Le ultime fronde di Corrado S. Magro 1


La situazione diveniva sempre meno sostenibile. Rampogne e critiche riempivano senza tregua le ore del giorno. La sua presenza, le sue visite non erano più gradite e lei, Lucy, circondata da uno sciame eccitato pronto ad attaccarla, non se la sentì di sostenere da sola la sfida, anche perché Velio manifestando qualche crepa, pur dicendo di amarla pazzamente, schierandosi al suo fianco, avrebbe peggiorato tutto.
Nell’impotenza Lucy, ancora troppo giovane, si era tirata d’affare proponendo un baratto che, avallato, le aveva permesso di concludere un armistizio:
«Lo lascio, se mi permettete di partire».
In altre parole, lo abbandono solo se fra me, voi e lui posso interporre un baratro, andando a cercare una nuova esistenza lontana da questo posto e che non potrà essere peggiore dell’attuale.
«Ma guarda un poco. Con una fava due piccioni. Ci liberiamo di due rompipalle e soprattutto di lui, critico, pedante, insopportabile e ficcanaso.»
Quando Velio lo venne a sapere, incredulo provò ad incontrarla. Impossibile. Sorvegliata a vista e sottoposta a lavaggio mentale, era tenuta come una prigioniera politica.
Ormai separati da una cortina di ferro invalicabile, il dilemma, con il quale sia Velio che Lucy ognuno per sé doveva confrontarsi, era: cosa ci sta nel futuro di ognuno di noi?
La fase dei sogni con lei splendida, bella, intelligente e lui aitante, esuberante di energia, avido di sapere, intraprendente, era stata bruscamente interrotta. Erano due giovani che oltre ad amarsi, come lui almeno credeva, si volevano bene. Lui le voleva un bene immenso. Handicap, catena che rischia di spezzarsi unilateralmente e che sprofondando lascia l’altro saldato inesorabilmente all’ultima maglia.
L’amore può spegnersi, cedere a delusioni, a incomprensioni, ma sarà difficile cancellare il volersi bene senza rompersi il vasellame in testa e forse senza saperne il vero perché.
False moralità dei familiari da ambo le parti che avevano condotto alla rottura?
Quelli di lei gli rinfacciavano strani crimini come di averli sorpresi a baciarsi, solo baciarsi non fornicare o scopare. Beh nella Sicilia anni sessanta mischiare i bacilli attraverso bocca e lingua era solo permesso dove l’illuminazione di ronchi e vicoli non permetteva di individuare i giovani “amanti”, mentre i familiari di lui, prevedendo qualche dissonanza, anche volendo, vedendolo innamorato come uno scarabeo che ronza incessantemente attorno a un fiore dai colori sgargianti, tentennavano ma non osavano intromettersi più di tanto.
In realtà, chissà quali altre ragioni avevano intralciato un sentiero che si snodava verso un orizzonte che si annunciava luminoso.
Era andata com’era andata.
Lucy era quasi fuggita, lui l’aveva giusto rintracciata sul treno mentre andava via assieme ad un fratello, ma era rimasta muta impassibile come fosse stata in trance e non era riuscito a cavarle nemmeno una parola di bocca o una stretta di mano prima di abbandonare il convoglio alla prossima fermata.
Inutilmente, dopo quasi un anno, ossessionato dal suo primo vero amore, aveva intrapreso lo stesso viaggio sperando appunto di ritrovarla e di cancellare il vuoto che lo separava da lei.
Povero illuso.
«Volere ragazze giovani e belle per te?» gli aveva detto una biondona.
Era la sola che gli avesse prestato attenzione e rivolto la parola. Avvolta in una pelliccia di volpe polare, conosceva a colpo d’occhio i nuovi arrivati che le passavano davanti e che cercava di reclutare per la casa di piacere che certamente gestiva.
«No, grazie.»
Se lui si trovava in quei paraggi, era perché sperava di incontrare, di riallacciare un affetto, un amore alla deriva con colei che gli era sfuggita. Non c’erano altri desideri nel suo cuore.
Eppure pochi giorni dopo, l’incontro si tramutò in scontro.
Prevenuta, Lucy scorgendolo gli aveva chiesto aspramente:
«Cosa sei venuto a fare?!»
Velio, rendendosi conto che forse stava per sfuggirle definitivamente, inesorabilmente, vedendo tutti i suoi sforzi vanificati, calpestando i propositi concilianti, aveva reagito con un sussulto, con l’ultimo fendente mortale del templare colpito in parti vitali, che chiama a raccolta la forza della disperazione ma senza più speranza di sopravvivere. Con il sangue alle tempie le aveva lanciato contro l’invettiva più villana, che un innamorato impotente trova cozzando con un rifiuto.
Lei in lacrime aveva risposto picche e si era allontanata di corsa per le scale che conducevano alla sua stanzetta del centro di Zurigo.
Una favola, un sogno che durava da qualche anno, il vano tentativo di riaprire un dialogo, il desiderio di ritrovarla per continuare ad andare insieme ora che tra loro e le loro origini avevano interposto migliaia di chilometri, tutto venne cancellato in una manciata di secondi.

Non si erano più rivisti anche se Velio, pentito di averla offesa, vergognandosi, celandosi dietro uno stabile nei dintorni che lei abitava, aveva provato ad incontrarla, restando in attesa, sperando che lei ricevesse una sensazione che glielo facesse scorgere dietro l’angolo.
A distanza di meno di sei mesi dallo scontro, Lucy si era sposata decidendo di recidere ogni legame con il passato, facendo del matrimonio e della famiglia lo scopo della sua vita.
Lui, senza potersene fare una ragione, deluso di non essere più amato e forse di non esserlo mai stato, dovette convenire di essere stato cancellato definitivamente dagli alveoli di quel cuore per il quale aveva spasimato. Provò a fare lo stesso senza mai riuscirvi, decidendosi alla fine di porre il ricordo in un angolo da osservare con impotenza e rabbia velata di malinconia ogni volta che volgeva gli occhi sul proprio passato.
Erano passati svariati decenni dalla sua prima apparizione sul Limmatquai. La strada, quella domenica mattina di un marzo glaciale mentre si recava ad un incontro, era semideserta. La superficie delle acque del lago tremolava al soffio della brezza gelida, rifrangendo i raggi di un sole velato d’anemia.
Al Bellevue, punto nevralgico di smistamento dei trasporti pubblici i tram s’incrociavano, fischiando, stridendo. Sembravano dolersi di essere costretti a rimanere dentro le rotaie lungo le quali continuavano lentamente a districarsi tra semafori e incroci. Anche la ringhiera di uno degli alberghi più altisonanti di Zurigo dava segni di stanchezza con la ruggine che si staccava a foglie dalle sbarre di ferro battuto. Racchiudeva l’ampio parco verde dell’edificio, separato dal lago dalla strada, dai binari tranviari e dal vastissimo marciapiedi davanti al porto dove attraccavano i battelli che lo solcavano .
Alberi, uccelli acquatici e le acque dello stesso lago sembravano identici a quelli di una volta.
Due cigni ammararono in tandem con le ali spiegate. Avanzarono per qualche decina di metri sulla superficie verde cupa, alzandosi in volo maestosi dopo aver preso la rincorsa.
Il becco nero, ornato di giallo spiccava sul collo allungato e diritto, proiettato in avanti come la punta di una lancia o la fusoliera di un Concorde. Il secondo cigno calcava a perfezione e con armonia anche i più piccoli spostamenti del primo.
Volavano tanto bassi da avvertire il fruscio dell’aria densa che fendevano, mentre viravano e ritornavano a sfiorare il pelo dell’acqua, per poi adagiarsi elegantemente su di essa.
Velio osservava e ricordava. Lo rodeva ancora una domanda alla quale non era mai stato in grado di poter dare una risposta:
«Perché era avvenuto un tale evento da rimanere ancora palpabile, vivo nei suoi ricordi? Quale era stata la causa? Che veramente quello di Lucy non fosse stato amore? Quali e quanti errori da lui commessi avevano fatto traboccare il vaso? Domande che vorticavano, sboccavano in congetture, in cause imperscrutabili e in tanti dubbi».
E proprio il dubbio, pernicioso e distruttivo, lo teneva sospeso in apnea, lo minava. Rischiava di trasformare, di cancellare il senso della sua esistenza, della sua partecipazione alla vita, inaridendolo. Quando, durante brevi momenti il ricordo e, con esso il sentimento, risaliva in superficie, sotto la spinta inesorabile di un forse, un se, senza alcuna risposta che avesse valore e sapore di certezza, sopprimendo tutto volutamente, si vedeva incanalato verso l’appiattimento totale. Gli restava nel sottofondo il ricordo del sapore intenso degli abbracci, mentre con le labbra si saldavano in interminabili baci che lo trasportavano in un’estasi mai ritrovata.

Ora ormai grigio, quasi canuto, sfiorato da centinaia di veicoli mentre attendeva all’angolo di quella strada che si allungava lungo la spiaggia e solcava il villaggio marittimo, era sorpreso di non provare il fremito di circa mezzo secolo prima, ogni qualvolta era stato sul punto d’incontrarla, bussando alla porta di casa o quando intravedeva da lontano in campagna, l’abitazione dall’altro lato della vallata. Fremito che allora faceva vibrare le sue cellule epiteliali, risvegliando un formicaio, una suggestione che eruttava fiamme, alimentate da quegli abbracci profondi che contaminavano anche lei, intrisi di un’energia, di una piena difficile da contenere.
Che strano. Che non fosse più capace di sentire emozioni?
Vedendola apparire dietro l’angolo, a decenni dall’ultimo incontro avvenuto dove il lago perdeva la sua fisionomia trasformandosi in un corso d’acqua, non esitò a riconoscerla nonostante il suo avanzare spumeggiante avesse perso un poco della fluida eleganza giovanile.
Faccia a faccia ognuno leggeva nel viso dell’altro uno sguardo non di sorpresa, ma saturo di domande.
Erano molto cambiati.
Si salutarono come due vecchi amici che non s’incontravano da lunga data, con un’enfasi contenuta, amalgamata e attutita dai precedenti contatti virtuali in Internet.
«Lucy! Come è bello ritrovarti.»
«Ciao Velio.»
«Posso abbracciarti?»
«Ma certo. Perché non dovresti?»
Fu proprio il “perché non dovresti” a far comprendere a Velio che tantissime cose avevano seguito un corso diverso.
Avrebbe dovuto immaginarlo.
Inghiottì la saliva, cosciente che proprio in quel momento l’improvviso zampillare in lui di un nuovo sentimento era solo alimentato da immagini che ritornavano a scorrere come un diaframma che proiettava a ritroso i percorsi del passato ormai pallidi, colorati solo di un giallo opaco come i vecchi fogli incartapecoriti di un archivio polveroso o come le foto delle istantanee al lampo di magnesio fumogeno dei fratelli Lumière.
«Vedi non sono più quella di una volta. La vita mi ha plasmato, mi ha fatto diventare donna. Non più la ragazza ingenua. Sono ormai una donna sicura di me. So cosa voglio e prendo quello che la vita mi offre.»
Velio annuì. In fondo era naturale. Eppure leggeva in quelle parole una infinità di messaggi, di rimproveri che gli venivano rivolti, di accuse celate inconsapevoli, di delusioni e rabbia nei suoi confronti anche se sembravano affermare il contrario.
Di una cosa si rese conto: lei poneva in lui ancora tanta fiducia. Allora poteva essere certo che anche se nel lontano passato non l’aveva amato, lo aveva certamente voluto bene, altrimenti perché dirgli tanto di se stessa quella sera?
Gli raccontò della sua travagliata vita sentimentale, delle difficoltà affrontate per accudire alla famiglia, delle fatiche, del lavoro che accompagnava le sue notti, delle poche ore di riposo che si concedeva e degli amori attuali che coltivava intensamente.
Velio ascoltava quasi in silenzio. Vedeva in questi amori il bisogno che Lucy ormai libera, aveva di tuffarsi in un vortice che l’assorbiva e compensava delle tante delusioni vissute forse per aver preteso troppo, e ora alla ricerca di uno stato d’animo, di un’illusione che ci spinge a provare inconsciamente a riempire il vuoto che la vita con la sequenza di desideri rimasti in sospeso e mai appagati, ha scavato in noi.
«Forse sei cambiato anche tu.» gli disse «Io ti ricordo come ossessionato dalla gelosia e con idee abbastanza strane.»
A Velio venne voglia di sorridere.
Che fosse stata questa la ragione per cui era stato respinto? Voleva argomentare ma si astenne. A che serviva? Disse solo che lui non credeva di essere stato talmente geloso come lei affermava.
D’altronde se Velio era lì a sorseggiare un caffé e prendere un gelato al tavolo con lei, era perché sentiva ancora di volerle bene e perché voleva capire cosa mezzo secolo prima era successo e perché era successo.
In realtà era vero che anche lui fosse cambiato. Ad un’età che i giovani considerano ormai da vegliardi, la visione della vita aveva preso forme più scultoree, più concrete. Il suo sviluppo personale aveva annientato già in passato definitivamente i giudizi e le dicerie che il cerchio familiare di Lucy si era prodigato con cura a costruirgli attorno. Era cosciente di aver commesso degli errori dovuti al suo carattere impulsivo e irriflessivo, ma era stato sempre sincero nei confronti di tutti, troppo sincero ed ingenuo da essere strumentalizzato, usato come uno spaventapasseri issato nel bel mezzo delle stoppie aride.
Non se la sentiva di accettare che proprio questo fosse stato deleterio nel rapporto con lei. E invece lentamente quello che lei sciorinava glielo confermava. E Lucy nello sforzo di riscattarsi, di profilarsi come una donna capace di tener testa agli eventi, dotata di una perspicacia superiore ai semplici mortali, tutta tesa a descrivere lui come un debole, che aveva agito sotto la spinta della gelosia, gli dimostrava quanta fragilità e quanta incertezza impregnavano in quel momento la sua vita giornaliera.
Velio provava un senso tristezza.
Nonostante fosse già autunno, il giovane platano che li sovrastava mentre si abbracciavano prima di separarsi, restava frondoso, lussureggiante. In paziente attesa di momenti più rigidi, non aveva ceduto una sola foglia al suolo.
Quando si diedero l’addio e le dita si districarono dall’intreccio, lui la guardò forse per l’ultima volta profondamente negli occhi, incapace di vedere, di percepire la donna che gli stava davanti e sognando ostinatamente la ragazza di ieri dagli occhi di giada dolci e melanconici, alla quale innumerevoli volte aveva scritto, sussurrato dalle labbra, urlato dalle viscere: «Ti amo!»
Non gli balenò nemmeno l’idea di dirlo un’altra volta e se gli fosse sfuggito, il motore dell’auto avviandosi l’avrebbe soppresso.

Corrado S. Magro

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Un commento su “Le ultime fronde di Corrado S. Magro

  • Enzo Maria Lombardo

    A volte i sentimenti lievitano, con il tempo, quasi avessero vita propria, disgiunta e incontrollabile da noi. Anche l’amore, in questo racconto del bravo Corrado S. Magro, lievita nel silenzio di un lungo distacco, si evolve, matura, ma cambia registro e non riesce ad erompere con la forza della gioventù. Forse è diventato qualcos’altro e rischia di annegare nei rimpianti.
    Un’ottima pagina in cui l’introspezione dei personaggi è ambientata in paesaggi e particolari cesellati con cura.
    Complimenti, Corrado.
    Enzo Maria Lombardo