Nanapsi di Corrado S. Magro


Nanapsi anche lei di forma sferica era un’irrequieta. Sempre in movimento urtava le consorelle molto più pacioccone, spesso in letargo: il movimento più impegnativo che eseguivano era di girarsi su uno dei molteplici assi poggiandosi vicendevolmente alle altre sfere identiche ad esse, tranquille e certe che quali parti intrinseche del Grande Maestro non avevano nulla da temere da un domani sicuro ed eterno come l’ieri, senza passato né futuro.  Ma Nanapsi pur essendo una simpaticona piena di brio, rompeva. Era proprio insopportabile, ne inventava sempre una nuova,  agitandosi imprevedibile lungo uno dei suoi incalcolabili assi. Senza alcun complesso  si permetteva di solleticare anche la fantasia del suo Signore, distraendolo dallo stato di meditazione profonda durante la quale provava  come procedere, come fare e disfare quei periodi da noi considerati ere o millenni e che per Lui erano semplici tocchi del suo IO senza inizio né fine.
Tocchi di tempo che assorbivano tutto nell’immobilismo di un divenire impossibile a rappresentarci nel suo vorticare a velocità mille, diecimila volte, infinitamente più veloce della velocità della luce come noi la percepiamo nello sforzo di attribuire alle cose  un inizio ed una fine proprio a causa di una Nanapsi irrequieta.  Ad un certo punto Egli che non poteva volere o non volere perché tutto era in lui, si disse essere venuto il momento di realizzare qualcosa di nuovo da incastonare nei suoi scaffali intimi. Qualcosa in cui quelle parti che vi si muovevano costituissero un quadro variegato e colorato da miliardi di miliardi di piccoli e grandi esseri e cose: mosaici da potere osservare, diversi da se stesso, evoluzione eterna e quindi immobile, e vederli cambiare, modificarsi durante una presenza limitata su un segmento temporale per assumere poi una forma di energia diversa.
A chi affidare questo compito? Osservò con più attenzione le sfere che riposavano a parte una che saltellava in tutte le direzioni, che gli strizzava l’occhietto e s’infilava nelle parti più recondite per solleticarlo facendolo ridere. Fu proprio per allontanare quel fastidio che con il medio le diede una spintarella.
Non fosse mai stato.
Quella spintarella impresse a Nanapsi un movimento rotatorio lungo un asse proprio in direzione degli interspazi tra le punte del primo ordine di stelle  che avvolgevano la parte interna del pensiero del Grande Maestro. L’urto abbastanza violento era riuscito a sfruttare l’elasticità della struttura stellare che nessun telescopio sarà in grado d’individuare e  Nanapsi scivolò fuori, dove ad una velocità inconcepibile volava, turbinava in  tutte le direzioni, in mille spirali, cercando di aggrapparsi disperatamente a qualcosa che la frenasse, senza trovarla. Per la prima volta ebbe una sensazione nuova, quella del vuoto. Il vuoto era veramente vuoto e cominciava a rendersene conto. Ubriaca da quel precipitare disordinato e involontario, che non era nemmeno precipitare, le venne il desiderio di chiedere aiuto: ma il buio assoluto le metteva terrore, altra sensazione che le impediva di sentire la presenza e il fruscio del pensiero del Grande Maestro. Non si rendeva nemmeno conto di vagare dentro un altro emisfero del pensiero di Lui, anche se non esisteva un “fuori” all’interno  della sua immensità.
Fu così che Nanapsi si trovò confrontata con  qualcosa di molto diverso: con un inizio! Non aveva alcuna idea di come sarebbe andata a finire questa sua avventura e a malavoglia dovette adattarsi. Capperi, si disse per un istante che noi quantificheremmo in anni luce, che cavolo è questa voglia? E all’improvviso si trovò anche a riflettere:
– Ohohoh ma cosa mi succede? Com’è strana questa sensazione così poco piacevole e questo riflettere assillante.
Fu così che la sua esistenza eterna entrò in un’altra dimensione dove poteva volere o non volere, gustare con più o meno piacere, pensare, desiderare, poter dire prima volta, avere una logica. E fu proprio indotta da questa logica a considerare che se c’era una prima volta, ce ne sarebbero state delle altre: e poi?
Mentre lasciava inconsciamente l’emisfero delle dimensioni eccelse e indefinite per entrare in quelle spaziali e temporali tridimensionali, come noi le percepiamo, ebbe una nuova sensazione: qualcuno, qualcosa  la frenava e la scaldava.
E come mai? Che, aveva avuto freddo? Freddo, caldo… ?! Che fosse il suo Signore? Mah! Nanapsi non arrivava a capire tutto quello che le stava succedendo. Provandoci sentì un improvviso mal testa:
– Ma ho una testa adesso? E cos’è?
Roteò su se stessa e ora pur non avendo occhi (l’occhiolino al suo signore lo faceva provocando una protuberanza sulla sua superficie), tramite la propria forza mentale scorse due raggi luminosi che roteavano avvolgendola, incrociandosi senza però sbattere l’uno contro l’altro nonostante il semaforo all’incrocio fosse sempre verde per entrambi.
Nanapsi rise contemplandoli:
– Che bello!
Proprio nel momento in cui si concentrava su uno di essi, si accorse che invertivano scambievolmente direzione rotatoria. Distolse da loro la propria attenzione e quando ritornò ad osservarli il fenomeno si riprodusse. Il giochetto la incuriosì divertendola e facendole dimenticare, o meglio quasi ignorare il passato di anni luce dal momento dello scivolone fuori dall’involucro stellare, ridotto ormai ad una scia opaca sempre più fievole. Si accorse così di possedere ora qualcosa che le faceva dire  “prima” e “dopo” e stabilire una direzione.  Ormai aveva una memoria e la memoria le permise di prendere  coscienza del suo stato antecedente.
Le venne naturale  chiedersi se non fosse giudizioso ritornare alle origini.
Il suo Signore non poteva evitare di seguirla e si sentì in dovere di comunicare con lei in forma esplicita. Se lo faceva era perché ora Nanapsi pur restando parte di lui, si trovava situata su un asse evolutivo che le permetteva di vagare in una qualunque direzione scelta liberamente tramite riflessione o per istinto che è la manifestazione dell’inconscio. Pur appartenendo ad un ordine ben  definito, era dotata di libero arbitrio senza dovere nulla a nessuno se non a se stessa. Informarla era indispensabile.
Un fruscio raggiunse Nanapsi.
Percepì qualcosa che attirò tutta la capacità introspettiva in suo possesso. Si sentì pervasa da uno strano flusso che circolando le causava piacere intenso, apprensione, gioia, dubbi e una percezione intuitiva  come fosse una voce che sorgendo da lontani spazi siderei le sussurrasse:
– Nanapsi. Da me hai ricevuto un’energia inestinguibile perché parte di me stesso. Questa energia fa di te il tuo stesso signore e creatore. Inizierai a costruire il mondo. E quando sarai stanca sparirai, ma sarai eterna come lo eri una volta e resterai eterna nel divenire perché al momento del trapasso chi avrà origine da te porterà in sé tutto quello che tu possiedi, che hai avuto da me e che gli sarà trasmesso nella stessa quantità costante  e indivisibile. Sei il capostipite di un’evoluzione che non potrà mai fermarsi perché io non ho fine, un’evoluzione che si arricchisce in uno scambio continuo, assumendo gli aspetti più diversi pur conservando la medesima sostanza che costituirà l’universo e la natura derivati da te e che io osserverò con piacere infinito.
Nanapsi sorpresa restava sopra pensiero. Ora poteva sgranare occhi e grattarsi orecchi che pizzicavano. Ma non aveva orbite, non aveva pupille, né mani, né organi uditivi. Lo faceva con il  pensiero. Questo poi che diamine era?
Eppure sentiva di poterlo fare. Infatti  proprio col pensiero aprì qualcosa che doveva essere la bocca, sbadigliò. Il pensare era un’attività continua, impossibile a interrompere. La impegnava abbastanza e stanca cadde in un dormiveglia non sapendo ancora cosa fosse il vero sonno. Mentre credeva di riposare aveva la sensazione di essere trasportata, di lievitare avvolta in un fluido in movimento. In tale stato ebbe un numero incalcolabile di visioni che la fecero rabbrividire, piangere, ridere, gioire, godere e vide l’universo svilupparsi dentro una sfera della quale non poteva stabilire né dimensioni temporali né tanto meno confini materiali.
Proprio mentre provava un piacere profondo che avrebbe voluto fare suo per sempre, un piacere che l’assorbiva e annientava, come quello vissuto nell’emisfero eccelso, sentì che il suo involucro cominciava a deformarsi a mostrare qualche protuberanza. Qualcosa esplorava l’interno della sua superficie, alla ricerca di un punto debole da dove potere uscire. Pizzicava e a volte creava disagio. Provò ad ignorarlo. Impossibile. Per un attimo ebbe  coscienza che tutto era accaduto proprio per aver causato lei stessa un pizzicorino. Ne dedusse che i pizzicorini provocano sempre degli effetti molto curiosi e interessanti con desideri da dovere soddisfare. In quel dormiveglia a volte fastidioso e altre volte piacevole, sentì che le protuberanze ora erano due e premevano insistentemente contro l’involucro che la racchiudeva. La pressione cresceva. Nanapsi si sentiva gonfiare, tendere come una  bolla di gomma americana pronta a scoppiare. Era a volte pervasa da tremore, vibrava, ebbe anche paura e finalmente ecco… uno, due milioni, miliardi di brividi intensi tanti da sembrare uno solo, attraversarono il suo incalcolabile numero di assi e poi… blop.
Fu un attimo infinitamente piccolo, un guizzo di luce, simile all’emissione di un fotone che cede la propria energia prima di sparire, ma sufficiente per farle scorgere che lei pur restando indissolubile ormai non era come prima perché si sdoppiava in due unità a lei identiche. Il suo sorriso, nato da un nuovo sentimento, sete di speranza racchiusa nel guizzo del fotone non si disperse ed andò ad alloggiare nel medesimo istante  in Napsi e Sina partorite da lei, le quali attraversate dall’ultimo brivido di Nanapsi si sentirono avvolte ognuna da due girandole luminose identiche a quelle che prima avevano fasciato Nanapsi.
Il Grande Maestro le seguiva ancora con molta cura e non solo non voleva, ma non  poteva intervenire perché quello che avveniva era Lui ad averlo iniziato e non  poteva andare contro se stesso o modificare il proprio operato in movimento su un unico vettore eterno, diretto verso  l’infinito.
Napsi e Sina, nuove al mondo, sebbene con il patrimonio di  conoscenze che era stato loro trasmesso, rimasero frastornate. Fu una sensazione passeggera. Ben presto si resero conto di non essere sole e presero coscienza l’una dell’altra. Erano due entità separate ma identiche come fossero una unica e sola goccia d’acqua. Non possedevano organi per la percezione dei sensi, ma questo non  impediva loro di comunicare attraverso la loro forza mentale con occhi, orecchi, tatto, gusto ed olfatto virtuali. Si guardarono e sorrisero. Avevano tanta voglia di muoversi.  Provandoci si accorsero di una forza che le indirizzava  in direzioni diverse. Obbligate a separarsi? Va bene si dissero, ma prima di intraprendere il viaggio decisero di darsi la mano; poi riflettendo, poiché avevano gli stessi identici pensieri, al posto della stretta di mano virtuale preferirono strofinarsi fisicamente con  affetto. E qui accadde qualcosa di nuovo: dal punto dove si toccavano, partì un raggio di luce proiettato verso l’infinito.
–  Eh? – fecero insieme meravigliate – E questo?
Si staccarono. Il raggio sembrava volere sparire, spegnersi per poi ritornare a brillare quando loro gli rivolgevano l’attenzione e nell’istante in cui si tesero la mano e le dita virtuali si sfiorarono, ecco un nuovo raggio. Risero contente ed eccitate iniziarono una danza come due acrobate di pattinaggio artistico non  sul ghiaccio ma libere nel vuoto, con le girandole luminose che le avvolgevano generando un’infinità di raggi. Il Grande Artefice le osservava compiaciuto. Avrebbe quasi voluto imprimere una spintarella ad una di quelle altre sfere sornione, ma non volle disturbarle dal torpore almeno per il momento. Forse più avanti sarebbe passato a qualche altro esperimento. Napsi e Sina, smesso di piroettare si guardarono  soddisfatte e già lo rispecchiarsi l’una nell’altra, il semplice pensiero di comunicare generava nuovi raggi che le riempìrono di stupore. Sebbene fossero quasi una cosa unica, la forza insita, primitiva che le spingeva a muoversi in una direzione divergente, si faceva sempre più insistente. All’inizio del loro cammino, l’ultimo raggio emesso alimentato dall’ansia dei loro cuori rimaneva costante, nuova guida che le accompagnava nel girovagare e a cui Napsi e Sina prima di avviarsi, decisero di dare un nome:
– Lo chiamiamo Napsi?- propose Napsi.
– Potremmo chiamarlo Sina. – aggiunse quest’ultima
– Ma dai chiamiamolo Napsi.
– No suvvia. Sina.
Il loro Signore osservava ed udiva.  Poi una voce piena, profonda, grave rimbombò come il brontolio del tuono perduto a distanza:
– Ascoltate la mia parola! In un eterno scambio di comunicazione l’energia genera energia. Quella che emana da voi e da chi sarà dopo di voi, si chiamerà Sinapsi.
E la voce si spense nei cerchi concentrici dell’impatto sonoro, onde che vagano lontane sulla superficie dormiente degli oceani.
Era la primavera siderea che racchiudeva una miriade di corpi stellari e di pianeti nati milioni o miliardi di anni prima, pronti a sbocciare e sui quali avrebbe regnato inconsciamente l’uomo,  appollaiato sullo scalino più alto dell’evoluzione. Condensato di un insieme di cellule e di sinapsi che sotto la spinta continua della forza del divenire dell’immenso immobile sarebbe stato in grado di decidere se vivere in armonia o in contrasto con l’universo. L’uomo, ultima espressione che l’evoluzione era riuscita a costruire come l’essere più simile al Grande Maestro da cui emanava, il più vicino a lui nelle apparenze ma spesso distante nella sostanza della più gran parte delle proprie azioni.
Nanapsi pur trasformatasi miliardi di anni prima, restava viva e si perpetuava nel brio  delle sinapsi che avevano stupefatto Napsi e Sina e delle quali  il Grande Artefice era in grado di prenderne coscienza ad ogni istante perché lui stesso era la coscienza sorridente, l’Energia del tutto, il soffio della speranza.

Corrado S. Magro

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