di Mario Ughi
Pensava di fare una passeggiata in quasi solitudine, nel limbo grigiochiaro di una domenica mattina, dimenticandosi però che ogni prima domenica del mese i negozi sono aperti. L’atmosfera di serena tristezza che cercava, finalizzata a raggiungere un senso di distacco da quanto la circonda, viene forata e colorata dalle luci delle vetrine. Piccoli riquadri di calore riverberano senza riflesso sull’asfalto della strada. Quasi non vuole crederci, si sente tradita, ma non può farci niente. Sorride, pensando che in quella città non ha mai trovato quanto voleva. Ma non è così grave, in fondo: solo una piccola crepa da aggiungere all’affresco del quale presto perderà memoria.
Domani.
Ha posteggiato l’auto poco distante, carica sino all’inverosimile. Forse si sta portando appresso troppe cose legate al passato, pensa, chiedendosi quali di queste sarebbe stato preferibile gettare. Ancore incagliate sul fondo del mare, cime annodate tra loro, da tagliare per riuscire a prendere il vento, e il largo.
Mentre una bianca nuvola copre il sole già sbiadito dalla foschia, cerca di capire che senso abbia quell’ultima passeggiata. Non prova un reale desiderio di dire addio a strade e piazze che mai l’hanno vista felice. Incontrare qualcuno che conosce, la metterebbe a disagio. Con quali parole potrebbe spiegare una decisione tanto simile a una fuga? Ha impiegato mesi, forse anni, a definire i contorni della propria insoddisfazione, ad accettarla, rendendola elemento concreto da prendere in seria considerazione, e altrettanto tempo per giungere alla necessaria decisione. Andare via.
Come si può spiegare a una faccia dubbiosa il potente anelito alla più completa solitudine? O almeno a qualcosa che le assomigli per la maggior parte del tempo possibile. Sorride, ed è la prima volta in quella mattina. Paola non è una sciocca: capisce benissimo che il totale isolamento è un approdo che le sarà impossibile raggiungere. E comunque non è sua intenzione condurre una vita da eremita. Le basta restringere intorno a sé lo spazio di questo mondo sterminato, pieno di persone, fatti, eventi e situazioni in continuo movimento.
Vuole creare una frontiera.
Ha capito ciò che desidera quando si è immaginata dentro a una bolla di vetro, comodamente piazzata al centro, e tutto il resto fuori. Non una protezione, ma piuttosto una distanza. Un punto di osservazione neutrale. Una postazione tranquilla, isolata, dalla quale poter guardare senza essere contaminata. Invasa. Posseduta. Non sta praticando una fuga, o subendo una sconfitta, soltanto, si appresta a volare via.
Domani.
Si guarda intorno: spera davvero di non incrociare una faccia conosciuta. L’esperienza le ha insegnato quanto sia difficile far intendere le proprie aspirazioni a qualcuno totalmente immerso in questa pantomima che ostinatamente viene chiamata società. Anche se ne capisce gli aspetti pratici, persino le necessità che questa soddisfa, non riesce a sostenerne la presenza.
Sente che l’immenso e affollato teatro le chiede sempre qualcosa, e con insistenza sempre maggiore. Troppe parole, gesti, immagini e informazioni le sono state versate in testa nel corso degli anni, sollecitandola a replicare con gesti e parole e informazioni che non le appartengono. Pian piano l’esistenza si è ridotta a una serie di reazioni. Alla fine, pensa, l’intera sua vita consiste adesso nel soddisfare una serie interminabile di richieste. Le azioni che compie non sono il frutto di una scelta consapevole, ma si riducono a una risposta verso sollecitazioni esterne. Non ha idea a quando risalga l’ultimo suo pensiero non collegato a un qualche aspetto della cosiddetta vita di relazione. Per creare un’accettabile forma di pacifica convivenza ha imparato a destreggiarsi tra le strade che è necessario conoscere, come il topolino gettato nel labirinto: attraverso tentativi, errori e botte sul naso. Testate contro un muro. C’è solo una via giusta da percorrere, imposta, e questa si apprende attraverso lezioni molto dolorose. Per sopravvivere è necessario comprendere lo schema stabilito e abituarsi, addestrarsi, altrimenti si è condannati a visitare soltanto vicoli ciechi.
Quello che la spaventa, è la certezza di aver appena scalfito la reale portata dei condizionamenti ai quali è stata sottoposta. E non soltanto lei, naturalmente. Si stupisce sempre di come gli altri possano considerare normale la vita che stanno conducendo. Quali e quanti vincoli e dipendenze e suggestioni indotte in modo subdolo, sotterraneo, lavorano come tanti piccoli motori interni trascinandola verso desideri e bisogni artificiali, lei stessa non riuscirà mai a scoprire finche continuerà ad agitarsi come inconsapevole comparsa sul fondo del palcoscenico. Lasciandosi stracciare l’anima a piacere, senza un reale motivo.
Paola si ferma al centro della strada, di nuovo sorride. Tutto questo avrà una fine. Non domani, ma oggi. Adesso.
Sentendosi priva di intenzione si volta e torna sui propri passi. L’idea di un’ultima passeggiata viene abbandonata quale gesto infantile, senza troppi rimpianti. Niente la trattiene: tutto quanto voleva lasciarsi alle spalle è stato venduto, ceduto, gettato via. Il resto troverà spazio sul ciglio della strada. Qui inizia un viaggio che la porterà verso un posto appartato, magari in cima a una montagna, uno spazio delimitato e protetto da una cintura di alberi che si stagliano contro un cielo immacolato, sconfinato.
Una serie di messaggi elettronici deposti con cura dentro un qualche server lontano, improbabile, si scaldano nell’attesa dello scatto immediato che li porterà alle rispettive destinazioni, nell’ora stabilita. Qualcosa di simile a un ghigno sfiora le labbra di Paola. Messaggi elettronici. Scuote la testa. Solo poche parole ha speso, per sparire.
Non cercatemi.
Tratto da: Livorno – Cronache immaginarie
Mario Ughi