Recensione: Paolo Monelli – Le scarpe al sole


Il valore del cameratismo
Mettere le scarpe al sole, nel gergo degli alpini, significa perdere la vita in battaglia e di alpini che muoiono colpiti da un proiettile o dilaniati da una bomba ce ne sono tanti in questo libro scritto da Paolo Monelli, un riuscitissimo diario sulla sua esperienza di vita nel corso della Grande Guerra. E’ quasi per caso che mi sono accostato a quest’opera e il merito è di mia madre, ormai scomparsa, che in verità ebbe a parlarmi dell’omonimo film, uscito nel 1935, diretto da Marco Elter, tratto dal libro, per quanto modificato nella trama, ma senza perderne lo spirito. Considerata l’epoca, nel pieno del ventennio, ci sarebbe da aspettarsi sia nel libro di Monelli che nel film l’esaltazione dei valori patriottici, il richiamo al popolo guerriero, una retorica assidua, e invece non è per fortuna così. Passo ovviamente allo scritto, tanto più che non ho visto la pellicola, e dico subito che a un iniziale sconcerto per lo stile che mescola, apparentemente alla rinfusa, riflessioni, ispirazioni poetiche, anche versi, gerghi militari e dialetti, è seguita una crescente attenzione, perché pagina dopo pagina si è aperto quello che è il sottotitolo (Cronache di gaie e tristi avventure di alpini, di muli e di vino), un mondo tutto nuovo in cui all’atrocità della guerra si contrappone un cameratismo in cui la solidarietà è un obbligo sentito; inoltre si combatte, rassegnati, sovente anche motivati, ma senza odio verso il nemico che anzi si considera un’altra vittima di decisioni che vengono dall’alto, fra una bevuta e l’altra di vino, l’autentica benzina che fa andare avanti un motore umano che altrimenti scapperebbe a gambe levate. Si beve insieme e si muore insieme, si patisce il freddo dell’inverno, ci si inzuppa con le piogge autunnali, non si ama la guerra che però viene considerata una necessità per raggiungere lo scopo di un’Italia più ampia e diversa.  Il protagonista principale, il tenente Paolo Monelli, partecipa e registra poi sul suo diario, descrive l’orrore, ma anche la bellezza della natura, va all’assalto senza odio, ama i suoi compagni e detesta gli imboscati, è un uomo a cui con il conflitto è sottratta la giovinezza e che matura amaramente giorno dopo giorno.
Verrà anche la prigionia, la fame, la fuga dal lager e la cattura, la pietà dei carcerieri austriaci, affamati come i detenuti, eppure spesso compassionevoli. Se la guerra è una gran brutta bestia, la successiva pace sarà ancora peggio, perché l’Italia allargata ritorna quella di prima, non ha nessun rispetto per i reduci e soprattutto per quelli che tornano dalla prigionia, illusi di rinascere a nuova vita.
Per certi aspetti Le scarpe al sole mi ricorda Giorni di guerra, di Giovanni Comisso, con una differenza però: nel primo rifulge il valore dell’amicizia, in grado di aiutare a sopportare ogni tormento, con le colossali bevute in compagnia, mentre nel secondo la guerra è vista come un’avventura con gli occhi di un soldato che ancora crede di giocare, ma che maturerà di colpo in occasione della disfatta di Caporetto. In entrambi i casi si tratta di libri di particolare valore, in grado di attrarre dall’inizio alla fine, e che hanno il pregio di non esaltare mai la guerra.

Titolo: Le scarpe al sole. Cronache di gaie e tristi avventure di alpini, di muli e di vino
Autore: Paolo Monelli
Prezzo copertina: € 18.00
Editore:Ugo Mursia Editore
Collana:Testimonianze fra cronaca e storia
Data di Pubblicazione:settembre 2016
EAN:9788842557678
ISBN:8842557676
Pagine:248

Paolo Monelli (Fiorano Modenese 1891 – Roma 1984) giornalista e scrittore italiano. Ufficiale degli alpini durante la prima guerra mondiale, scrisse su quell’esperienza un fortunato libro di memorie (Le scarpe al sole, 1921). Congedato, intraprese la carriera giornalistica e fu redattore del «Resto del Carlino», del «Corriere della sera», della «Stampa». Scrittore elegante, educato alla scuola della prosa d’arte, portò nell’esercizio professionale il gusto della parola «scelta», e in una sorta di repertorio-pamphlet più volte ristampato (Barbaro dominio, 1921) difese la «purezza» della lingua contro barbarismi e forestierismi. Al tema della guerra dedicò altre opere di narrativa: Sessanta donne (1947), Morte del diplomatico (1952), Nessuna nuvola in cielo (1957). Interessanti, per la lucidità dell’analisi e la scioltezza dell’esposizione, alcuni libri di politica, fra cui Roma 1943 (1945) e Mussolini piccolo borghese (1950).

Renzo MontagnoliSito

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