Dal primo pomeriggio le nuvole si erano posate sui monti vicini. Ne uscivano solo le cime, triangoli diafani sospesi nella bambagia che ormai assediava il piccolo paese sul mare.
Il sole era uscito a tratti, illuminando la piazza e la facciata della Chiesa con una luce falsa, cangiante, facendo risplendere di un verde brillante le panche allineate sotto i platani mentre le foglie mulinavano in piccoli vortici come lamine d’oro.
Poi, come se una mano enorme volesse cancellare i colori ad uno ad uno, il grigio invase di nuovo la piazza e solo la cima del campanile restò per un poco ancora rosata, prima di intristire anch’essa.
Qualcuno, seduto davanti al bar, a lato della Chiesa, guardava in alto, oltre il campanile, le nuvole sfilacciate dal vento tentando una diagnosi sul tempo. Qualcun altro scoteva la testa. Pioverà.
Confuso nell’ombra del vicolo che dalla piazza porta alla marina, il berretto calcato sin sopra le orecchie, il bavero alzato, grigio nel grigio e quasi invisibile nell’immobilità dell’attesa, Menichetto, secco e allampanato come un palo storto, stava appoggiato al muretto basso d’un orto, quasi parte di esso, pietra tra le pietre, confuso nel silenzio pesante delle cose morte e neppure il vento che s’insinuava nel budello a scuotergli i calzoni come vele male arrotolate riusciva a smuovere quell’immobilità pietrosa.
– “Oh, Menichè” – gli gridò qualcuno dal bar – “Che stai a fare laggiù? Vai a casa chè oggi il vento ti porta via!”
– “Vento o non vento io resto qui! Aspetto mio fratello Luigi con la nostra barca, la Sant’Anna.” – Rispose Menichetto, alzando un poco il berretto dagli occhi.
Frasi soffocate si mescolarono al rumore del vento e delle sedie smosse mentre i pochi avventori lasciavano il bar e la piazza: alcuni scossero il capo guardando indietro, verso Menichetto; qualcuno, andando, biascicò “Povero figlio…”.
Dopo un poco il vento diventò ancora più forte e l’aria, resa scura dalle nuvole basse, anticipò la sera.
Solo quando la campana della Chiesa suonò cinque rintocchi, il ragazzo si mosse e con passo sciancato arrancò verso la marina.
Quel pomeriggio la distesa d’acqua, ormai quasi nera all’orizzonte, era rischiarata a riva dalla spuma che si alzava a tratti, sollevandosi sugli scogli e ricadendo più avanti, srotolandosi come un tappeto sulla rena e sui ciottoli, smuovendoli con rumore di nàcchere.
Menichetto si portò un po’ più vicino a riva, dove la spuma gli lambiva le scarpe, e restò così, immobile, guardando il mare: oltre la scogliera del porto, solo pennellate bianche. Nessuna barca.
Eppure, pensò, a quest’ora, la Sant’Anna avrebbe dovuto lasciare il molo e avvicinarsi a riva.
Quella sera, invece, si vedevano solo cascate d’acqua e spuma scivolare dal frangiflutti.
Nel bagnasciuga l’acqua non faceva neppure in tempo a ritirarsi, sospinta dalle onde sempre più alte e Menichetto sentì i piedi bagnati nelle scarpe fradice.
Il mare gli era già entrato nei piedi, gli lambiva ormai le caviglie e lui pensò che doveva togliersi le scarpe e arrotolarsi i calzoni perchè fra poco sarebbe dovuto entrare in acqua per issarsi sulla barca. E con suo fratello sarebbe andato al largo a mettere i palamiti e le esche di fondo per la notte.
* * *
Oggi avrebbe fatto le cose a puntino, pensò Menichetto, anche se questa era una serata difficile, con il mare così grosso e il vento di libeccio. Lui al timone, dritto al largo, senza deviare, mentre Luigi avrebbe srotolato pian piano il filo dal cesto, staccato bene gli ami, i sugheri, i piombi. E lui avrebbe messo il motore al minimo, proprio come gli diceva Luigi. Avrebbe fatto tutto quello che gli diceva Luigi: avrebbe evitato gli scogli, anche se era scuro, perché ci vedeva bene, lui, alla poca luce del tramonto e avrebbe dato potenza al motore, superando il molo.
Cosa di un’ora, un’ora e mezza al massimo: poi a casa. Il tempo di fare mezzo miglio oltre la scogliera.
Questa era la sera giusta: non come quella di qualche tempo addietro…
Ricordò che anche allora soffiava un vento di mare, proprio come adesso. Ma l’acqua, allora, era cheta, le onde erano più basse: si poteva uscire. Ed il tempo tenne per un’ora buona, forse di più: giusto per mettere le esche e calare i palamiti.
Poi il vento rinfrescò e il gozzo oscillava sferzato da onde laterali.
Ma la barca teneva bene il mare anche se veniva sferzata di fianco.
Risentì la voce di Luigi: – Dai più gas, Menichetto, più gas! – E c’era un tremore strano nella voce di suo fratello, mentre le onde si alzavano sempre di più e la marina, con le luci dei lampioni già accese a prima sera, gli sembrò d’un tratto troppo lontana.
Cosa era successo dopo? Dalle nebbie di un sogno troppe volte sognato vide emergere la massa degli scogli. Gli era venuta incontro all’improvviso, come la porta nera dell’Inferno. E il suo mondo si era schiantato contro quella porta con una esplosione, quasi silenziosa, di schegge di legno.
Se li sentiva ancora addosso, quelle schegge, nelle gambe, nel petto. Come coltelli affilati.
Luigi aveva gridato qualcosa dal nero dell’acqua. Era sicuro che Luigi aveva urlato il suo nome dal fondo di quel baratro nero che si apriva a tratti tra la spuma bianca, proprio sotto il masso viscido su cui lui era stato scagliato nell’urto e a cui restava aggrappato come un polipo impaurito.
E come un polipo lo trovarono, più tardi, quando venne la lancia a motore dei soccorsi. Aveva una gamba rotta e lividi dappertutto. Dopo di lui issarono a bordo qualcosa di mostruoso e insanguinato e quando la lancia si accinse a doppiare il molo, nella sua scia, tra le onde ormai acquietate, si torcevano ancora i resti della barca.
* * *
Con le scarpe piene d’acqua Menichetto avanzò ancora a fatica nella rena del bagnasciuga. I piedi s’infossavano ad ogni passo.
No, stasera non avrebbe fatto spegnere il diesel. Le eliche avrebbero vinto la forza dell’Inferno. Le nere barriere di pietra non si sarebbero messe davanti alla prua e la barca avrebbe navigato sicura e forte oltre la scogliera.
Ora l’acqua gli era già alle caviglie mentre il vento continuava a rinforzare.
Il cappello gli fu strappato dalla testa, volò sulla ghiaia, rotolò per alcuni metri prima d’impantanarsi in una pozzanghera sotto il muretto di riparo, vicino alla strada. Ma Menichetto non lo rincorse: non se ne accorse neppure. L’acqua gli arrivò al ginocchio ferito e le onde gli sferzarono lo stomaco e il petto mentre continuava ad avanzare.
Ancora pochi metri, ancora un passo, ancora uno, un altro… Ecco la barca. E’ ancora lontana, verde e bianca tra le creste delle onde. Si vede a stento. E’ confusa dagli spruzzi d’acqua che annebbiano gli occhi. Ma è lei, Menichetto ne è certo. Eccola la Sant’Anna. Oscilla e rotola proprio come un’onda ma, a guardar bene, non è un’onda: è la mia barca, pensò, anche se è strano non sentire il motore. Perchè rotola ancora verso gli scogli? Perchè a motore spento?
“No!” – gridò al vento Menichetto mentre correva zoppicando tra i marosi. “ No! Chiudi il tuo Inferno, mare! Lascia passare la nostra barca! Ridammi la Sant’Anna e mio fratello!”
* * *
Solo quando l’acqua gli arrivò al petto Menichetto sentì la voce cupa di suo padre e una mano che lo tratteneva forte e lo riportava a riva.
– “Lasciami, papà… – gorgogliò Menichetto scalciando e spruzzando attorno acqua e rena – “La Sant’anna è laggiù, con Luigi… La nostra barca… la vedi papà? E’ ancora lontana, laggiù… E sopra c’è Luigi… e io…”
La voce di suo padre era affannata per la corsa. Era stato avvisato da qualcuno e in quattro salti era sceso dalla vicina casa alla marina. La sua voce voleva essere calma, rassicurante, ma tremava.
– “Vieni a casa, Menichetto. La Sant’Anna non è uscita stasera. Il mare è troppo grosso, non vedi? Forse domani…”
Enzo Maria Lombardo
Un trauma profondo che flagella impietoso la sua vittima. Colori ben dosati misti a rumori vivi danno al quadro una realtà pittorica che ci lascia inquieti e tristemente impotenti.