A cura di Teodora Mastrototaro
Un incantatore di serpenti
È così che appare ai lettori l’autore del romanzo “Rotta per Leuke” Edizioni Montag della Collana “Altri Mondi”. Ci incanta, questo quasi anonimo scrittore e lo fa con il suo primo romanzo. Autore “quasi anonimo” perché “senza nome” si affaccia al mondo dell’editoria, o meglio senza il suo vero nome ma con uno pseudonimo: Peico. Questo forse calcolato o forse no escamotage rende intrigante l’approccio al testo ancora prima di accingersi alla lettura. Qualsiasi siano le motivazioni che hanno spinto l’autore a non rivelarsi ancora, hanno sortito l’effetto forse sperato: curiosità e magia. È intrigante immaginare chi si possa nascondere dietro occhi mascherati e dietro un corpo velato da seducente stoffa quando i movimenti della sagoma catturano l’attenzione e stuzzicano le voglie. Questo accade durante la lettura del “quasi- orfano” romanzo. Barcamenarsi tra due posizioni contrastanti, come molto bene fa lo scrittore, senza conoscere colui che tira le fila delle stesse, porta il lettore ad immedesimarsi pienamente nel testo. Ci si immerge nella lettura grazie alla maestria con la quale l’autore gestisce all’interno del testo trama e riflessioni, ma il sapere di leggere un -pezzo di vita- (o… più pezzi della stessa vita? ) di cui non si conosce la paternità può portare ad “adottare” maggiormente il senso dello scritto e conseguentemente sentirsi maggiormente partecipe.
Il romanzo lo permette. Quando l’autore verrà allo scoperto, svelando volto e corpo i lettori non dovranno sentirsi spodestati! Il nostro “quasi – sconosciuto” incantatore di serpenti ipnotizza l’attenzione del lettore. Non è che noi siamo o diventiamo rettili striscianti ma è risaputo che questi rettili sono privi del timpano e non possono percepire i suoni. Sono quindi sordi! Quello che li “incanta” sono le vibrazioni del suolo al percuotere del piede dell’incantatore, l’aria che fuoriesce dal piffero e il movimento del flauto. Così il lettore rimane, durante la lettura di questo romanzo, incantato dal battere martellante delle parole e delle frasi spezzate, frammentarie, cadenzate, galoppanti. Ci si ipnotizza davanti alla costruzione del periodo: tagliente, come se fosse misurato da un conta- parole. A noi capita a volte di essere sordi nei confronti della nostra stessa vita e una lettura come questa (a cui si può accingere, volendo) ci incanta perché ci porta a seguire il movimento delle penna dello scrittore, l’aria che si muove perché mossa dallo spirito creativo e il battere incessante delle parole sul foglio e nella nostra mente mentre leggiamo. Il tutto ci porta ad incantarci e… a capire. Il flusso delle immagini vomitato potrebbe, ad una prima lettura e soprattutto al’inizio, risultare un delirio senza filo conduttore ma non bisogna arrendersi davanti ad un tale impeto narrativo che si risolve in un parlare con sé, dentro di sé, fuori di sé, per farsi morire e per farsi rinascere. Per cercare di capire, di capirsi o per ammettere che in realtà non si è capito nulla. A tal fine determinante è la scrittura narrativa caratterizzata da una ossessione che si rivela con la ripetizione di alcune parole o brevi frasi, oppure con l’iniziare di una frase con le parole finali della precedente e ciò contribuisce ad aumentare l’ansia narrativa.
Il romanzo è ben scritto. Affascinante è l’alternanza della voce femminile e di quella maschile senza alcun preavviso che si sta cambiando registro a sottolineare la dicotomia dell’essere umano che molto bene viene denunciata all’interno del romanzo. Pensieri come condanna. Corpo come gabbia. Vittorie e sconfitte. La consapevolezza che se si esiste è perché c’è un motivo e c’è la voglia di cercare e trovare. E poi la ragione… come “volontà di essere e non voglia di non morire…” E poi la condanna dell’uomo che forse è la condanna di sé. E poi il divino ed il profano. La carne e l’anima. Tutto per ricercare la “verità” del proprio destino con la consapevolezza che “Triste il destino di un anima senza sé stessa.” Un viaggio, quindi, quello a cui ci sottopone lo scrittore, da fare in un solo giorno, anche se poi l’impressione che si ha è il trovarsi in diverse dimensioni, in diverse menti, in tante situazioni e dubbi e risposte e ricerche. Ma bisogna sbranarlo questo libro per non perdere la rotta del viaggio dentro di esso che poi è il viaggio dentro di noi.
Il poeta e giornalista greco Costantino Kavafis nella sua poesia “Itaka” ci fa capire quanto di un viaggio non sia importante la meta ma il viaggio in sé che si è affrontato per raggiungere l’arrivo. Bisogna approfittare del viaggio per crescere intellettualmente e in coscienza. Bisogna imparare, durante il viaggio, il più possibile. La sua poesia sul senso della vita è lo stesso che ho riscontrato durante il viaggio intimo e intimista fatto grazie a “Rotta per Leuke”. “Sono felice che tu sia tornato.” Leggiamo verso la fine del romano. “Tornato da trionfatore.” … “… ora possiamo costituirci come Uno.” Ognuno di noi è sempre privo di qualcosa e ha bisogno di integrarsi con l’altro per completarsi e questo si evince chiaramente dalla copertina del romanzo dove il personaggio evidenziato in primo paino manca di una parte di sé che si completa con un’ombra che appare sulla destra. Il lettore lo termina il proprio viaggio e all’arrivo si trova dinanzi a….
No, non’è giusto che io riporti le frasi finali del “vostro” viaggio perché ognuno saprà come concluderlo. Come interpretare le ultimissime, concise, frammentate parole ma che… in definitiva, ora, di frammentario non hanno nulla. si vestono dell’unità del tutto e ora il tutto siete voi! Siamo noi! Sono sicura che dopo la prima volta sarete pronti a ricominciare a viaggiare per capire ancora di più. Per capirvi ancora di più!
Teodora Mastrototaro
Titolo: Rotta per Leuke
Autore: Peico
Editore: Montag
Collana: Altri mondi
Data di Pubblicazione: 2010
Prezzo: € 10.00
ISBN: 8896793270
ISBN-13: 9788896793275
Pagine: 71
Reparto: Narrativa > Narrativa contemporanea