A cura di Gordiano Lupi
Mimì metallurgico ferito nell’onore (1972) rappresenta il primo grande successo di Lina Wertmüller che si pone all’attenzione del pubblico con una commedia grottesca e satirica, ambientata nel mondo delle grandi fabbriche, tra operai metalmeccanici, sindacato, assemblee di lavoratori, presa di coscienza femminista e pregiudizi meridionali. La regista proviene da esperienze completamente diverse come Il giornalino di Gian Burrasca televisivo, due film interpretati da Rita Pavone (Rita la zanzara e Non stuzzicate la zanzara), un lavoro d’esordio come I basilischi, vera e propria imitazione del felliniano I vitelloni. Per la prima volta imposta un discorso originale, da commedia grottesca che si pone l’obiettivo di fare satira sociopolitica. La Wertmüller parte dall’analisi della realtà, ma la stravolge secondo i canoni di un modo insolito di fare commedia, almeno per il cinema italiano, che non è farsa ma neppure avanspettacolo. Lo stile della regista può sintetizzarsi nella dicotomia realismo – grottesco, apparentemente contraddittoria ma che ben si presta a definire il suo cinema.
Carmelo detto Mimì (Giannini) è un operaio siciliano che emigra da Catania a Torino per problemi con la mafia, lavora per un’impresa edile che non assicura i dipendenti e se ne liberano con metodi spicci quando subiscono incidenti sul lavoro, infine entra come operaio in una grande industria (la Fiat). Il film racconta la sua presa di coscienza politica, ma soprattutto l’amore adultero per la bella lombarda Fiorella (Melato), oggetto di contestazioni fasciste per i banchetti esposti fuori dalla fabbrica. La regista racconta la mentalità meridionale, la storia della giovane moglie Rosalia (Belli), lasciata a casa ad aspettare, mentre il marito fa il suo comodo a Torino e diventa padre di un figlio avuto da Fiorella. Quando Mimì torna a Catania con la bella conquista torinese e il figlio si rende conto che la moglie ha fatto altrettanto ed è rimasta incinta di un brigadiere (Barra) sposato con cinque figli. Mimì non si comporta secondo le regole del codice d’onore siciliano, è stato al nord, ha cambiato vedute, si considera moderno, ma la ferita d’onore brucia troppo e deve essere vendicata.
Mimì non trova niente di meglio che corteggiare Amalia (Fiore), la bruttissima moglie del brigadiere, e rendere pan per focaccia all’odiato rivale. Mimì mette incinta la moglie del brigadiere come se fosse un compito determinante della sua vita, un impegno inemendabile. Il problema è che la mafia approfitta della sua gelosia per uccidere il brigadiere e far incolpare Mimì, che viene processato e condannato. Scontata la pena (breve, visto il delitto d’onore vigente), Mimì trova ad attenderlo fuori dal carcere otto figli e tre compagne: l’amante torinese, la compagna legittima e la moglie del brigadiere ucciso. Per mantenerle deve lavorare per conto della mafia, fare la cosa che aveva sempre aborrito in vita sua: il galoppino elettorale dei capo bastone. Fiorella – il suo unico vero amore – lo abbandona, perché non riesce a fare quella vita e non capisce un mondo troppo diverso dal suo Nord.
Mimì metallurgico ferito nell’onore ottiene un grande successo di pubblico, lancia Lina Wertmüller come regista capace di fare denuncia sociale ricorrendo alla commedia grottesca, attualizzando la commedia all’italiana, ma anche i due interpreti (Giannini – Melato) che vincono premi importanti. Tra gli attori del cast secondario ricordiamo Turi Ferro nella parte di otto diversi mafiosi, Agostina Belli come giovane moglie in balia dei sensi e Gianfranco Barra, brigadiere ucciso dalla mafia, sposato con una bruttissima Elena Fiore, che ha il coraggio di mostrarsi nuda in una scena divenuta epocale.
Giancarlo Giannini è fantastico nei panni dell’operaio incolto, un meridionale pieno di pregiudizi, comunista senza capire bene che cosa voglia dire, sciupafemmine privo di delicatezza e convinto della superiorità maschile. Mariangela Melato è la donna indipendente, che non cerca marito a ogni cosato, ma pretende l’amore, impegnata politicamente, decisa, determinata, una vera ragazza moderna. Attrice ideale per interpretare il messaggio femminista che la regista vuol trasmettere, oltre a stigmatizzare l’arretratezza della condizione femminile nel meridione d’Italia. Una commedia grottesca, originale ed eccessiva, ma ancora oggi piacevole, che rappresenta lo spaccato realistico di un’epoca e riesce a far pensare con leggerezza. Ottime le musiche di Piero Piccioni, ben fotografate Torino e Catania da Dario Di Palma.
Paolo Mereghetti stronca per principio il cinema di Lina Wertmüller, regola di comportamento poco condivisibile tenuta dal critico nei confronti di gran parte del cinema italiano: “Denuncia civile, satira politico – sindacale all’acqua di rose, spaccato di costume, commedia grottesca: la carne al fuoco è tanta ed è tenuta insieme solo dal gusto per l’eccesso e per la caricatura. Dialoghi urlati, dialetti ridotti a cacofonia incomprensibile, immagini enfatizzate dallo zoom o deformate dal grandangolo: manca vera indignazione o capacità di raccontare l’Italia. Soltanto un stella e mezzo.
Morando Morandini concede tre stelle e registra un successo di pubblico da cinque stelle: “Commedia col turbo, straripante di invenzioni, effetti, effettacci in cui Lina Wertmüller mise a punto il suo agitato stile grottesco e Giannini il suo personaggio di balordaggine stordita che poi avrebbe ripetuto troppo spesso, in coppia con la duttile Melato e con altere belle e meno brave attrici”. Tullio Kezich afferma: “La metamorfosi di Mimì da sottoccupato del Sud a operaio evoluto del Nord è apparente e nella mobilità dell’aggettivo apparente l’autrice coglie tutto il potenziale comico e drammatico del personaggio”. Tre stelle anche per Pino Farinotti.
Un film che rappresenta un punto di partenza per un nuovo tipo di commedia, un cliché nuovo che avrà il limite di uno sfruttamento eccessivo, ma che serve a raccontare ai nostri figli come eravamo.
Regia: Lina Wertmüller. Soggetto e Sceneggiatura: Lina Wertmüller. Fotografia: Dario Di Palma. Montaggio: Franco Fraticelli. Musiche: Piero Piccioni. Scenografia: Amedeo Fago. Produttori: Romano Cardarelli, Daniele Senatore. Salvatori. Interpreti: Giancarlo Giannini, Mariangela Melato, Agostina Belli, Turi Ferro, Luigi Diberti, Livia Giampalmo, Elena Fiore, Tuccio Musumeci, Ignazio Pappalardo, Gianfraco Barra. Premi: David di Donatello 1972 e Nastro d’Argento 1973 a Giancarlo Giannini (Miglior Attore). Nastro d’Argento 1973 a Mariangela Melato (Miglior Attrice).
Gordiano Lupi
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