In campo artistico non sono infrequenti i casi di pittori, scrittori e poeti che in vita non hanno avuto la possibilità di vedere apprezzato il loro lavoro e che, per uno strano scherzo del destino, da morti sono stati osannati.
I motivi sono i più vari, ma quasi sempre legati ai contenuti o alle modalità espressive delle loro opere che non potevano essere comprese appieno dai critici contemporanei, anche i più attenti ed esperti.
Un caso particolare, invece, è quello di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e del suo romanzo “Il gattopardo”, perché il tempo intercorrente fra la morte dell’autore e il riconoscimento del valore della sua opera è troppo breve perché possa essere imputabile a una mancata comprensione di un’eventuale idea geniale e totalmente rivoluzionaria.
Come vedremo, è più logico pensare a motivi di superficialità, a preconcetti legati al fatto che lo scrittore non fosse noto, anzi fosse praticamente un esordiente, benché molti anni prima (dal 1926 al 1927) avesse pubblicato su Le Opere e i Giorni, un mensile culturale edito a Genova, alcuni articoli sulla letteratura francese, di cui era un grande conoscitore.
Dopo quei saggi, Tomasi di Lampedusa, più lettore che scrittore, si era estraniato dal mondo letterario, per ricomparirvi improvvisamente nell’estate del 1954 al convegno di San Pellegrino Terme. Vi capitò quasi per caso, accompagnando il cugino Lucio Piccolo, poeta un po’ fuori dai canoni per l’epoca, con uno stile baroccheggiante che tuttavia aveva destato l’interesse di Eugenio Montale.
Che cosa accadde esattamente in quei pochi giorni non ci è dato di sapere, ma una cosa è certa: il contatto con intellettuali, più o meno famosi, scosse la letargia letteraria di Tomasi e lo indusse a passare all’azione.
Fu così che già verso la fine di quell’anno iniziò a scrivere in modo quasi frenetico, come in preda a un raptus creativo che gli imponeva di recuperare il tempo perduto, o forse anche perché già avvertiva i segni premonitori di quella malattia che l’avrebbe portato alla tomba.
Scrisse su tanti quadernetti, quasi fogli sparsi, e quando Il Gattopardo fu terminato l’amico Francesco Orlando provvide a trascriverlo con la battitura a macchina. Fu questo dattiloscritto a essere inviato alla Mondadori nel maggio del 1956, accompagnato da una presentazione del cugino Lucio Piccolo, che non era certo uno sconosciuto.
E comincia così un’avventura che ha quasi dell’incredibile, perché le traversie della pubblicazione porteranno al clamoroso autogol prima della Mondadori e poi dell’Einaudi.
A onor del vero, i lettori della prima casa editrice ed Elio Vittorini, che aveva dato una scorsa veloce, compresero di trovarsi di fronte a un’opera di rilevante valore letterario, ma caddero nell’errore di ritenerla di scarso o nullo valore commerciale.
E’ spesso difficile entrare negli imperscrutabili disegni della mente umana e questo è un caso tipico, perché proprio Vittorini segnalò tuttavia alla Mondadori di non accantonare l’opera, ma di tenerla in evidenza, cosa che non avvenne, perché uno della redazione, anziché intrattenere il Tomasi con una lettera interlocutoria, gli restituì il dattiloscritto con le consuete frasi d’uso, un vero e proprio colpo di grazia per l’autore morente.
Dopo la sua scomparsa avvenuta il 23 luglio del 1957 per un carcinoma polmonare, Giorgio Bassani, che aveva conosciuto lo scrittore durante il famoso convegno di San Pellegrino Terme, e in possesso del dattiloscritto trasmessogli da Elena Croce, figlia di Benedetto e grande saggista, si reca in Sicilia per visionare i famosi quaderni, con l’aiuto dei quali effettua una revisione attenta e scrupolosa.
Ci si chiederà ora come mai una copia de Il Gattopardo fosse a mani di Elena Croce, che peraltro ne era in possesso fin dal febbraio del 1957. Ancora una volta il destino sembra tracciare il corso della storia: Licy Wolff Stomersee, nota psicanalista e moglie di Tomasi, ne parlò casualmente con un suo paziente, probabilmente nel corso di una normale conversazione, e questi si offrì di inviarne una copia alla saggista, che, a sua volta, la fece pervenire a Bassani.
Lo scrittore ferrarese lavorava alla Feltrinelli, ove dirigeva una collana, nell’ambito della quale fece uscire alla fine del 1958 Il Gattopardo in poche centinaia di copie, che furono esaurite in tre giorni.
Il resto è noto: nel 1959 l’opera si aggiudicò il Premio Strega e nel 1963 Luchino Visconti ne curò la felice trasposizione cinematografica.
L’ironia della sorte è che questo romanzo, diventato uno dei più grandi successi commerciali nella storia della letteratura, fu respinto per un’errata valutazione nelle possibilità di vendita.
Giuseppe Tomasi, un uomo che era sempre stato schivo, quasi in ombra, non poté mai sapere degli esiti della sua opera: se n’era andato da questa terra in punta di piedi, in una camera d’albergo, come il suo avo, il famoso Principe di Salina.