A cura di Augusto Benemeglio
1.La luce
Lo spirito e il Fuoco di Mara Macrì , Effatà editrice, Torino, 2010, è una sorta di intervista a don Mario Torregrossa fatta a più riprese , , ora in campo stretto, che mostra in primo piano le ferite e le ustioni del martire , il prete bruciato vivo, e la sua essenziale rotazione magnetica nei due poli della sua spiritualità , il fuoco e la carità. Don Mario è nel luogo dove l\’hanno bruciato , nella chiesa di San Carlo da Sezze, da lui fondata , ma nello stesso tempo è incalzato dal mormorio delle sue onde del mare greco di Taormina, suo luogo natio, dai passi dietro di lui , uditi con gli occhi mobili dello spirito , dalle voci e dalle ombre del passato che non l\’hanno mai abbandonato. Ma questa è anche un’intervista in campo lungo , una presa di coscienza , un’onda di risacca dello spirito che ancora perdura , dell’autrice, non come giornalista e scrittrice , ma come creatura umana che si lascia condurre nei luoghi d’incontro del personaggio, nel tempio vivo del sacrificio, tra mattoni di sangue e calce ancora viva , e in tutti i labirinti dell’anima , in tutti gli infinitesimali prodigi che può operare una conversazione , o, meglio, una conversione con un santo , con la sua incredibile misteriosa energia , la fiamma liquida della sua gola, il giardino segreto del suo cuore, i muretti a secco dei contadini delle sue terre , i fichi d\’india , le torre d’avorio, i menhir, il profumo delle zagare , le incertezze del linguaggio , il presente perpetuo che si fa storia , la pioggia dell’infanzia, la febbre del delirio e lo spazio infinito che strappa le sue radici , che ti proietta in nuove albe, in una comprensione totalmente nuova e diversa , dove la ragione non serve , ma ci vuole una nuova alba di fede, nuove intuizioni, e soprattutto uno spirito di fuoco e d’amore. Essere nuovi come la luce a ogni alba /come il volo degli uccelli/ e le gocce di rugiada:/ come il volto dell’uomo come gli occhi dei fanciulli / come l’acqua delle fonti: / vedere la creazione / emergere dalla notte! ( D.M. Turoldo)
2.La memoria
L’idea centrale del libro la trovate ben espressa sulla copertina dello stesso , che è quasi una vetrina, con la colomba dello Spirito , che è scritto in lettere rosse come il fuoco sacro , mentre le lettere del fuoco sono in giallo , come il pericolo, il terrore, l’accecamento , il tutto su campo blu , e sotto le varie immagini di don Mario, in sequenza : bambino , adolescente , ragazzo, giovane prete, e poi l’ultima sua immagine , la stessa della copertina di “Pre(tre) a porter” di Fabrizio Centofanti, che ha trascinato Mara – parole sue – in questa sua esperienza letteraria. In quarta di copertina , un bel passo della prefazione del Cardinale Camillo Ruini , che conosceva don Mario e ne ha seguito passo passo , con apprensione , le vicende, soprattutto dopo che l’avevano bruciato vivo , i difficili mesi della convalescenza, e i successivi dodici anni sulla sedia a rotelle , “constatandone , ancora una volta , la tenacia e l’eroicità nel servizio pastorale”. Infine, una breve nota sull’autrice, giornalista, scrittrice, saggista, psicologa e sociologa. Mara Macrì ha fatto un’intervista inconclusa – scrive il cardinale Ruini -, un dialogo interrotto che tuttavia è diventato in realtà una sorta di ponte tra il visibile e l’invisibile, una stella caduta, quella del Domma , che è rimasta ancora sulla terra, tra noi , in attesa di ritrovare il suo posto assegnato lassù; un tunnel nell’onice del mistero dove in fondo in fondo c’è una via d’uscita , una lampada che ti guida all’ingresso di un sogno che sa di nubi, di leggerezza, di soavità , perché l’intervistato non era uno qualsiasi , ma una via , un sentiero , un transito , una strada infinita , uno sguardo gettato sul mondo che impercettibilmente si fascia della sua memoria e riscopre anche la tua memoria sepolta , che avevi dimenticato, una melodia del creato . E così Mara si è sentita non solo coinvolta , ma affascinata in modo irresistibile , sedotta , commossa, avvinta come foglia dalla luce che vibra , una salamandra d’aria , una roccia di fiamma , una figlia del fuoco , una sua figlia spirituale, fin dal suo primo incontro (vds.pag,15). Conobbi don Mario nell’aprile del 2006 . Ricordo che sussultai al contatto gelido della mano gravemente ustionata. Sensazione che si dissolse quando incontrai il suo sguardo profondo e penetrante. Uno sguardo commovente che capovolse in un istante gli schemi precostituiti che la vita ci impone, quelli che non ti fanno andare verso l’altro. Ma don Mario , prosegue Mara , sapeva entrare in contatto con gli altri. Con tutti. Le sue parole semplici e dirette , i suoi gesti, i suoi sorrisi, il suo innato senso di comprensione, di condivisione, di totale dedizione ai fratelli , erano qualcosa di straordinario, che facevano breccia nel cuore e nell’animo delle persone e apriva la porta alla speranza. Lui era dentro le cose , dentro i cuori della gente, lui vedeva passare le cose, e leggeva nei cuori . Mara sapeva che era il prete bruciato vivo, ma anche il prete delle missioni impossibili e le opere che aveva realizzato erano davanti a lei, lei le vedeva , la chiesa di San Carlo da Sezze, il Centro di Formazione Giovanile Madonna di Loreto, con tutti i suoi locali, il teatro, la biblioteca, le attrezzature , il campo sportivo, etc, ma quelle cose erano anche dentro di lui , nel suo spazio tempo , erano dinanzi al suo pensiero , dinanzi al suono della sua voce, dinanzi alla sua parola. . Come era stato possibile che un povero prete poeta della fede come lui , che non aveva nulla , se non un letto di mare, una palandrana lisa e strappata , e nubi perdute , era riuscito a tanto? Ci sarebbero volute due o tre vite, e lui aveva fatto il tutto in pochi anni, trent’anni sono niente se si passano inseguendo i poveri , materiali e spirituali , e i più poveri di tutti sono i giovani, lui lo sapeva bene. E ha fatto tutto con quel suo cuore ardente, incessante , pieno di speranza
3. La leggerezza
Mara nei suoi dialoghi con don Mario scopre l’incredibile energia , la giovinezza d’animo celata all’interno di un corpo devastato, anche la capacità di leggerezza, ovvero quel togliere peso a quella morsa di pietra che è la nostra vita , in cui ci sentiamo spesso compressi da mille obblighi e doveri senza scopo ,togliere peso all’inerzia, all’opacità del mondo, alle incrostazioni che ci portiamo dietro…Don Mario , sulla carrozzella , invalido, totalmente dipendente dagli altri , monumento di se stesso che ogni domenica veniva portato sull’altare come pane vivo a celebrare la Santa Messa del proprio corpo crocifisso , come quello di Cristo , – con la sua incredibile vivacità di spirito e la mobilità della sua intelligenza , le sembrava leggero, quasi sospeso nell’aria , un novello Hermes coi calzari alati , sospeso tra venti e nuvole. Mara è affascinata dall’interlocutore, ne è soggiogata, sente di essersene in qualche modo innamorata , spiritualmente parlando. Comincia ad utilizzare le sue fonti professionali per conoscere quel “ sacerdote atipico”. Don Mario era un uomo del sud , aperto e con uno spirito gagliardo, sorprendente, per chi “ da sempre” come lui era stato accompagnato dalla malattia. Mi raccontò, con leggerezza ed una punta di incoscienza, di aver avuto l’artrite reumatoide da bambino, un tumore alla tiroide a poco più di vent’anni , un ictus anni prima, di essere diabetico e di avere tre ulcere ; omettendo le condizioni drammatiche in cui versava quotidianamente. Nonostante questo , aveva ed emanava una forza ed una voglia di vivere che sfidava qualsiasi legge di natura..(vds.pag.16). Poi un giorno parlandomi della carità , mi disse che l’atto di carità più grande che un essere umano potesse compiere era quello di perdonare. Tanto che lui perdonava tutti, e non solo chi gli aveva dato fuoco , aveva perdonato il fuoco stesso (vds.pag.17)…
4.Il fuoco
Fu allora , dice Mara Macrì, che gli chiesi se potevo scrivere una storia su di lui per un servizio giornalistico. E il prete bruciato , col pianto di un Cristo e il riso della redenzione ( piangeva e rideva quando era emozionato), acconsentì , a patto che fosse intitolata LO SPIRITO E IL FUOCO , perché già nel grembo materno aveva rischiato di perire in un incendio. Osserva il Cardinale Ruini , in prefazione: “Quanto alla croce, intuisco che don Mario ne veda l’origine proprio nel fuoco che ha voluto nel titolo , simbolo del soffrire , vissuto drammaticamente anche sul suo corpo, quando fu incendiato , ma ha chiara coscienza che lo Spirito è più forte del Fuoco e che lui ne è la prova vivente. Ma a ben vedere il Don Mario, che sfugge al fuoco già in grembo alla madre , e che poi verrà marchiato a fuoco , nel corpo e reso invalido , il fuoco lo aveva dentro di sé , era nel suo destino. La sua , insomma , fin dalla nascita è stata una guerra di fuochi non fatui. …E ciò evoca in me tutta una serie di riferimenti teologici in cui uno come don Fabrizio , l’amico del cuore, il figlio spirituale , il più degno successore del Domma , ci potrebbe dolcemente naufragar all’infinito come un Leopardi di Casal Palocco ; invece io – zero in teologia – mi ci appiglio per non rischiar di cadere dal trapezio senza rete. Il fuoco lo troviamo nella predicazione della Parola., nella profetizzazione del Battista , nelle stesse parole del Cristo, ”Sono venuto a portare un fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!, nelle lingue di fuoco della Pentecoste ,il Battesimo dello Spirito Santo., nell’annunciazione fatta a Maria , “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su di te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo” Il fuoco della gloria di Dio nell’ombra dello Spirito, il roveto ardente .”che è il nostro cuore” di Turoldo , il sangue e fuoco di santa Caterina, i tre giovanetti messi nella fornace ardente da Nabuccodonosor , che camminavano nel fuoco tenendosi per mano , i discepoli di Emmaus del “ci ardeva il cuore”, etc “ La vita della Chiesa, – scrive Mara Macrì a pag. 13 – – nell’arco dei secoli , è stata testimone di una moltitudine di donne e uomini guidati dallo Spirito Santo , che hanno percorso vie difficili e lasciato eredità spirituali, donando una forte spinta all’esistenza ecclesiale e civile. Don Mario Torregrossa fa parte di questo universo , ed attraverso il suo percorso di vita ha manifestato la fertilità del suo apostolato , trasmettendo la forza ed il coraggio, per attuare un cambiamento , a chiunque l’abbia avvicinato. Totalmente dedicato al prossimo ha uniformato la volontà divina alla sua volontà , agendo dominato da una fede ed una fedeltà in Dio e nella Vergine Maria complete, senza incertezze. Animato dal carisma della carità , non ha mai risparmiato né tempo , né fatica per la conversione delle anime, anche le più disperate, riponendo in Gesù Cristo ogni speranza.
5.La Povertà
La carità, ovvero l’amore , dopo il fuoco dello spirito, è l’altro cardine che caratterizza , informa, sublima tutta la vita pastorale di Don Mario, diventa il motivo principale di ogni sua attività materiale e spirituale, e lo conferma anche il cardinale Ruini, che ha conosciuto don Mario: “ Leggendo Lo Spirito e il Fuoco vi leggo una testimonianza di vita inequivocabile nell’esercizio della carità, nell’amore verso i poveri , nell’apertura agli altri e nell’accoglienza; vi leggo uno sforzo originale nell’accoglienza dei giovani e nella formazione delle nuove generazioni” Si tratta, come abbiamo più volte ripetuto , di un libro intervista , seppur interrotta, che ha l’andamento, lo stile, le movenze, i ritmi dell’intervista ad un personaggio speciale del nostro tempo , ad un eroe dello spirito , che aveva scelto la povertà più totale , quella francescana , Madonna Povertà, come compagna, sposa e sorella di vita (nel suo abituro , che fece inorridire i parenti ,visse nella più completa miseria; c’era un divano letto, ma ci dormiva un povero raccattato per strada, lui stava sul pavimento o su una cassapanca; e quando gli regalarono un cappotto nuovo, il giorno dopo lo regalò a sua volta ad un povero che aveva più freddo di lui); un intervista ad un religioso a cui ci si avvicina sempre con un misto di reverenza e curiosità, tra l’odore d’incenso e il puzzo di candele , con parole inizialmente felpate, e man mano con stupore, con crescente meraviglia nello scoprirlo nella grandezza della sua semplicità , della sua nudità, nella sua fragilità di uomo che ama e soffre in modo totale , senza limite , nella sua saggezza antica fatta di memorie storiche che sanno d’oriente e di Magna Grecia, nei suoi paesaggi interiori che lasciano spazio solo all’amore “Dio è amore, e chi rimane nell’amore rimane in Dio, e Dio rimane in lui La comunione con Dio può essere vissuta in modo così sanguigno , così poco etereo , così appassionato e travolgente , da trovare il linguaggio adatto soltanto nel più sanguigno dei linguaggi umani , quello appunto dell’estasi amorosa .È il rischio implicito in ogni grande amore, quello di smarrirvi …Don Mario cominciò la sua missione nelle carceri , e forse pensò per un attimo al tempo in cui avrebbe voluto fare il magistrato…Oh, meglio il prete! Nelle carceri gli sembrava di riudire i rumori , i suoni della sua terra, , pugno di pietra, pigna di lava , ossario, non terra, nemmeno isola , rupe dirupata , pesca petrosa, goccia di sole pietrificata…Di notte s’ode il respiro delle cisterne , l’ansito dell’acqua dolce turbata dal mare… Qui nelle profondità del carcere , c’è una rosa azzurra e un candelabro di vene rosee…
6. I giovani
Apprese dunque – scrive la Macrì a pag.60, – , a morire sa se stesso, rilevando una sorprendente analogia tra la sua esperienza fisica e spirituale sperimentando , in ogni stadio, sia il potenziale che la negatività umana. La malattia divenne per lui compagna fedele , e mentre la materia scompariva lo spirito si trasformava. …Morendo a se stesso si rinnovava in una dimensione dove il corpo veniva attraversato dallo Spirito del Signore . E in quella condizione ebbe la rivelazione di cos’è l’uomo. Ed il Signore come dono gli tracciò un cammino coi piedi ben piantati in terra e il cuore alto verso il cielo. In breve , dopo essere stato il prete dei poveri , divenne il prete dei Giovani , che forse , sotto certi aspetti , sono i più poveri di tutti . E non fu affatto facile – non lo è mai stato e ancora oggi non lo è – penetrare nell’animo dei giovani . Ribellione, diffidenza, instabilità, ferite, fratture, soli neri, palpebre di selce, ore perdute nel vizio, il non so dove, le mani vuote, l’addensamento del sangue, gli scatti d’ira, , la violenza nell’aria e il fragile ponte di parole sempre da ricostruire. Scrive Mara ( vds. pag. 73 )che “ci sono stati anche nemici che insidiavano il suo lavoro , erano interni ed esterni e si annidavano nell’incostanza, l’alternanza, le paure, le bugie, gli egoismi e l’arroganza di coloro che, pur riconoscendolo, lo attaccavano. E c’erano anche forme di strumentalizzazioni da parte dei genitori dei ragazzi, ma anche i momenti esaltanti del recupero di una vita, e la gioia dell’intero universo per questa vittoria spesso diventava una larga risata rabelaisiana. Ricordo la prima risata di una ragazza che aveva deciso di lasciarsi morire ed era ridotta a uno stato vegetativo , dopo giorni e giorni passati quasi in silenzio accanto al suo letto per restituirle la voglia di vivere . Quella risata fu veramente una rinascita e la rinuncia alla morte (pagg.73-74).
7.La città invisibile
Come si inserisce il libro di Mara Macrì , in quel vasto contesto di opere letterarie dedicate a personaggi mistici ? Mara ha fatto un monumento alla pazienza , ha cercato il peso giusto delle parole , con la bilancia della moderazione, ha pesato la goccia di rugiada, il grano di luce , l’istante , è andata a caccia del mistero, in attesa dell’intuizione ; si è immersa nella luce che sa essere crudele , e spietata , di un corpo sofferente che contiene un’anima grande e febbrile , in perpetua costruzione della città invisibile , la città di Dio ; ha scoperto la forza della fedeltà, il potere dell’obbedienza , il tutto che è in ciascuno di noi e nell’altro , l’altro è nell’uno, l’uno è nell’altro , siamo costellazioni . Ha scoperto , ai piedi del santo , d’essere viva, ma anche che morire è rinascere , espandersi , negarsi , dimenticarsi di sé , è crescere . E’ questo l’insegnamento di un uomo umile che si è sentito sempre inadeguato a salire sull’altare e celebrare la messa . “Ci sono state domeniche in cui venivo preso quasi dal panico perché non riuscivo ad organizzare nessun discorso . Poi mi dicevo: Non ti preoccupare, ci penserà il Signore, e così è stato. La consapevolezza di essere così avvolto dal msitero di Dio dà allo spirito una gioia così profonda che rende vere le parole di San Paolo: “ Cosa ci separarerà dall’amore di Dio?. In tutte queste situazioni si ha veramente la sensazione che la parola che viene pronunciata in quell’istante è proprio la voce di Dio.( vds. pagg.75-76) Ecco don Mario tra i cartigli e i canti affilati degli insetti , tra le epifanie impalpabili del vento, e gli spazi fatti d’aria per giochi passionali e definitivi, o diafane convergenze ; eccolo ora tra cieli umidi e azzurri, ora nel plumbeo , nel grigio , fra le braci spente e con una memoria ostinata che si reinventa continuamente il proprio giro d’orizzonte ,che rinasce tra movimenti di nubi, tremori di alberi, stupori dello spazio, e un cielo di fuoco, rosso , ardente, che splende su quella sua città invisibile, la nostra città, la città di Dio.
Augusto Benemeglio
Titolo: Lo spirito e il fuoco. Un’intervista interrotta, un dialogo che continua… Infanzia, adolescenza e ordinazione di don Mario Torregrossa
Autore: Mara Macrì
Editore: Effatà
Prezzo: € 8.50
Collana: Le bussole
Data di Pubblicazione: Gennaio 2010
ISBN: 8874026617
ISBN-13: 9788874026616
Pagine: 80
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