A cura di Gordiano Lupi
Non mi sono mai occupato di Lina Wertmüller (Roma, 1928), anche se ho visto quasi tutti i suoi film, apprezzandone senza riserve soltanto tre: Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di agosto (1974), Mimì metallurgico ferito nell’onore (1971) e Pasqualino Settebellezze (1975). Non voglio togliere niente a una regista apprezzata anche oltreoceano, spesso candidata a premi prestigiosi, ma trovo che molti suoi lavori siano stati sopravvalutati da certa critica alla disperata ricerca di pellicole intrise di messaggi politici. Lina Wertmüller comincia con il teatro con Garinei e Giovannini, si avvicina al cinema come assistente prima di Armando Grottini, poi di Federico Fellini (La dolce vita e Otto e mezzo), non trascura radio (sceneggia Un olimpo poco tranquillo), teatro (Carmen, Amore e magia nella cucina di mamma) e televisione (Canzonissima 1959, Il giornalino di Gian Burrasca). Debutta come regista con un film che ricorda I vitelloni del maestro Fellini, ma si intravede una cifra stilistica tesa alla satira grottesca: I basilischi (1963). Il vero e proprio successo arriva con il suo film migliore: Mimì metallurgico ferito nell’onore (1972), che mette in campo per la prima volta la coppia Giannini – Melato in una commedia grottesca intrisa di elementi sociopolitici. Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di agosto (1974) rappresenta il culmine della poetica femminista e della polemica antiborghese, con una storia d’amore improbabile tra un rozzo marinaio (Giannini) e una ricca industriale (Melato), uniti dal naufragio su un’isola deserta. Uno dei suoi minimi storici – anche per colpa di un cast inadeguato – è Sotto… sotto… strapazzato da anomala passione (1983), ma una caratteristica della regista restano i titoli interminabili, spesso di cattivo gusto. Ottimo Io speriamo che me la cavo (1992), con un grande Paolo Villaggio nei panni di un maestro del nord che affronta una problematica scolaresca meridionale. Il suo ultimo lavoro cinematografico è Peperoni ripieni e pesci in faccia (2004), con Sophia Loren protagonista, mentre chiude con la televisione girando Mannaggia alla miseria (2009), sempre interpretato dalla Loren. David di Donatello alla carriera nel 2010. Cammeo nel 2013 in Benevenuto presidente di Riccardo Milani.
Metalmeccanico e parrucchiera in un turbine di sesso e politica (1995) è uno degli ultimi lavori di Lina Wertmüller, ma non è così mal riuscito, anche se i protagonisti non hanno la classe di Mariangela Melato e Giancarlo Giannini. Tullio Solenghi è Tunin, operaio di Rifondazione Comunista, Gene Gnocchi è Zvanin, operaio revisionista del PDS, entrambi messi in cassa integrazione dalla Ferrari. Piera Degli Esposti e Cinzia Leone sono le mogli che affrontano la situazione – da brave donne coraggio – e mettono in piedi una trattoria alla foce del fiume dove servono rane fritte. Le donne sono i personaggi migliori, perché i due mariti invece di impegnarsi nel lavoro sono farfalloni e fedifraghi. Il tempo libero – teorizzato in un cammeo del sociologo Domenico De Masi – viene utilizzato per farsi le amanti, non tanto per riscoprire poesia, arte e attività sportive. Solenghi corre dietro alle gonne della parrucchiera leghista Veronica Pivetti – sorella di Irene, Presidente della Camera dei Deputati – e ci finisce a letto dopo averle promesso di passare dalla parte di Bossi. Nel frattempo Gnocchi tradisce la moglie con Cyrielle Claire che interpreta una giovane maestra di tango. Il tema politico si innesta sul versante erotico – abbastanza spinto – e la lotta tra leghisti e comunisti si stempera tra le lenzuola. Crisi coniugale, tradimenti, lotta di classe, ignoranza leghista, superficialità della sinistra, sono tutti elementi mixati in un gran calderone sociopolitico. La storia diverte, presa come commedia grottesca, interpretata sopra le righe da Solenghi e Gnocchi, ma anche da una Pivetti molto nuda e in gran forma, come non la vedremo più. Certo, sono lontani i tempi di Giannini e Melato, siamo nel 1996, dobbiamo accontentarci di una disfida Solenghi – Pivetti, condita di riferimenti politici e di allusioni culturali. Il tentativo di attualizzare Travolti da un insolito destino in salsa erotico – politica non riesce più di tanto, ma il film va preso per quel che è: una pochade senza pretese, abbastanza volgare, zeppa di dialoghi tra Solenghi e il suo pene, ricca di momenti da commedia sexy condita da una spruzzatina di sociologia politica. La crisi della sinistra appena s’intuisce, la diffidenza verso D’Alema pure, l’astio contro i leghisti è stemperato dal sesso a buon mercato, alla fine l’immagine che resta impressa è quella di Soleghi che si copre le terga sia con la bandiera dell’Ulivo che con quella della Lega. La lotta politica sta andando a puttane, in pratica. Se Wertmüller, De Bernardi e Benvenuti volevano lanciare questo messaggio (ma non credo) ci sono riusciti in pieno. Buona l’ambientazione padana, alla periferia di Mantova, nel comune di Pizzighettone, alla foce del fiume Po.
Rassegna critica. Paolo Mereghetti (una stella e mezzo): “Dopo i flop di film più ambiziosi, la Wertmüller si affida a Benvenuti e De Bernardi per riscrivere Travolti da un insolito destino, aggiornandolo all’atmosfera politica della seconda repubblica, tra la vittoria nel 1994 di Berlusconi e quella del 1996 dell’Ulivo. Urlato e (inutilmente) esagitato, il film non sa sollevarsi dalla volgarità della materia, raccontata come una pochade di Feydeau e con l’inevitabile finale di riconciliazione mammista. Solenghi mostra con generosità il deretano, la Pivetti solo le (scarse) tette”. Marco Giusti è entusiasta, soprattutto della Pivetti, che giudica “la cosa migliore del film” (quando scopa ed è nuda) e la sola capace di “dargli un tono curioso”. Giudizio Stracult: “Cultissimo e unico esempio di commedia politica popponesca anni Novanta… Volgare, straripante, anche divertente…”. Morando Morandini (due stelle): “La cassa integrazione come occasione di scoperta del sesso adultero e dell’arte del ballo. Ricco di luoghi wertmulleriani e di inverosimiglianze, il film riprende il teatrino degli anni Settanta e ricalca gli attori mitici del regista (Melato – Giannini) con la coppia Pivetti – Solenghi, ma il migliore è Gene Gnocchi. Pino Farinotti (due stelle): “Film trascurabile, davvero troppo lontano dai titoli sia pur controversi degli anni Settanta firmati dalla regista. Giannini e la Melato erano attori veri, da cinema. Adesso sembra proprio che non si possa fare a meno di attingere dai personaggi del piccolo schermo se si vuol vendere qualche biglietto. Che malinconia”. A nostro giudizio comunque da recuperare, se ci accontentiamo di rivedere una pochade, ma dobbiamo avere la capacità di sopportare l’irritante non recitazione di un Gene Gnocchi sempre uguale a se stesso.
Regia: Lina Wertmüller (Arcangela Wertmüller von Elgg). Soggetto e Sceneggiatura: Lina Wertmüller, Piero De Bernardi, Leonardo Benvenuti. Fotografia: Blasco Giurato. Montaggio: Pierluigi Leonardi. Musiche: Pino D’Angiò. Scenografia: Enrico Job. Costumi: Christiana Lafayette. Produttori: Bruno Altissimi, Claudio Saraceni. Case di Produzione: Videomaura, Medusa Film. Distribuzione: Medusa. Genere. Commedia grottesca. Durata. 100’. Esterni: Pizzighettone (Mantova). Interpreti: Tullio Solenghi, Gene Gnocchi, Veronica Pivetti, Piera Degli Esposti, Cinzia Leone, Cyrielle Claire, Giacomo Centola, Alexandra La Capria, Maria Zulima Job, Domenico De Masi (cammeo).
Gordiano Lupi
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