Intervista: Lelio Basso ricordato dal figlio Piero


Ricordando Lelio Basso
Intervista con Piero Basso, figlio di Lelio Basso

Cosa ricorda in particolare di Suo padre?
Dell’uomo ricordo il sorriso che non l’abbandonava mai, il gusto per la battuta, la serenità anche nei momenti più difficili, l’ottimismo, l’amore per la vita. Del politico e dello studioso ricordo la curiosità, la vastità di interessi, la cultura, la capacità di cogliere i movimenti profondi della società sotto le apparenze della cronaca.

Quale tipo di impegno oggi porterebbe avanti?
Non ho dubbi sulla risposta: continuerebbe in quello che è stato l’impegno di tutta la sua vita, la politica. Una scelta di vita che l’ha portato a sedici anni a rendersi economicamente indipendente dalla famiglia, a diciotto a iscriversi al PSI subendo le prime aggressioni fasciste, e poco dopo ad affrontare il carcere e il confino (a Ponza, a Collefiorito, a Piobbico).
Per tutta la vita si è impegnato politicamente, nella militanza attiva e nello studio, dentro e fuori il Parlamento, dentro e fuori dai partiti, dentro e fuori il nostro paese, viaggiando in tutto il mondo, dall’Algeria alla Palestina, dal Vietnam all’America latina. Senza mai risparmiarsi. Sino all’ultimo.
Negli ultimi mesi di vita presiede, a San Paolo, la conferenza per l’amnistia in Brasile, e, a Tokyo, la conferenza per la riunificazione della Corea; partecipa a Parigi alla conferenza di solidarietà con l’Eritrea.

Quali sono state le sue delusioni e le sue speranze?
La sua delusione più profonda è stata, senza dubbio, l’incapacità dei partiti della sinistra, stretti tra tentazioni staliniane e tentazioni neoliberiste, di rispondere alle nuove sfide del capitalismo. Una mancanza di strategia che l’ha visto spesso in contrasto con la direzione del suo stesso partito.
Quanto alle speranze, non ho che da riprendere le parole conclusive del suo ultimo discorso al Senato sulla revisione del Concordato, pochi giorni prima della morte:
“… Cito a memoria l’epistola di Paolo ai Colossesi, dove dice: qui non c’è né greco né giudeo, né circonciso né incirconciso, né barbaro né scita, né liberi né schiavi, c’è Cristo in tutti. E’ forse utopia lottare, anche se non si ha la forza di Paolo di Tarso, per preparare un’umanità in cui essere cattolici o protestanti, cristiani o ebrei, musulmani o buddisti, credenti o atei, non debba più costituire per nessuno motivo di persecuzione né titolo di privilegio?”

In che tipo di socialismo credeva?
Una società socialista è, per definizione, una società di liberi e uguali. Molti sono stati i modi che nei diversi luoghi e nei diversi tempi hanno caratterizzato le lotte verso gli obiettivi socialisti, e moltissime le loro teorizzazioni. Gli aggettivi si sprecano: socialismo comunista, cristiano, democratico, liberale, marxista, massimalista, riformista, rivoluzionario, scientifico, utopista ….
Basso vede il socialismo come il processo, lungo e difficile, per la realizzazione di una società pienamente democratica (tanto che chiamerà “alternativa democratica” la corrente con cui parteciperà al dibattito interno al partito socialista). Considera mistificante l’equivalenza capitalismo = società liberal-democratica. Al contrario, l’ascesa della borghesia ha portato il liberismo economico e il liberalismo politico: lo stato non deve intervenire se non per rimuovere i limiti all’attività produttiva, le restrizioni al commercio e all’industria, i residui dell’ancien régime (i pedaggi, le decime, i monopoli reali). La libertà è intesa come libertà-autonomia, libertà dagli abusi del potere assoluto, dai privilegi feudali; con linguaggio moderno potremmo dire “meno stato”.
Al contrario la democrazia è molto di più, è partecipazione, è il diritto di voto per tutti, è lo stato che interviene nella vita sociale a favore delle classi subalterne. Il processo che ha portato, non certo alla realizzazione di società compiutamente democratiche, ma all’introduzione di robuste dosi di democrazia nelle società liberali, è un processo che è costato alle classi subalterne decenni, secoli di lotte, di sacrifici, di impegno. Ricordava spesso che quando gli operai inglesi ottennero, alla metà dell’800, che l’orario di lavoro per le donne e i fanciulli, fosse limitato per legge a 80 ore settimanali (12 ore al giorno e 9 la domenica), vi fu chi vi si oppose in nome della libertà: come può lo stato arrogarsi di intervenire nella “libera contrattazione” tra le parti sociali, sconvolgendo l’economia e affamando gli operai?
Tornerò poi, parlando dell’art. 3, sul nesso tra partecipazione, democrazia e condizioni materiali. Semplificando al massimo, per Basso non c’è democrazia senza partecipazione e non può esserci piena partecipazione senza uguaglianza: ecco allora che la lotta per il socialismo e la lotta per la democrazia sono tutt’uno.

E quel tipo di società per cui lottava, nella situazione attuale, può ispirare un movimento politico?
Mi ricollego alla risposta precedente. Credo che l’obiettivo di una società socialista, una società di liberi e uguali, possa essere auspicato già oggi, forse oggi ancora più di ieri, da gran parte dell’umanità, e che verrà sempre più condiviso via via che capiremo che il rimedio alle insicurezze del presente e ai timori per l’avvenire non sta nel rinchiudersi nell’egoismo, nel “prima io” (che poi porta al “prima gli italiani”), ma nella solidarietà tra tutti, per cambiare un mondo in cui 26 super-ricchi, come ha denunciato recentemente l’organizzazione internazionale contro la povertà Oxfam, possiedono tante ricchezze quante ne possiede la metà più povera dell’umanità.

Cosa Le manca oggi del suo papà?
La lucidità, la capacità di comprendere le dinamiche con cui evolve la società, di cogliere i grandi movimenti della storia. Di lui ebbe a dire Norberto Bobbio, alludendo insieme alla sua capacità di “vedere lontano” e ai suoi rapporti con i movimenti di liberazione: Non aveva illusioni, ma non si abbandonava mai allo sconforto; aveva ferma la convinzione che questo grande moto di redenzione umana che era stato il socialismo era più vivo che mai nei paesi del Terzo Mondo che combattevano per la propria indipendenza. Aveva capito che in una prospettiva mondiale la storia del socialismo, contrariamente a quello che pensano coloro cui la paura di perdere il potere ha reso la vista corta, era appena cominciata.

L’articolo della Costituzione scritto da suo padre, nel nostro tempo, è attuato e rispettato?
Ovviamente conosce già la risposta. Tuttavia, in un mondo, e in un’Italia, in cui le disuguaglianze continuano a crescere la battaglia per l’uguaglianza si fa sempre più necessaria, e le parole dell’articolo 3 della Costituzione “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” rappresentano un faro, una legittimazione di questa battaglia, un obiettivo che può muovere molte energie.

Questa affermazione di Lelio Basso “Cittadini, la Costituzione siete Voi” trova piena applicazione o incontra diversi ostacoli?
L’affermazione che lei cita compare in testa a un articolo per il trentesimo anniversario del referendum istituzionale del 2 giugno 1946 che diede vita alla Repubblica.
Nel testo mio padre rivendica il proprio ruolo per la realizzazione del referendum, in dissenso con altri dirigenti della sinistra che avrebbero voluto affidare la scelta della forma istituzionale all’Assemblea Costituente, e scrive: “Affidata direttamente al popolo che è, qualunque cosa ne possano pensare i giuristi, l’autentico depositario della sovranità, quella decisione assumeva un preciso significato di rottura col passato e sanzionava, anche sul piano formale, la volontà popolare di rottura espressa con le armi durante la Resistenza.”
Ecco quindi come Basso interpreta la sovranità popolare, sancita dall’art. 1 della Costituzione (“La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”): la esercita coi referendum, con le manifestazioni, con la partecipazione attiva a tutti i momenti decisionali attraverso i partiti, legame permanente tra cittadini e istituzioni, “per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale“ (art. 49).
Oggi noi, tutti, abbiamo disertato l’impegno politico, abbiamo permesso che i partiti si trasformassero in macchine elettorali, che il dibattito interno, anche aspro, si riducesse a ”primarie” chiamate a incoronare questo o quel leader, che verrà abbattuto alla tornata successiva, che le scelte più impegnative fossero assunte non dopo approfondita informazione e ampi confronti di idee, ma in base al numero di clic o di like, che i ragionamenti fossero sostituiti da slogan urlati ossessivamente, che governi senza vergogna invitassero i cittadini ad “andare al mare”, ché tanto continueranno a fare quello che vogliono, senza rispetto per la volontà espressa dai cittadini, come è avvenuto, per esempio, dopo la clamorosa vittoria popolare nel referendum sull’acqua pubblica.
In queste condizioni sarebbe molto importante che un richiamo come quello “Cittadini, la Costituzione siete voi” venisse ascoltato e fatto proprio da milioni di italiani. Non sarà facile, ma è l’unica strada per la rinascita della democrazia nel nostro paese.

Laura Tussi e Alessando Marescotti

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