NON ORA, NON QUI
La sorellina si abituò presto ai bei miglioramenti e fu felice. Io stentavo. Tu mamma sei stata bambina e poi ragazza in buone case e bei posti. Era naturale che desiderassi recuperare quella condizione. Ma io ero cresciuto in quel vicolo e c’erano tutti i miei sonni là dentro.
Certo non ne facevo veramente parte. Tornavo a casa con la cartella dei libri e il grembiulino nero mentre gli altri bambini si tiravano sassi, ammazzavano topi, lavoravano come garzoni nelle botteghe. Io avevo già fatto qualche bagno di mare a Ischia con un costume, loro erano andati forse qualche volta a sguazzare nudi nell’acqua appestata del lungomare. Però c’era la nostra casa: contenne tutta la mia infanzia, le tue parole amare, l’aria che ci mancava, il silenzio di papà che arrivava tardi la sera, stanco di chilometri. Noi dormivamo già, voi chiudevate la porta, parlavate un poco, ascoltavate la radio. Era quella la vita regalata, la sola conosciuta, la sola condizione amata. Era la casa dell’infanzia mia quella che volevate cambiare e intanto ci vivevate dentro, risparmiavate, aspettavate. Ho saputo tardi queste cose, le ho sapute da me. Ero solo un bambino allora, fuori c’era un vicolo mai stanco di voci, strilli, fumo di carbonella e dentro c’era una famiglia ostinata che si opponeva alle ristrettezze e pretendeva molto da sé, dai figli, molto studio, molta intelligenza, molta ubbidienza. Il bambino metteva tutto insieme ed era vita sua la povertà e la lotta segreta per non cederle,
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