quella del lupo solitario; il nomade getta l’ancora. «Nella misura in cui si parli di appartenenza, si parla sempre di un piccolo buco da qualche parte. Per me la comunità umana è la più piccola comunità esistente; allora, quando mi chiedono se io sono francese, avrei voglia di rispondere che sono baquiste, sono della rue du Bac.» Nuovi rituali, nuovi amici, il caffè e le passeggiate con il cane.
Nella sua vita, Romain Gary ha indossato abiti diversi, che forse non erano ciò che desiderava veramente. I nuovi abiti, quelli dei suoi personaggi, rappresentano una suprema libertà, quella di un comandante della Legion d’onore. Incomincia a vestirsi in maniera eccentrica, come se interpretasse lui stesso i suoi personaggi, gilet messicani, stivali di pelle, incomincia a truccarsi, vive un eccesso totale. Passa per la strada come se fosse una immagine e non più un uomo reale, e assomiglia sempre di più a colui che non è il suo vero padre, l’attore Ivan Mosjoukine. Un giorno, dopo aver visto in televisione un vecchio film muto del cinema russo sulla vita di Tolstoy, domanda a Roger Grenier: «Noti la somiglianza?» Trascorre cinque mesi l’anno nella sua villa di Mallorca, in compagnia della sua segretaria. La villa si chiama Cimarrón [schiavo che scappa].
A suo agio, servito, libero, ma solo, occupato, posseduto! Non è solamente quella sensazione familiare di perdita di identità che lo mette da sempre alla prova, come se una gomma misteriosa improvvisamente lo cancellasse. Si sente manipolato, inventato da qualcun altro.
A cinquantasette anni, Gary scrive Europa, il romanzo dell’espiazione di un uomo minacciato dall’interno, che si ricostruisce. Dodici anni prima, ne La promesse de l’aube, aveva esaltato la figura materna ma per liberarsene, per far apparire il suo vero volto. «Ho scritto questo libro soprattutto per esorcizzarmi,» afferma nel 1960, «per sbarazzarmi del fantasma di mia madre, che viveva al mio fianco da vent’anni, e sembrava ancora dovermi dire qualcosa. Adesso spero che possa dormire un po’.» E nel 1970: «Pensavo che si trattasse di una sorta di psicoanalisi che mi permettesse di rompere col mio passato e, nel fondo, con la figura di mia madre. Ma non ci sono riuscito.» Un testimone interno, una voce che lo abita, un dibbuq [in ebraico: spirito maligno]
Anne de la Baume, una sua cara amica, afferma: «Mi ha sempre parlato di sua madre al presente, “lei pensa che, lei vuole che…” Quando gli hanno chiesto di entrare nell’Accadémie française, ad esempio, lui ha detto “Mia madre sarà furiosa, ma non mi presento.”»
Sessant’anni, l’età in cui sua madre è morta, il cammino che gli si apre davanti non è stato percorso da lei, appartiene solo a lui. È il momento della libertà, quella di Émile Ajar, che Mina non ha mai conosciuto. La libertà del protagonista di Gros Calin, un uomo timido, bisognoso di tenerezza. Michel Cousin, che ignorando gli insulti attraversa Parigi con un mazzo di rose in mano. Romain Gary non può narrare di Michel Cousin nei suoi romanzi, perché si tratta di un personaggio sano, che cerca di dare un senso alla verità della vita. Romain Kacew ha liberato quest’altra parte di se stesso, il ragazzo vulnerabile che accanto a sua madre non aveva il diritto di fiatare. Per questo, Ajar deve vivere. Deve vivere anche per continuare l’esperienza, di cui Gary stesso è stato oggetto. Paul Pavlowitch, adesso dispone di un burattino che vive manipolandone un altro. Gary si libera riproducendo ciò che ha vissuto. Vivere significa tenere i fili, è sua madre che glielo ha insegnato. Questo burattino lo ha catapultato in un gioco vertiginoso e ha ricevuto il premio Goncourt! Ajar, il perfetto sconosciuto, fugge ancora dalla stampa.
Simone Gallimard afferma: «Penso che lui abbia paura, paura di uscire dal suo anonimato, perché si domanda se continuerà ad avere la pace, la pace del cuore, la pace dello spirito, necessaria per scrivere.» Ai media, Paul ha inviato una vecchia foto di vacanza, presa alle Martinique, che sta correndo da una redazione all’altra. Si apre la ricerca: la caccia a Ajar è aperta! Trovano Paul Pavlowitch a Parigi; non può più nascondersi. Milioni di francesi seguono la vicenda. Paul Pavlowitch, giovane cugino di Romain Gary… Romain Gary? Che cos’è questa storia con Gary di mezzo? Una spia si accende nelle teste dei giornalisti. Quando bussano alla porta di Gary, lui va nel panico. Teme di essere stato scoperto; telefona a Paul, parla con sua moglie, Annie, minaccia di uccidersi. Lei lo calma spiegandogli che può far passare tutto per un’iniziativa di Paul, di cui lui non è responsabile. La critica incomincia a indagare sullo stile tanto rassomigliante tra Gary e Ajar. Le Monde vuole le prove. Gary spiega: «Non capisco perché mi giudichiate responsabile di Pavlowitch. È mio cugino, è normale che si ispiri a me. Non gli farò di certo un processo perché mi ha copiato lo stile!»
Bisogna salvare Ajar. Gary se la cava ancora una volta dichiarando per iscritto di non essere Ajar e di non aver collaborato a nessuna delle sue opere. Lascia Parigi e si rifugia a Ginevra, nel piccolo monolocale che possiede. Bisogna costruire una buona difesa. Scrive in maniera convulsiva, un testo di 240 pagine in dodici giorni. Il libro che salverà Ajar, un soliloquio, una confessione, o piuttosto una pseudo confessione, quella di Paul Pavlowitch che per mano di Gary dirà tutta la verità: la sua fuga dai giornalisti, lo pseudonimo di Ajar, il suo soggiorno a Copenaghen, sempre sotto la minaccia del carnefice, il mostruoso zio. La luce è fatta, le curiosità sono soddisfatte, lo pseudonimo o l’apoteosi della mistificazione! Protetto da tre false identità, Gary ne tira fuori una quarta, la sua: Romain Kacew, come non aveva mai fatto. «La ragione per cui sono divorato da un tale bisogno di autori è perché sono il figlio di un uomo che mi ha lasciato per tutta la vita in uno stato di incompletezza.»
Sono Émile Ajar, il solo, l’unico, sono il figlio delle mie opere e il padre, sono il mio proprio figlio e il mio proprio padre.
Paul si offre come segretario, è il primo a leggere il testo di cui è protagonista. Scopre che il Paul descritto da Gary è un pazzo tenuto in cura in una clinica psichiatrica. Il suo delirio è vero o finge? Paul considera Gary una specie di gangster metafisico, capace di giocare con la vita di un essere vivente ai fini di una combinazione miserabile, un uomo che non ha coraggio, infine. Ma non gli impedisce di dare alla luce quella nuova opera: Pseudo, il grande libro dell’angoscia di cui Gary ha sempre voluto liberarsi. Tre false identità, un triplo gioco che la critica non sa interpretare come grido di verità. L’Express riconosce nel libro lo stile puro di Ajar. Simone Gallimard esita, questo libro parla male di Gary; per prudenza gli mostra il testo. Lui la rassicura: l’importante è che l’autore non parli male della sua famiglia e che si tratti di buona letteratura. Non farà nessun processo. La via di Ajar è libera; le vendite sono considerevoli. Il 40% per Pavlowitch e il 60% per lui…
Jean Seberg sapeva fin dall’inizio, ha conservato il segreto e Ajar adesso la ricompensa. Vive nella rue du Bac in una parte dell’appartamento, è come una figlia per Romain, un’amica. Una parte dei proventi di Émile Ajar vanno direttamente a Jean, che ne ha bisogno. Gary la salva dalla rovina per tutti gli anni ’70. In fondo Romain Gary, che fa tanto il duro, fa a botte nelle strade del quartiere e vuole rompere il muso alla gente, è soltanto un uomo sensibile e tenero. Non dice mai quello che fa per gli altri, si tratta di una generosità discreta ma efficace.
Riceve l’affidamento di suo figlio. Lui ha sessant’anni e il bambino ne ha undici, una differenza d’età considerevole, tanto che Gary si sente intimidito come se vivesse su un altro pianeta.
Anche Momo, il bambino protagonista de La vie devant soi, vive su un altro pianeta. Il film tratto dal romanzo vince un Oscar a Hollywood! Le rare interviste di Ajar sono apprezzate da milioni di lettori; entra nel dizionario di letteratura, lo stesso dal quale Romain Gary è sparito. Frustrante, per Gary, la presenza sempre più insolente di Paul Pavlowitch, il quale entra completamente nel suo ruolo e si fa assegnare un ufficio presso la casa editrice Mercure. Lui, che non ha scritto nulla! A Gary non fa affatto piacere. Umiliato, frustrato, posseduto. Ajar era una liberazione, adesso diventa anche lui una condanna. Secondo Roger Grenier, consulente editoriale e amico di Gary, Ajar sarebbe dovuto finire perché ormai erano riusciti nel loro intento, avevano addirittura vinto il Goncourt. Se non avesse funzionato, avrebbero dovuto continuare. Ma non è così che la pensa Gary.
Gary e Pavlowitch sono legati dal segreto; in qualunque momento l’uno può uccidere l’altro raccontando la verità. Un avvocato deve intervenire con un progetto di contratto che regoli i loro rapporti. Ciò che l’avvocato con i suoi schemi e tabulati non comprende è che si sta parlando del rapporto di Romain con se stesso e del rapporto di Romain con Paul.
Gary riprende il suo ritmo abituale, quello di un uomo indipendente, che vive una vita di scrittura e di amori brevi, ma bisognoso di una donna, compagna di un giorno o di più mesi, con la quale vivere delle avventure parallele. Una vita di conquista, sempre. Lo scrittore prende l’uomo in contropiede; nel suo nuovo libro, Gary fa un elogio della coppia, l’elogio della donna che è la patria dell’uomo, il senso della vita che è nel sapore delle labbra: è da qui che sono nato, qui io esisto. Vi parlo di una coppia, e in una coppia nessuno sa chi è terra e chi è sole, l’indipendenza è solo un rumore che viene da lontano come un ghiacciaio che si scioglie. Per Gary l’unità di misura di una società è la coppia. «È sempre l’altra persona che conta nella mia vita, non io.» Due esseri si affrontano in Gary: l’uomo di cultura e l’uomo reale, entrambi sono autentici, la simbiosi è totale, il conflitto permanente. «Sono essenzialmente un selvaggio preistorico. Trovo un disaccordo profondo tra le attitudini nobili e idealiste che descrivo nei miei libri, e tutto il mio essere, le mie mani, le mie dieci dita, il mio cuore, tutto ciò che io sono, la mia natura biologica, intellettuale e morale.»
Questo canto d’amore diventa idealista e ispira Ajar per un ultimo libro, L’angoisse du roi Salomon, un personaggio donchisciottesco, il signor Salomone, che a ottantacinque anni si rifiuta di morire. Il libro del perdono. Durante l’occupazione la sua fidanzata aveva abbandonato il signor Salomone, che si nascondeva in una cantina. Dopo trentacinque anni, si rincontrano, si amano ancora, vivranno insieme. La critica e il pubblico sono entusiasti. Il cammino dell’opera è sgombro, ma Ajar non parlerà più.
Nei sette ultimi anni Romain Gary ha scritto dodici libri, scrive in due lingue di cui nessuna è la sua lingua madre. La sua scrittura è convulsiva, si sussegue nella frenesia, sette, otto ore al giorno, tutti i giorni, per vincere l’angoscia. Sempre. Scrivere per sopravvivere. La realtà di Romain è fatta di tanti pezzetti. Ciò che fa quando scrive, è prendere tutti quei pezzi, davanti ai quali è completamente inutile, e ordinarli in un progetto. Questo progetto è un libro! Sfortunatamente, appena il libro finisce e parte per la casa editrice, cosa succede? Sulla sua tavola mentale, davanti a lui, di nuovo, non c’è niente, soltanto pezzettini sparsi, quindi deve ricominciare il più velocemente possibile. Altrimenti, non è più lui, il suo sorriso non è lo stesso, è incapace di fare qualunque cosa, persino cambiare una lampadina, è costernato, non sa godersi la pausa e rilassarsi. Questa è la sua esperienza più terribile, il suo più grande incubo. Se le parole gli mancano, diventa un essere senza carattere; il suo essere fugge via. Non è più nessuno. Ecco l’esperienza più grande di Romain, non il doppio, ma non essere più nulla. Per esistere inventa dei personaggi, decine di personaggi, è sempre stato un altro. Ricopia di sera il manoscritto definitivo in un quaderno nero, come prova della sua scrittura.
Per liberarsi, Gary ha concepito una sorta di difesa-Ajar, una partita a scacchi che si gioca in quattro libri. Per primo un piccolo Pedone, Michel Cousin e il suo bisogno di tenerezza. Poi la Regina, madame Rosa e la sua casa degli orfanelli. L’Alfiere, il pazzo, Paul Pavlowitch e le sue crisi epilettiche. Il Re, il signor Salomone e il suo rifiuto di morire. Gary ha fatto scacco matto al Re nero, ha messo allo scoperto l’avversario. Ma il suo avversario è lui stesso. Aveva preso il posto di Dio, adesso non può più nulla. L’avventura di Ajar era un gioco mortale!
Pavlowitch afferma: «Sono dell’idea che Romain si stava distruggendo da molto tempo, e la distruzione della quale assumeva il linguaggio era la tappa precedente al suo suicidio.»
Sembra che l’angoscia più grande di quest’uomo non sia vivere ma invecchiare. Nessuno dei suoi personaggi è un uomo anziano. «Non riesco a vedermi anziano; è molto difficile avere cinquantasei anni all’esterno e diciotto all’interno.»
Jean, a quarant’anni, arriva alla fine del suo cammino. Soffre di turbe psichiche, non ne può più della lotta contro se stessa e, dopo sei tentativi andati male, si uccide, nell’agosto del 1979. Gary è sconvolto, viveva nel terrore che succedesse; aveva tentato tutto per salvarla, ma sapeva di essere impotente. L’unica cosa che può fare è scrivere, scrive allora il suo romanzo più sereno, il libro della speranza, quella di un uomo che è tenuto su da un filo, pronto a scappare nel blu, di nuovo un libro del perdono. Les cervs volants. Ludo sposa Lila, il suo amore d’infanzia, che lo ha tradito andando a letto con gli invasori. Una donna contesa che, dopo la guerra, sceglierà la forza dell’amore tradotta nella sua lingua più semplice. Gary si sceglie questo ultimo stile, perché accorda molta importanza alla vera cortesia; scrive con l’educazione di colui che sta per sparire. Les cervs volants è un souvenir cortese di Romain Gary, un ricordo che aiuterà i suoi lettori; questo libro del perdono è anche un inno alla Francia; celebra il suo Paese chiudendo il cerchio della sua vita e fa la pace con se stesso.
Gary non solo si prepara alla sua morte, ma la vive. Vicino alla fine, presente e assente, elegante, cosciente, un uomo modesto, disposto ad ascoltare. La sua unica vera famiglia: quella dei compagni della Liberazione.
«Impossibile sbarazzarti di me!» gli sussurra Ajar, che è diventato il suo doppio. «Immagina lo scandalo se tu parlassi!» Ha il terrore di essere scoperto e di perdere il riconoscimento di una società che malapena glielo ha conferito; o perdere la sua Legion d’onore, la sua medaglia al valore, che era tutto se stesso, essenziale nella sua formazione di uomo. Sarebbe disposto a morire piuttosto che venire meno al suo senso dell’onore. Un senso dell’onore fortissimo. Così mette in scena un’aggressione; porta un revolver con sé; la paranoia lo tormenta, ha paura che la giustizia lo perseguiti, che i lettori traditi gli facciano la pelle, che i media lo distruggano. Gli psicofarmaci accentuano la depressione; il suo nuovo trattamento resta senza effetti. Quando il medico gli prescrive una cura di sonniferi, è sicuro che lo vogliano rinchiudere da qualche parte; ma non glielo lascerà fare. La decisione è presa, questa volta a sessantasei anni. Il giorno è fissato. Quel giorno pranza col suo editore, Claude Gallimard, parlano delle tasse. Romain, che non fumava da tre mesi, si accende un sigaro.
Dopo la sua morte, esce per Gallimard Vie et mort d’Émile Ajar, un romanzo che Gary aveva scritto un anno e mezzo prima e che doveva essere pubblicato postumo.
[Libera traduzione dal film di Philippe Kohly: Romain Gary Le roman du double.]
Nice, 30 giugno 2013. Frank Iodice.