A cura di Gordiano Lupi
Queste pazze pazze donne è un film in quattro episodi preceduti e intervallati da un narratore (Misha Auer) nelle vesti di psichiatra che racconta alcuni casi di pazzia femminile. Il più eclatante lo vediamo nel prologo con una donna che si presenta al medico perché per strada si sente osservata, ma quando si alza dalla sedia ci rendiamo conto che va in giro seminuda. “Le prescriverò di farsi accompagnare da un vigile urbano!”, osserva Misha con il caratteristico accento russo. Marino Girolami ama parlare di donne e fustigare i costumi nazionali, lo fa con ironia, in chiave grottesca, spesso pure sessista, inserendo nei film nudità discinte che fanno sobbalzare la solerte censura. Queste pazze pazze donne si becca un divieto ai minori di anni diciotto che oggi fa sorridere, segue commedie scollacciate come La donna degli altri è sempre più bella (1963), anticipa Veneri al sole (1965), Veneri in collegio (1965) e Franco e Ciccio e le vedove allegre (1968), ma anche L’amore primitivo di Luigi Scattini (1964), che torna sul tema del sesso sfruttando la moda imperante dei mondo movies e la bellezza di Jayne Mansfiled.
“Ne ho viste di pazze ma come le donne…” dice Misha Auer mentre intraprende un’ironica spiegazione della follia femminile, agevolata da certi comportamenti maschili.
Gentil sesso è l’episodio più debole. Enio Girolami – figlio del regista – e la bella France Anglade sono due innamorati contrastati dai fratelli di Marisa Natali, la ragazza abbandonata per la nuova conquista. I fratelli vanno per menare e tornano menati, come dice il proverbio, perché la fidanzata tedesca è una campionessa di lotta libera e fa parte di una squadra di donne nerborute che accorrono in sua difesa. Tra i fratelli riconosciamo un giovanissimo Oreste Lionello, Ignazio Dolce, Massimo Carocci e Giampiero Littera. Tra gli avventori della sala da ballo – dove si suonano ritmi d’epoca come cha-cha-cha, alligalli e mambo – si nota pure Jimmy il Fenomeno. La scazzottata finale inizia stile western, da mezzogiorno di fuoco, ma anticipa un finale da pochade in piena bagarre.
Siciliani a Milano è l’episodio che interessa di più perché vede protagonisti Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, nei panni di Pipitone e Macrì, commercianti di vino a Milano che decidono di usare le grazie delle mogli per convincere i compratori. Non hanno fatto i conti con la gelosia e con il carattere delle siciliane, perché il loro piano va in fumo e vengono malmenati sia dalle moglie che dagli aspiranti acquirenti. Finiscono all’ospedale ridotti molto male: “Siciliani siamo. Bastonati sì, ma cornuti mai!”. La comicità da avanspettacolo dei due comici imperversa, le smorfie di Franco di fronte alle nudità femminili sono divertenti e la sua faccia di gomma si presta a mostrare meraviglia ed eccitazione. Battute come: “I signori sono soli?”, Franco: “Meglio soli che male accompagnati!”. Ciccio: “Sodoma e Gomorra!”, Franco: “Erano soli? Non lo sapevo”. A un certo punto Franco assiste a uno spogliarello, preso dall’emozione mette la mano in un piatto e spiaccica la torta in testa a un avventore pelato. Siamo nel campo delle comiche, del cinema muto, spesso fonte d’ispirazione per la coppia comica. Grazia Maria Spina (Carmelina) e Valeria Fabrizi (Santuzza) compaiono vestite da siciliane perfette, velate di nero, castigate, persino con i baffi, ma subito dopo vengono trasformate da un’estetista in due ragazze affascinanti. Ballano provocanti, ancheggiano seducenti secondo ritmi moderni e scatenano la paura delle corna nei loro mariti. Mostrano le loro grazie quando i due acquirenti le portano in albergo, ma non cedono alle lusinghe menando di brutto i due bolognesi. L’episodio stigmatizza la gelosia del maschio siculo che reprime la donna fino a nascondere le sue bellezze per paura dei tradimenti.
Pochi ma buoni è un episodio che vuol mettere alla berlina il perbenismo ipocrita, scritto da Gianviti sulla falsariga de Le tentazioni del dottor Antonio di Federico Fellini, contenuto in Boccaccio ’70 (1962). Il tono è farsesco ma incisivo. Enrico Maria Salerno è un politico democristiano che sta facendo una crociata contro il nudo femminile, vorrebbe abolire riviste e spettacoli erotici, che fa comprare da un solerte segretario omosessuale (Giulio Leoni) per esporle al pubblico ludibrio durante le conferenze. Il problema è che alla fine del discorso moralista qualcuno ruba sempre le riviste e l’oratore pare contrariato. Un incidente d’auto costringe il politico a passare alcuni giorni in casa di Fulvia Franco, madre disinibita che permette alle sue quattro giovani figlie di girare per casa in bikini. L’incidente accade proprio perché l’autista si distrae quando vede le ragazze correre seminude per strada. Tra le figlie di Fulvia Franco riconosciamo una giovanissima – ma già molto bella e dotata di personalità – Orchidea De Santis, impegnata nel suo primo ruolo cinematografico. Le altre ragazze in bikini sono Eliana Bertuccioli, Mariolina Bottino e Marina Fava, ma anche Fulvia Franco non risparmia nudità velate che mettono in imbarazzo il politico. Enrico Maria Salerno è scioccato, viene a sapere che il marito della padrona di casa è scappato con una ballerina, mentre è turbato dalle ragazzine che entrano seminude nella sua camera. L’episodio procede con il sottofondo musicale di Ma quante belle figlie Madama Dorè, mentre le tentazioni del politico diventano sempre più forti e raggiungono il culmine quando la De Santis che mostra fianchi e ombelico con una camicetta cortissima. L’onorevole legge Le tentazioni di Sant’Antonio per fortificarsi, ma le ragazze ballano il cha-cha-cha in costume da bagno con gli amici e continuano a sconvolgerlo. Il politico tenta un discorso moralista ma la madre e le ragazze non comprendono. “Con questo caldo…”, conclude la De Santis. Alla fine la madre appare ancora una volta seminuda, Enrico Maria Salerno la vede, cade dalle scale, si frattura una gamba e deve restare nella casa del vizio per altri quaranta giorni. Giusta punizione.
La garçonniere è una pochade classica che sembra scritta per il teatro da Feydeau. Scambi di donne, confusione di camere, commedia degli equivoci, malintesi, coppie che si incontrano senza che l’una sappia niente dell’altra. Protagonista un grande Raimondo Vianello, marito vessato dalla moglie Magalì Noël che vorrebbe farlo diventare direttore. Per ottenere lo scopo diventa l’amante del suo capo – Umberto D’Orsi -, ma non sa che il marito è l’amante della moglie del superiore. Dati questi presupposti la pochade è perfetta: l’azione si svolge tutta nella garçonniere del capo, frequentata il solito giorno dalle due coppie che non credevano di incontrarsi. La colonna sonora è la suadente musica di Abatjour che si presta a una storia di incontri galanti. La pochade finisce in bagarre, in questo caso a schiaffoni, quando tutto viene scoperto, ma lo scopo di Vianello è raggiunto, perché come indennizzo del tradimento ottiene un posto da direttore e continua a vedere la moglie del capo. Questa volta in una garçonniere tutta sua perché con il nuovo stipendio può permettersela.
Il film termina con lo psichiatra Misha Ahuer che parte a bordo di un’auto di grossa cilindrata insieme a un gruppo di belle donne. “Sono pazze ma sono donne!”, è la sua conclusione.
Misha Auer (1905 – 1967), pseudonimo di Misha Ounskowsky, attore russo nato a San Pietroburgo, lo vediamo spesso nel cinema italiano degli anni Sessanta, ma comincia la carriera a Hollywood, negli anni Venti, interpretando piccoli ruoli. Tra i suoi film più importanti: L’impareggiabile Godfrey di Gregory LaCava (nomination come miglior attore non protagonista), L’eterna illusione (1938) di Frank Capra (insegnante di danza russo), Cento uomini e una ragazza (1938), Partita d’azzardo (1939), Helzapoppin (1941), Dieci piccoli indiani (1945). In Europa è presente nel dopoguerra, sia in televisione che al cinema, ma soprattutto negli anni Sessanta diventa un attore di Cinecittà. Ricordiamo la sua presenza in Che fine ha fatto Totò Baby? (1964) di Ottavio Alessi. Misha Auer muore nel 1967, a Roma, per un attacco di cuore.
La critica alta stronca il film di Girolami. Paolo Mereghetti (una stella): “Quattro barzellette stiracchiate che non riescono mai a trasformarsi in satira del moralismo nazionale (come forse aspirerebbero)”. Pino Farinotti concede due stelle ma si limita a sintetizzare le trame dei quattro episodi con molte imprecisioni e strani cambiamenti di finale. Avrà visto la pellicola? Morando Morandi fa di peggio: per lui il film non esiste proprio.
Queste pazze pazze donne è un piacevole film a episodi che unisce leggerezza a un velato discorso sociale, sexy a modeste ambizioni di satira di costume. Non invecchia e si vede ancora volentieri. Non è un pregio da poco, di questi tempi. A livello di curiosità ricordiamo che aiuto regista è Romolo, figlio di Marino Girolami, e montatore niente meno che Enzo G. Castellari, il figlio più famoso, omaggiato da Quentin Tarantino, che girerà pellicole come Quel maledetto treno blindato (1977).
Regia. Marino Girolami. Soggetto e Sceneggiatura: Roberto Gianviti. Fotografia: Mario Fioretti. Montaggio: Enzo G. Castellari. Scenografia: Saverio D’Eugenio. Musiche: Carlo Savina. Aiuto Regista: Romolo Girolami. Direttore di Produzione: Adriano Merkel. Produzione: Marco Film Cineurope. Girato: Stabilimenti Incir De Paolis. Interpreti: Misha Auer (narratore). Gentil sesso: Enio Girolami, France Anglade, Oreste Lionello, Ignazio Dolce, Marisa Natali, Massimo Carocci, Giampiero Littera, Manfred Freyberger, Jimmy il Fenomeno. Siciliani a Milano: Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Grazia Maria Spina, Valeria Fabrizi, Livio Lorenzon, Gino Ravazzini, Nino Marchetti, Nando Pucci e la sua orchestra. Pochi ma buoni: Enrico Maria Salerno, Fulvia Franco, Eliana Bertuccioli, Luigi Leoni, Mariolina Bottino, Marina Fava, Orchidea De Santis. La garçonniere: Raimondo Vianello, Magalì Noël, Umberto D’Orsi, Jeannette Batti.
Per vedere il film on line: http://www.youtube.com/watch?v=swdoHYXEGUo&feature=topics
Gordiano Lupi
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