Il coronavirus come radice dell’anima
“Era il tempo della pandemia” di Nicola Apollonio edizioni EspressoSud, 2020, è un libro di appassionata testimonianza di una cronaca in presa diretta del Covid-19, che si fa presagio, presa di coscienza, documento storico corredato di tanti pareri , – giornalisti, virologhi, politologi, scienziati ,- è la descrizione, o, meglio, il quadro , la fotografia irrelata di un periodo che è già oltre , fa parte del passato, ma allo stesso tempo sembra non avere tempo; non finisce mai di finire , come diceva circa duemila anni fa Origene.
Purtroppo non siamo mai usciti dall’emergenza. E’ un’altra apocalisse dei nostri tempi, che ci discaccia dalla cerchia degli amici e dei parenti ( niente abbracci, né baci), ispessisce la nostra solitudine come una camicia di forza (con mascherina) che stringe la gola , il naso e la bocca , e ti toglie il respiro , che ci aggredisce, ci assedia, ci fa attraversare questo buio nuovo, sconosciuto claustrofobico, in cui manca l’ossigeno. Ormai non c’è posa a dare sollievo all’insonnia permanente che ci precipita in orridi baratri , in ataviche paure .Siamo al chiuso, serrati, nelle nostre case, in costante allarme , attenti all’ingresso della belva invisibile , in agguato, che striscia lungo gli stipiti delle porte. E’ un viaggio a ritroso nella storia del ghiaccio eterno che avvolge e raggela il nostro sangue in teche di cristallo. Ecco che mi rigiro nel letto la pillola dell’ansia, e mi ritrovo solo, come tutti, a questo mondo , su questa vecchia terra che a fatica rotola nello spazio, ma perde i giri, precipita lentamente nel silenzio.
L’intera Europa – scrive Apollonio – si è trasformata in una specie di lazzaretto e l’Italia in pochi giorni, è diventata il secondo Paese al mondo per numero di casi dietro alla Cina. Milano è stata al centro dell’emergenza sanitaria, insieme a Bergamo, Brescia e Cremona, dove il virus sembrava aver trovato il suo territorio fertile. E’ la storia di un’infezione che ha sconvolto, che sta sconvolgendo il mondo, se consideriamo gli scenari attuali sempre più allarmanti. Quella di Nicola Apollonio, – che è stato (ed è) mio maestro di giornalismo- è una riflessione importante mirata a spiegare alle generazioni presenti e future i rischi connessi alle epidemie e alle possibili conseguenze sanitarie, sociali, politiche ed economiche. Il Covid-19 ha modificato (e lo farà ancora di più) tutti i nostri comportamenti, le nostre prospettive, i nostri orientamenti, scardinando la storia e la geografia, facendo di noi, ma soprattutto dei nostri figli e nipoti gli “Atlanti dell’economia” , con un peso insostenibile da portare. Il coronavirus ha scardinato ogni nostra certezza, ha condizionato i nostri pensieri, si è appiccicato alla nostra anima come una irreale realtà. Da ora in poi dobbiamo renderci conto che viviamo in un mondo che si sta spostando verso l’inferno il più velocemente possibile, e questo libro , pieno di fatti e misfatti, di ragioni e irragioni, di tentativi di spiegazioni di un virus devastante, è in realtà la cronaca vissuta giorno dopo giorno nella redazione di una rivista (EspressoSud) fondata e diretta dall’autore per mezzo secolo. Una storia scritta a fil di spada o di rasoio, il più rapidamente possibile, affinché mettendo nero su bianco si trasformasse in qualcosa di concreto, di vero, di accaduto (mai fidarsi della memoria, che è uno strumento meraviglioso, ma fallace), e lui lo ha fatto, come sempre, con entusiasmo, con rigorosa etica professionale, da giornalista innamorato del suo mestiere, usando un linguaggio piano, chiaro, essenziale , comprensibile a tutti, dal colto all’inclita. Ma l’emergenza continua, “servono coraggio uno sguardo nuovo per uscirne”, scrive il virologo Andrea Crisanti.
Quando Nicola me ne parlò, qualche tempo fa , gli dissi che il titolo mi rievocava un po’ Gabriel Garcia Marquez ( L’amore ai tempi del colera, gran romanzo, ma pessimo film), e un po’ il grande Alessandro Manzoni dei “Promessi Sposi” , ben sapendo che nel suo libro non ci sarebbe stato né l’immaginifica ironia surreale del colombiano , né il pathos struggente d’una Cecilia che deposita la sua figlioletta morta sul carro dei monatti . Ma poi riflettendo mi venne da pensare anche a “Cecità” di Josè Saramago, vasta e lucida allegoria sull’indifferenza e lo sfacelo dell’umanità. Il mal bianco che contagia tutti o quasi, gli abitanti di una città che vengono rinchiusi in un lager e là abbandonati da un’Autorità di tipo repressivo ( Ma in questi casi, -come abbiamo visto- qualsiasi Autorità diventa repressiva). “Perché siamo diventati ciechi? , alla fine chiede un personaggio. “Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono , Ciechi che, pur vedendo, non vedono”. E questa risposta ci rievoca il Vangelo, che, se è quello giusto, fa sempre male, è una ferita, un rimorso.
Noi possiamo ancora vedere, ma dobbiamo “guardare”, dobbiamo “osservare”, questo è il consiglio di Apollonio che, con mia sorpresa , ha inserito in “appendice” qualcosa di umoristico che fa pensare alla commedia dell’arte di stampo napoletano, come il “vairus” (all’inglese) di Giggino Di Maio, nostro ministro degli Esteri , e “‘A livella” di Totò , che “ non guarda in faccia nessuno , non fa differenza tra poveri e ricchi, tra miseri e potenti, tra avari e generosi. ( pag. 154) . Ma subito dopo aggiunge che l’effetto livella scompare , se si mette a fuoco , con una lente d’ingrandimento, l’incidenza del comportamento dei singoli individui e degli Stati. “I buoni diventano più buoni, i cattivi più cattivi, i malavitosi trovano nuove opportunità, i furbetti diventano astuti, i prepotenti restano tali anche con la mascherina , ma cambiano strumento di lavoro: uno strisciante soft power è senza dubbio l’attrezzo più adatto agli obiettivi da conseguire (pag.155)
“Viviamo un tempo sospeso, condizionato dal virus, viviamo in un mondo provvisorio, dove a prevalere è l’istinto di sopravvivenza. Viviamo in una società senza tempo, deprivata di quei concetti di “prima” e “dopo” indispensabili per darci una prospettiva , perché non sappiamo quando sarà veramente finita( pag.141).
Già negli anni ‘90 , il microbiologo statunitense Joshua Lederberg , premio Nobel per la medicina, aveva detto: “L’unica più grande minaccia al continuo predominio dell’uomo sul pianeta è il virus. Altro che guerra dei mondi! Guarda caso, è lo stesso concetto che ha espresso Apollonio ai microfoni di “Telerama Lecce” in cui ha voluto sottolineare come questo tuttora inconoscibile microscopico ospite – attraverso il “paziente “zero”, un cinese , mai trovato, – stia infettando l’intera umanità. Ormai non c’è paese al mondo che non sia stato contagiato. Questa pandemia che molti scienziati avevano previsto fin dal 1989 , ci ha trovato comunque impreparati. “Dà una sorta di vertigine veder accadere qualcosa che ho scritto trenta anni fa , – ha detto uno scienziato americano. Ma sono scoraggiato nel constatare che nonostante tutto, la situazione ci ha colto impreparati, e che siamo ancora in piena negazione.”.
Questo nuovo coronavirus si trasmette attraverso l’aria, dura giorni sulle superfici, e si replica nel basso tratto respiratorio. Inoltre, ci possono essere casi lievi o asintomatici, il che significa che, se anche le persone sono infette, spesso si sentono abbastanza bene da uscire, andare a lavoro e tossire sugli altri. Mentre aspettiamo la terza ondata a Hong Kong, mi viene in mente la grande Susan Sontag, che diceva più di cinquant’anni fa , – Amici, noi viviamo in un’epoca di estremismi, sotto la minaccia continua di due prospettive egualmente spaventose, anche se apparentemente opposte: la banalità ininterrotta e un terrore inconcepibile non si sa bene di che cosa. Ma questo non è ancora il tempo della fine – fine della storia , dell’uomo e della civiltà , – quanto piuttosto , come è stato già detto, “un tempo penultimo”, un tempo opportuno, necessario, in cui questa nuova apocalisse s’inscrive come possibilità di salvezza e non come distruzione totale.
Ma anche in questo caso , scrive l’autore, ci saranno i “sommersi e i salvati”. Ha dovuto scrivere subito , documentare la cronaca minuta e farne la storia di domani, attraverso i vari capitoli che formano il libro ( undici più un’appendice) . “ La peste del terzo millennio” inizia con il coronavirus che se ne va per le strade del pianeta con tutti i mezzi disponibili. Città e paesi spettrali, strade deserte, finestre semichiuse, luoghi senz’anima, in cui sembra smarrirsi anche il vecchio papa Francesco. “Da Codogno al resto del mondo” è il titolo del terzo capitolo. Dal paziente numero uno all’espandersi del coronavirus per tutta l’Europa , colpendo anche gli ironici e gli scettici come Boris Johnson, il primo ministro britannico, che finirà ricoverato in terapia intensiva. Nel capitolo quarto, “Il Governo chiude il Paese”, 60 milioni di italiani non possono uscire dalle proprie case, come mai era accaduto nella nostra storia . Sospese tutte le cerimonie pubbliche e religiose. I morti devono seppellire i morti, come sta scritto nel Vangelo . Nel capitolo quinto troviamo “Un Lazzaretto tra le ciminiere”, che riguarda le province di Bergamo e Brescia, davvero due leonesse, per coraggio e volontà senza limite .” Si moriva da soli , senza poter vedere i familiari un’ultima volta, senza il conforto di una preghiera “(pag.57) . Nel capitolo VIII , “ Il paese dei Pulcinella” , è in scena il dramma di una mascherina, che non si trova da nessuna parte, poi segue “L’Europa matrigna “,“Schifo e sdegno per quest’Europa”, urla Salvini. Mattarella è più pacato, ma ugualmente duro: “Questo è il momento in cui tutti devono comprendere appieno, prima che sia troppo tardi, la gravità della minaccia per l’Europa. La solidarietà non è soltanto richiesta dai valori dell’Unione, ma è anche nel comune interesse”(pag.108). E si arriva alla “Confusione totale”. “L’Italia era diventata il centro della pandemia mondiale, con un numero di morti pazzesco; la nostra economia era al collasso e si correva il rischio di drammatiche rivolte sociali”(pag.117).
“Come sarà il nostro futuro?” Così s’intitola il capitolo XI . Come si riparte? La nostra vita sarà diversa da prima , e chissà per quanto tempo. Forse per sempre. Ma come sarà, nessuno sa immaginarlo. Di sicuro sarà più dura per molte attività economiche, quelle che erano al centro della vita sociale. La Puglia e il Salento erano una meta privilegiata del turismo e su questo settore il Covid-19 è passato come il napalm. (pag.136)
“Ne usciremo a seconda dello stile di vita che adotteremo”, ha detto l’arcivescovo Mario Delpini, capo della Chiesa di Milano che è diventata la prima trincea italiana della lotta al contagio. “Il mio timore è che si possa ricominciare come prima. Il rischio è che si pensi di correre ancora di più perché siamo rimasti indietro. E questo non sarebbe un cambiamento reale. Dobbiamo rafforzare i nostri legami sociali in base a un solido senso di responsabilità reciproca, non possiamo limitarci a dare sfogo a rabbia e aggressività nei confronti del prossimo”. (pag.142)
E se fosse veramente arrivata quell’ora del “cambio di vita”, della svolta, del “quanto avrei potuto dare per amore” , e non pensare che sia troppo tardi per farlo? Con la quarantena abbiamo avuto il tempo di pensare un po’ a noi, alle nostre cose sporche che abbiamo lasciato a lungo dormire. Dobbiamo ripulirle. Mondarle. Ma ecco che appena esco di casa, vado fuori, sento il cattivo odore della città, sotto montagne di rifiuti , che non vengono raccolti da giorni , e in ogni angolo, in ogni via , in ogni piazza, massicci sono gli urti della violenza, del sangue, per i motivi più squallidi e banali ; si raggruma la chiazza rossastra , ed è quanto rimane nella piazza assolata. La gente fugge. Scatta l’immagine stravolta, ripiega in fuga l’orda di vecchie tracotanze mai del tutto sopite. Ancora uno scoppio nella trama oscura, impazziscono le sirene in strade lacerate, altro dolore, altro sangue, altri morti: alto è il prezzo di questo vuoto malfermo, incerto, che governa una caparbia volontà di autodistruzione, anziché di pace, di rispetto, di solidarietà, di fratellanza, di amore che in realtà – forse – non c’è mai stato.
L’insidia vera e strisciante del covid-19 è un’ombra invisibile, nera, che si radica nell’anima.
Augusto Benemeglio
Roma, 3 agosto 2020