A cura di Augusto Benemeglio
1.L’IDEA DEL NOBEL
L’idea e la funzione originaria dei premi “Nobel” sono state chiaramente delineate da uno dei premiati, il francese Charles Richet: “Insegnare al mondo che per ogni uomo veramente degno di essere uomo c’è un triplice ideale; di poesia, di scienza e di pace. La scienza è verità; la poesia è bellezza; la pace è giustizia.
Montale cominciò a sperare concretamente nel Nobel nel 1972, quando fu assegnato a Heinrich Boll (“ Opinioni di un Clown”, “Foto di gruppo con Signora”) e poi nel 1973, ma gli fu preferito lo sconosciuto scrittore e drammaturgo australiano Patrick White, un visionario espressionistico che avrà venduto qualche centinaio di libri o giù di lì. In entrambi i casi Montale faceva parte della famosa “rosa” dei cinque o sei.
Mel 1974 Montale ormai non ci credeva più, non era entrato neppure entrato fra i finalisti, premiarono due svedesi ex aequo, anch’essi praticamente sconosciuti, tali Jhonson e Martinson. Ma ovviamente chi assegna i premi è l’Accademia Svedese, e quindi nulla di strano che ogni tanto premino anche qualcuno dei loro. Montale pensò che ormai il treno era passato, era troppo vecchio, alla soglia degli ottant’anni, e poi per l’Italia appena ventisei anni prima avevano dato il Nobel a Quasimodo, molto sponsorizzato dalla sinistra italiana. Insomma il vecchio Eusebio si mise l’anima in pace, invece l’anno dopo, nel 1975 tornò in lizza, ma la concorrenza era molto agguerrita: c’erano nella rosa Simone De Beauvoir, Saul Bellow, Graham Greene, Leopold Sédar Senghor e nientepopodimeno che Jorge Luis Borges, insomma tutti pezzi da novanta, se consideriamo i premiati degli anni precedenti.
Il 22 ottobre arrivò una telefonata da Stoccolma con cui gli dissero che l’assegnazione del premio era quasi certa. Ma l’annuncio ufficiale sarebbe stato dato il giorno successivo verso le 13.
2.MARTHA LARSSON
Il 22 mattino era venuta a casa Montale, da Roma, la giornalista svedese Martha Larsson per tracciare una rapida biografia del candidato, Quando ha scritto la sua prima poesia? Montale inventò lì per lì, Avevo cinque anni e la ricordo perfettamente: “il vaso era al posto noto/ né pieno né vuoto”. Lei ha molti lettori in Svezia? Non so, disse il poeta, forse lei è più aggiornata di me. Ogni tanto mi arriva una cartolina con slitte trainate da cani, saranno quelli i miei lettori? E la giornalista annotava, ma ormai aveva capito con chi aveva a che fare, allora gli chiese, Cosa ne pensa della crisi italiana? E lui disse, Finirà bene, non ho mai visto un paese che muore perché il bilancio è in passivo, dacchè mi ricordo l’Italia è stata sempre in crisi, Mio padre diceva ai primi del secolo, è una catastrofe, non si può andare avanti, sono passati più di settant’anni e i discorsi sono sempre gli stessi. Solo al tempo del fascismo non si facevano perché non si poteva parlare. Adesso siamo arrivati all’eccesso opposto: dal mutismo alla logorrea. La giornalista concluse con la domanda classica in queste circostanze, Quale messaggio manda al mondo con la sua poesia?, Messaggi?, disse montale, i messaggi è meglio non mandarli, come diceva Conrad, che a questa domanda s’indignò. Per me la poesia è un invito alla speranza. La biondissima Martha annotò sul suo taccuino, lo richiuse, ringraziò e concluse così l’intervista di un possibile, anzi ormai probabile Nobel per la letteratura , ma la conferma ufficiale doveva essere data il giorno dopo alle ore 13, con la precisione di un orologio svizzero.
Uscita Martha Larsson, accompagnata all’uscio dalla fedele governante Gina , Montale pensò a sua moglie, la “Mosca” .Sarebbe stata contenta? , certamente , ma poi avrebbe soggiunto, Dai Eugenio , non fare il pirla , è solo una burla! E se fosse stata davvero una burla?, pensò il poeta. Lo chiamò la Gina, il pranzo era in tavolo: un piatto di riso all’olio e limone e due polpette con l’insalata. Stanotte non dormirò, disse Montale alla Gina. Ma lei quando mai ha dormito, di notte, Signor Eugenio?.
Già, è vero. Sono sessant’anni che soffro d’insonnia. Comunque sentiremo la radio domani, alle 13 in punto. Gli svedesi sono più precisi degli orologi svizzeri.
E pensò, sbucciando una pera , che tutto ciò si doveva forse al suo vecchio amico svedese , ormai novantenne, Anders Osterling, che aveva tradotto le sue poesie in svedese, e ora che l’avevano eletto presidente della Giuria per il Nobel… Sì, è vero, tutto il mondo è paese, – cominciò a ridere dentro di sé il vecchio poeta – anche in Svezia fanno le mafiette. Ma poi gli venne di nuovo il dubbio, E se poi non me lo danno il Nobel?, che figura da pirla! , disse alla Gina che, mentre sparecchiava ,lo guardò con l’affettuoso compatimento di una mamma . Si fermò e gli disse , aiutandolo ad alzarsi dalla sedia, Ora andiamo, vada a fare il solito riposino pomeridiano, Signor Eugenio . E lo accompagnò in salotto aiutandolo a sistemarsi sulla poltrona prediletta.
3. LA NOTIZIA UFFICIALE
E’ giovedì, 23 ottobre 1975 e al terzo piano di via Bigli, 15, a Milano, suona il telefono. Va a rispondere la Gina. Montale sta fumando in compagnia di due amici, Gaspare Barbiellini Amidei, vice direttore del Corriere della Sera e Giulio Nscimbeni, che dieci anni dopo scriverà una delle tante biografie del poeta. La Gina entra nel salotto e dice, Chiamano dall’Ambasciata di Svezia . Montale si alza dalla poltrona con un po’ di fatica ,si appoggia al braccio della governante e si avvicina al telefono. Parla in francese con l’ambasciatore svedese, si sgrana tutta una fitta serie di “oui” . Alla fine Montale dice due volte “merci” e riattacca l’apparecchio. Mi hanno dato il Nobel, dice alla Gina, che gli prende il capo e lo bacia sui capelli bianchissimi. Ora andiamo a tavola, Signor Eugenio ? Erano nella piccola stanza che precedeva la cucina, tra un vecchio frigorifero e la porta del bagno di servizio . Ancora no, risponde il poeta, fumo un’altra sigaretta con i miei amici e poi vengo. Lo aspettavano il solito piatto di riso all’olio e limone, due polpette e un po’ d’insalata. Sempre accompagnato dallal Gina tornò a sedersi in salotto, con gli amici che erano in attesa di un suo commento, felicissimi dell’evento. Erano ventisei anni che mancava all’appello un nobel italiano per la letteratura.
4. DOVREI DIRE COSE SOLENNI
L’ambasciatore svedese mi ha detto che scrive poesie anche lui, disse Montale tutto frastornato anche se non appariva esteriormente, tranne un tremolio della mano con cui stringeva la sigaretta. Che cosa vi aspettate, ora? Che dica cose solenni, immagino. Ma mi viene invece un dubbio, cari amici: nella vita trionfano gli imbecilli. Lo sono anch’io?
Nel frattempo la Gina , in cucina , aveva acceso la radio ( in casa era vietata la televisione) , che dava la notizia d’agenzia. A questo punto anche i due amici si alzano e vanno a vedere l’apparecchio, come per ascoltare meglio , poi d’impeto abbracciano il poeta; per loro e per tutti gli italiani era davvero un momento solenne, di gioia, che non sarebbe mai uscito dalle loro memorie. Stavano tutti in una piccola cucina, dove un esile filo d’acqua scendeva dal rubinetto per lavare l’insalata, le pareti erano vuote. S’avvertiva il senso di una distanza , di una intimità e una solitudine domestica che nemmeno il Nobel riusciva a valicare. La decenza quotidiana, sempre invocata dal poeta, continuava ad essere una lezione ardua e mirabile, e la si avvertiva tutta in quel silenzio appena rotto dalla voce della radio , in quelle stanza dove si era accumulato come un pulviscolo grigio e d’oro una lunga , lucida solitudine aristocratica e ruvida, scogliosa e vasta , tutta ligure, tutta montaliana .
Tornarono in salotto. Montale era scosso , e la mano che accendeva l’ennesima sigaretta tremava sempre di più. Invano cercava di vincere l’emozione con qualche battuta delle sue, Dovrei dire cose solenni, ripetè…ma.
Gli amici gli strinsero la mano , si congratularono di nuovo con lui , lo salutarono e uscirono. Doveva rimanere solo. Subito dopo la Gina lo venne a prendere e lo portò sottobraccio in cucina, lo fece sedere dinanzi al piatto di riso, molto cotto, e ci versò
dall’ampollina due gocce d’olio d’oliva. Ma non toccò nulla. Gli si era chiuso lo stomaco. L’emozione e il trambusto durarono qualche giorno. Poi, quando la calma ritornò, Montale infilò un foglio nella macchina da scrivere e battendo con un dito solo, l’indice della mano destra, lentamente preparò il discorso da pronunciare a Stoccolma . Il tema era inconfondibilmente suo nel dubbio e nell’avara speranza che proponeva: è ancora possibile la poesia?
5. VIAGGIO A STOCCOLMA
Montale arrivò nella capitale svedese la sera di domenica 7 dicembre 1975, accompagnato dalla Gina e dal critico letterario Domenico Porzio che scrisse un affettuoso diario di quel viaggio ( “Con Montale viaggio a Stoccolma”). La città fu per lui subito un incanto, il Palazzo Reale, la darsena gremita di battelli e di grida di gabbiani bianchissimi. Gli avevano detto che in un parco vivevano in libertà le volpi, tra le neve e gli alberi altissimi e avrebbe voluto vederlo, ma incombeva la conferenza stampa. E poi il clima non era adatto per la sua salute , faceva troppo freddo, c’era un vento gelido che ti ghiacciava le mani e il viso , gli disse la Gina, che lo curava e lo teneva come un santuario vivente.
Che ne pensa della notorietà della sua poesia in Svezia e nel mondo? , gli chiese un giornalista . Non saprei. E’ lei che mi dice queste cose, io non ne ho le prove, e se ci sono esse mi sono ignote”. Rimase per tre giorni tappato nelle due stanze 338 e 339 , con un salotto tra l’una e l’altra, che gli avevano assegnato , al terzo piano del Grand’Hotel, ricevendo i visitatori, parlando con Porzio e fumando molte sigarette.
Tutto era molto confortevole, e la vista, dalla vetrata, era davvero splendida: di fronte spiccavano le sagome del Palazzo Reale, del Ministero degli Esteri e del Parlamento, in basso una darsena gremita di battelli e di gabbiani.
E venne finalmente il giorno del Nobel, mercoledì, 10 dicembre 1975; il cielo era di un azzurro incredibile, soltanto il vento gelido ricordava il Nord. Al mattino fecero le prove , e per lui fu decisa una “variante” senza precedenti rispetto a quella che era l’etichetta. Montale non era in grado di muoversi senza dare il braccio a qualcuno, ( basta guardarlo nel filmato che si trova anche su youtube, per capire che è quasi un ectoplasma) , e la liturgia del Nobel non prevedeva che il poeta potesse avere al suo fianco un accompagnatore, ossia la fedelissima Gina che per l’occasione era elegantissima, vestita in nero e guanti lunghi. Così fu stabilito che il re Carlo Gustavo di Svezia , in persona , si alzasse dalla poltrona dorata e raggiungesse il punto dove Montale , in frac, lo aspettava in piedi. E così fu, con grande sconcerto per il pubblico. Un re che va incontro ad un premiato era una cosa che non s’era mai vista!
Prima erano stati consegnati i Nobel per la fisica, la chimica e la medicina, poi l’orchestra filarmonica di Stoccolma attaccò un motivo tratto dalle “antiche arie e danze” di Respighi. I tic del volto pallidissimo e scavato di Montale si accesero all’improvviso. L’emozione del vecchio poeta era profonda. L’uomo dei paradossi e dell’ironia cedeva il posto a una creatura affaticata, tesa, smarrita. E tuttavia , alla fine , riuscì a leggere la sua relazione.
6. E’ ANCORA POSSIBILE LA POESIA?
” Ho scritto poesie e per queste sono stato premiato, ma sono stato anche bibliotecario, traduttore, critico letterario e musicale e persino disoccupato . Pochi giorni fa è venuta a trovarmi una giornalista straniera e mi ha chiesto: come ha distribuito tante attività così diverse? Tante ore alla poesia, tante alle traduzioni, tante all’attività impiegatizia e tante alla vita? Ho cercato di spiegarle che non si può pianificare una vita come si fa con un progetto industriale. Nel mondo c’è un largo spazio per l’inutile, e anzi uno dei pericoli del nostro tempo è quella mercificazione dell’inutile alla quale sono sensibili particolarmente i giovanissimi.
In ogni modo io sono qui perché ho scritto poesie, un prodotto assolutamente inutile, ma quasi mai nocivo e questo è uno dei suoi titoli di nobiltà. Ma non è il solo, essendo la poesia una produzione o una malattia assolutamente endemica e incurabile….
7. ANDERS OSTERLING
In precedenza il vecchio italianista Anders Osterling, che più d’ogni altro s’era battuto in favore di Montale, aveva fatto il discorso gratulatorio: “ La poesia di Montale non viene incontro al lettore a braccia aperte…Il suo stile lirico ha assorbito un carattere durevole che sembra attinto dal severo profilo del paesaggio della costa ligure, con un mare procelloso che si abbatte contro i bastioni di rocce scoscese.”
E d’un tratto era parso al vecchio poeta che quel suo mare fosse entrato nella grande sala del Palazzo Reale per lasciare un osso di seppia, lui stesso, fragile, inutile, disperso fra l’oro delle divise fiammanti, le medaglie, i nastrini , la distesa di gente in frac lucentissimi, le preziose trine di merletti neri di tante donne bionde ed elegantissime, in mezzo al vorticare del cupo e gelido vento, e agli svolazzi della musica di Respighi. Gli sembrò che la vitrea luce accesa tanti anni prima con Ossi di seppia brillasse ora come un gioiello invisibile, qualcosa da tenere nel segreto della memoria, qualche verso da ripetere silenziosamente: “Non domandarci la formula che mondi possa aprirti, / sì qualche storta sillaba e secca come un ramo…Codesto solo oggi possiamo dirti,/ ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.
Osterling parlò della “negatività” spesso rimproverata al poeta…Ricordò l’epoca che aveva accompagnato la parabola di Montale, una guerra mondiale, il fascismo, un’altra guerra mondiale, un dopoguerra di profondi ed inquieti rivolgimenti. “ C’è una negatività , disse, che scaturisce non dal disprezzo dell’uomo ma dal sentimento indistruttibile del valore della vita e della dignità dell’uomo.”
Erano le 17,50 quando Osterling concluse dicendo in italiano: “Caro Signor Montale… E fu allora che il re portò il diploma e la medaglia d’oro con l’effigie di Alfred Nobel fino alla poltrona davanti alla quale il poeta si era sollevato puntando le mani un po’ tremanti sui braccioli.
8.NON C’E’ MORTE POSSIBILE PER LA POESIA
Montale continuò , poi , a leggere la sua relazione: La poesia è l’arte tecnicamente alla portata di tutti: basta un foglio di carta e una matita e il gioco è fatto. Solo in un secondo momento sorgono i problemi della stampa e della diffusione. L’incendio della Biblioteca di Alessandria ha distrutto tre quarti della letteratura greca. Oggi nemmeno un incendio universale potrebbe far sparire la torrenziale produzione poetica dei nostri giorni. Ma si tratta appunto di produzione, cioè di manufatti soggetti alle leggi del gusto e della moda. Che l’orto delle Muse possa essere devastato da grandi tempeste è, più che probabile, certo. Ma mi pare altrettanto certo che molta carta stampata e molti libri di poesia debbano resistere al tempo…Almeno questo è il mio augurio, questa è la mia speranza…
Avevo pensato di dare al mio breve discorso questo titolo: potrà sopravvivere la poesia nell’universo delle comunicazioni di massa? E’ ciò che molti si chiedono, ma a ben riflettere la risposta non può essere che affermativa. Se s’intende per la così detta bellettristica è chiaro che la produzione mondiale andrà crescendo a dismisura. Se invece ci limitiamo a quella che rifiuta con orrore il termine di produzione, quella che sorge quasi per miracolo e sembra imbalsamare tutta un’epoca e tutta una situazione linguistica e culturale, allora bisogna dire che non c’è morte possibile per la poesia,
anche se la poesia è in crisi, (ma io non ricordo mai di essere uscito dalla crisi ), una crisi perenne, endemica. Però oggi non solo la poesia, ma tutto il mondo dell’espressione artistica o sedicente tale è entrato in una crisi che è strettamente legata alla condizione umana, al nostro esistere di esseri umani, alla nostra certezza o illusione di crederci esseri privilegiati, i soli che si credono padroni della loro sorte e depositari di un destino che nessun’altra creatura vivente può vantare. Inutile dunque chiedersi quale sarà il destino delle arti. E’ come chiedersi se l’uomo di domani, di un domani magari lontanissimo, potrà risolvere le tragiche contraddizioni in cui si dibatte fin dal primo giorno della Creazione (e se di un tale giorno, che può essere un’epoca sterminata, possa ancora parlarsi).
9. IL COCCODRILLO
A sera vi fu un banchetto con milleottantasei commensali. Il menu prevedeva mousse di rombo, gallinella delle nevi arrosto con salsa tartufata , patatine e insalata, gelato con biscotti , vino Chateau Lacaussade 1970, champagne, cognac, liquore al mandarino e caffè. Montale cominciò a ridere dentro di sé , pensando ai “coccodrilli”, ossia a quegli articoli di giornale che si tengono nell’archivio nell’eventualità della morte improvvisa di un personaggio famoso: “ Il mio coccodrillo adesso , caro Taulero Zulberti ( era il vecchio collega che lo aveva preparato) lo dovrai aggiornare”. Sorrise . E trovò dentro di sé un angolo di intimità incantevole , un senso di nostalgia per la grigia figura del misconosciuto collega , e provò pena per la sua oscura fatica, che nessuno avrebbe mai ricordato.
Augusto Benemeglio
Caro Augusto Benemeglio, per qualità morale della scrittura, per dovizia di particolari inediti volti ad arricchire la figura del poeta, per lo stile scabro ed essenziale adatto all’autore de Le Occasioni, per l’etica di porsi dalla parte
della Parola poetica innalzata ai suoi vertici per la dignità dell’uomo, sommessamente dico un infinito “grazie”
Gino Rago
Caro Gino,
grazie a te, della tua sensibilità , competenza e attenzione, oggi così rara, da tenerla preziosa e chiusa in una teca. Io sono d’accordissimo con te su Montale, un uomo talmente grande e appartato, da apparire quasi freddo e scostante, invece era solo di un gran riserbo e di una
invincibile timidezza, al punto tale che se si sentiva osservato da qualcuno – massime se estraneo – non sapeva neppure più muoversi, talmente ne era atterrito. Ma , se possibile, Manzoni era peggio di lui. Un abbraccio
Augusto Benemeglio
Augusto caro,
leggo soltanto adesso il tuo commento sul precedente mio e te ne ringrazio.
Fedele come mi sento d’essere alle ragioni della Parola, vivo appartato e quasi schivo, ancorché collabori con L’ombra delle parole del prezioso Giorgio Linguaglossa e con altre riviste cartacee.
Teniamoci in contatto, anche tramite e-mail (ma io non ho la tua).
Che le Muse ti assistano, Gino Rago
Caro Gino,
io non posso dire di vivere appartato quanto te, in quanto dirigo una sorta di compagnia di attori-lettori (Il Gruppo Recital 2010), con i
quali rappresento i grandi personaggi della letteratura italiana e mondiale ( Montale è stato uno dei primi che abbiamo fatto, subito dopo
Neruda, Kafka, Lorca, D’Annunzio, Pascoli, Dickinson, etc). Ovviamente
abbiamo un pubblico di aficionados ( gente di media-alta cultura, quasi
tutti professori magistrati e professionisti in pensione), a cui è piaciuta molto questa formula, cioè rappresentare IL PERSONAGGIO nella
sua interezza, non solo come poeta o artista, ma anche come figura umana, con tutte le sue fragilità, nevrosi, fobie etc. Recentemente abbiamo riproposto Manzoni, e ne son venute fuori delle belle ( povero
Manzoni, era proprio inetto nella vita di tutti i giorni), compresa la fortuna di trovare tra i nostri spettatori privilegiati uno che possiede l’edizione cosiddetta “quarantana” (1840) de I promessi Sposi, l’edizione definitiva , con i disegni del Gonin e di altri, che curò personalmente il Manzoni, dopo la “risciacquatura in Arno”,rimettendoci un bel po’ di quattrini ( quasi centomila lire di allora, con cui ci si comprava una signora casa, a Milano)
La mia mail, caro Gino, è augustobenni21@gmail.com
Sentiamoci.
Un abbraccio
Augusto
Per un approfondimento ulteriore all’ottimo ‘pezzo’ di Augusto Benemeglio sull’Eusebio nazionale segnalo
questo link
http://www.isorciverdi.eu/2019/04/18/novecento-poetico-italiano-un-colloquio-immaginario-con-montale/
grazie a tutti per la lettura,
gino rago