L’addetto stampa della Island Records, di Nick ricorda l’evento del famoso giorno della consegna dei nastri alla casa discografica: “Lo incontrai nella reception, vidi una figura in un angolo della panca e capii che si trattava di Nick. Teneva questo grosso scatolone sotto il braccio e gli feci “Hai preso il tè?Vuoi salire al piano di sopra … così salimmo nel mio ufficio e rimase seduto lì per circa mezz’ora, poi disse “E’ meglio che vada … Scese le scale con i nastri sotto il braccio e circa un’ora più tardi, la ragazza che lavorava alla reception, mi chiamò dicendomi:”Nick ha lasciato dei nastri”, allora scesi e vidi quel grosso scatolone con i master a sedici tracce, con su scritto”Nick Drake:Pink Moon”. Allora chiamarono John Wood e gli chiesero cosa fosse e lui rispose che era il nuovo album.
Stampammo una copia di sicurezza e ci mettemmo ad ascoltarlo.
Nick Drake non ha più bisogno di presentazioni, ormai. Genio introverso e decadente, talento meraviglioso che ha influenzato artisti come lo scomparso Kurt Cobain e continua ad ispirane altri del rock contemporaneo, quali Rem, Cure, Paul Weller, Belle and Sebastian, Mogwai …, è stato e rimarrà per sempre, l’eroe romantico e fragile che ci ha regalato tre album e una manciata di singoli diventati nel tempo dei classici. La sua natura instabile, la transitorietà del luogo, il carattere schivo ed introverso, la precarietà e l’inquietudine del suo essere, lasciano il segno in questo album e ne fanno un capolavoro assoluto.
PINK MOON, insieme a “Blood on the tracks” di Bob Dylan, “The madcap laughs” di Syd Barrett ed al mitico “Plastic ono band” di John Lennon, è un disco iconoclastico e al tempo stesso magico. Del resto, la magia percorre tutta la sua opera musicale. “I was made to love magic, all its wonder to know”, scriveva in una sua canzone.
Pink Moon fu registrato in una camera d’albergo, soltanto pochi mesi prima del drammatico epilogo del timido songwriter di Tanworth in Arden e pubblicato nel febbraio del ’72 per l’etichetta discografica Island di Joe Boyd. Nick ha inciso la magistrale chitarra, il piano e la voce senza arrangiamenti, il suono completamente spoglio di qualsiasi orpello.
Il disco apre con la title track “Pink Moon” (Luna rosa), simbolismo inquietante di una luna che vuole ghermire tutti, l’artista per primo. Drake sembra conscio che la sventura è alle porte della sua breve-intensa vita. Per i cinesi, la luna rosa è presagio di sciagura, mentre nella mitologia e nelle leggende celtiche, dopo le eclissi di luna, la terra, gettando un’ombra sul volto lunare, le conferisce un colore rosso sangue.
“Place to be” è la seconda traccia, gli arpeggi della sua Guild acustica sono dolci e circolari, ci si abbandona al flusso della coscienza, ai ricordi di quando si era “giovani, forti” e “pieni di luce”. “Horn” è invece un brano strumentale, che comunica l’incomunicabile, scarno e minimale, poche note espressive e immaginifiche. “From the morning” rappresenta l’alba del nuovo giorno, la speranza di una nuova luce per risalire dal precipizio della vita : “un giorno albeggiò una volta e fu meraviglioso, un giorno albeggiò una volta sulla terra … poi cadde la notte e l’aria era bella, la notte scese tutt’intorno…e adesso ci solleviamo dalla terra e siamo dappertutto, adesso ci solleviamo dalla terra e vediamo che vola … e lei è dovunque”. Forse per la prima volta, non si avverte la paura della notte scesa sulla terra, perché “l’aria è bellissima intorno”, ci si può alzare dal letto e vedere davanti a sé “nuovi percorsi colorati senza fine”, … qui, l’innocenza delle parole e la leggerezza della musica, sono pura commozione. Due versi di questa canzone, sono anche parte dell’epitaffio sulla lapide di Nick, nel cimitero di Tanworth in Arden, nell’Inghilterra centrale: “and now we rise … and we are everywhere” .
“Black eye dog” fu una delle ultime registrazioni ed anche una delle migliori, dove si percepisce la grande influenza dei maestri blues del delta del Mississipi, di cui Drake amava il sound e la potenza (uno su tutti, il grande Robert Johnson).
“Know” è un canto disperato, una ballata desolata che evoca il bisogno di amore e calore, e allora possiamo quasi immaginare Nick, nella solitudine della tarda notte, chino sulla sua chitarra, le dita che si muovono lente ma precise sullo strumento, la voce ispirata e orgogliosa che racconta di altri mondi “sappiate che vi amo, sappiate che me ne frego, sappiate che vi vedo…sappiate che non sono lì”. Le ombre sono salite in superficie, le rughe nella mente cominciano ad affiorare, la sofferenza è ora concreta e la grande tecnica, qui lascia il posto alle sole emozioni.
I due brani “Road” e “Which will” sono un insieme di equilibrio naturale e assoluta bellezza musicale, la tecnica del “finger-style” a tre o quattro dita e l’uso dei bassi alternati, i cambi ritmici di tempo e l’accompagnamento a corde piene (alla maniera di Bert Jansch), sono esempi di maestria chitarristica e di virtuosismo mai fine a se stesso. “Road” è anche la strada da percorrere fino in fondo, e sembra nutrire una speranza di rivalsa verso quel mondo di sicuri e vincenti, capaci di sfidare il sole senza temere nulla.
“Parasite” è un brano in cui si percepisce l’inadeguatezza di Nick nei confronti di una presunta compagna, la sua incapacità di amare e di dare risposte definitive, per cui questa donna, che un tempo si prendeva cura di lui, si allontana, stanca di un ragazzo sempre “altrove”, che a testa bassa guarda le sue scarpe tirate a lucido. Il testo è enigmatico, direi “barrettiano”: “… viaggiando lontano nel peccato, navigando giù al confine del nord … guardando il luccichio delle scarpe … e guarda, puoi vedermi per terra perché sono il parassita di questa città.” L’amore che precipita e sfugge, diventa autocommiserazione.
“Things behind the sun” (“Le cose dietro il sole”), è il capolavoro nel capolavoro, le cose che dovevano essere dette, è la verità che non poteva più essere taciuta contro opportunisti e superficiali, disonesti e arroganti. Si avverte la necessità impellente di tirar via la musica e creare il suono, il bisogno di comunicare, di condividere con gli altri le proprie paure e le proprie emozioni, una sorta di partecipazione spirituale con qualcuno al di là del muro nello studio di registrazione. Così la chitarra, splendida e precisa, gli accordi inventati, quasi impossibili, che creano atmosfere circolari e oniriche … e la voce che si srotola nel tempo sincopato: “Per favore stai attento a quelli che guardano fisso , loro sorrideranno soltanto nel vederti perdere tempo e una volta che avrai visto quello che sono stati, non varrà la pena vincere la terra…apri la tazza rotta, fai entrare il sole e il peccato e spalanca gli inni che nascondi … e le cose dietro il sole e la gente intorno a te, che ti dice che ogni cosa è già stata detta, e il movimento del tuo cervello ti manda fuori sotto la pioggia”.
Pink Moon, senza dubbio, rimane l’album più enigmatico e introspettivo di Drake, e proprio per la sua natura straziante e cupa, è ovviamente mancato di qualsiasi considerazione a livello commerciale.
Provate ad ascoltare questo album di notte, con le cuffie ben strette alle orecchie, soli nell’intimità della vostra casa … non ci sarà niente a dividere voi e quelle canzoni, voi e l’uomo che le sta suonando e cantando. La magica “bellezza” di questi 11 brani, 30 minuti scarsi di folk, potrebbe cambiare la vostra vita, come ha cambiato la mia.
Stefano Travaglini