L’AFFONDAMENTO DELLA SANTO STEFANO


battaglia-di-premudaA cura di Augusto Benemeglio

  1. Quartier Generale Austriaco. 28 maggio 1918.

L’Ammiraglio Nicolas Horty , nominato da pochi mesi Comandante in Capo della Flotta Austro-ungarica è ancora sofferente per i postumi delle ferite riportate durante il forzamento di Capo d’Otranto dell’anno precedente. Zoppica e talora è costretto a camminare servendosi ancora delle grucce, ma la sua carica vitale è dirompente.
“Vostra Maestà Imperiale, Signori Capi di Stato Maggiore, ritengo che la prevista offensiva terra-mare per scardinare il sistema difensivo italiano debba essere condotta con il massimo delle forze disponibili. Dobbiamo travolgere sul fronte del Piave l’esercito italiano e sferrare contemporaneamente un attacco di altrettanta potenza contro la Marina. Ci ho riflettuto a lungo. Bisogna colpire Otranto , con la massima potenza disponibile e con estrema determinazione. Otranto è il punto forte e insieme il punto debole del nemico. Signori, la storia è al bivio: si tratta di scrivere una pagina che resterà decisiva per le sorti di questa guerra”.
Il piano prevede che la “Viribus Unitis” e la “Prinz Eugen” lascino la base di Pola all’alba dell’8 giugno , dirette verso sud, seguite a poche ore di distanza dalla “Szent Istvan” e dalla “Tegethoff”. Si tratta di quattro corazzate superarmate e poderosamente scortate , con un potenziale distruttivo nel suo complesso terrificante. Attaccare di sorpresa, colpire , forzare lo sbarramento Antisommergibile di Otranto, costringere il nemico ad uscire dalla tana per portargli un’offensiva forse mortale, questo è il piano ambizioso dell’Ammiraglio Horty.
“Abbiamo già dimostrato , con la squadra di Incrociatori , che siamo in grado di forzare lo sbarramento di Otranto. Allora le soverchianti forze nemiche c’impedirono di portare a compimento la missione. Ora colpiremo di sorpresa e in forze. Se riusciremo a sfondare ad Otranto potremo distruggere il grosso della flotta italiana. Perché saranno impreparati, perché saranno sorpresi da tanta audacia, perché saranno soverchiati dalle navi imperiali. Ma per la buona riuscita dell’operazione occorre innanzi tutto il massimo della segretezza”.
Il comando della spedizione viene affidato al Commodoro Seitz che alza le proprie insegne sulla “Szent Istvan” , formidabile moderna nave di 20 mila tonnellate , 26 mila cavalli a turbine, 151 metri di lunghezza , 27,30 di larghezza , 20 nodi di velocità, 40 cannoni e 4 tubi lanciasiluri. La “ Santo Stefano” , una dreadnought, varata a Fiume nel 1911 , rappresenta il vanto e l’orgoglio della marina imperiale austroungarica.

2.Porto di Pola. 9 giugno 1918

E’ ormai la notte del 9 giugno 1918 e tutto è pronto per la missione di guerra. Nell’ultima settimana, Seitz ha dato ordini che nessun membro dell’equipaggio avesse licenze o franchigia. Anche la posta in partenza è stata trattenuta dal comando di bordo. La squadra navale austriaca lascia il porto di Pola con le due grandi navi da battaglia, la “Santo Stefano” e la “Tegethoff”, scortate da una decina di caccia. Sono dirette a sud. Banchi di bassa nebbia indugiano pigri sul mare. Tutte le luci sono spente. Il Commodoro Sietz ha dato ordini perentori: né luci, né rumori. La missione è di vitale importanza, la sorpresa ne è l’elemento fondamentale, essenziale. Gli italiani non devono sospettare di nulla.

3.Acque di Premuda. Notte tra il 9 e il 10 giugno 1918.

Nel frattempo , a diverse miglia di distanza, due piccole imbarcazioni oscillano quietamente sul mare. Sono i MAS italiani della Sezione di Ancona, contrassegnati con i numeri 15 e 21 . Si sono staccati dai rimorchi alle ore 21.30 e stanno effettuando una perlustrazione del canale tra le isole di Gruizia e di Premuda. Si tratta di una missione di routine: dragare le acque, con i rampini esplosivi , durante la notte, e ritornare al punto convenuto alle ore 2.30 per far ritorno alla base di Ancona.
Il Comandante della Sezione è il Capitano di Corvetta Luigi Rizzo, che nella notte tra il 9 e il 10 dicembre 1917 , entrato col suo Mas 15 nel porto di Trieste , era riuscito ad affondare la corazzata “Wien” e a danneggiare l’altra , la “Budapest”, che costituivano due pericolosi ostacoli per le nostre batterie di Cortellazzo, e ora continua a perlustrare le acque antistanti l’isola di Premuda , unitamente al MAS 21 , al comando del Guardiamarina Giuseppe Aonzo, siciliano come lui. La notte è calma e tranquilla e Rizzo per un attimo si abbandona ai ricordi.

4. Acque di Premuda: ore 3.12

Alle due e mezzo Capo Gori ha già segnalato a Rizzo l’orario di fine operazioni. Ma il comandante ha come un presentimento.: “Draghiamo quest’ultimo tratto di mare, poi dirigeremo per il punto convenuto.
Scrive sul diario di bordo.”Verso le ore 3.15 , essendo a circa miglia 6.5 da Lutostrak , avvisto leggermente a poppavia di traverso e sulla dritta, una grande nuvola di fumo, che mi mette in sospetto” Sul momento , Rizzo non sa individuare chi possa emettere quel fumo, non sa neppure con quale tipo di imbarcazione abbia a che fare. Può arrischiare solo delle supposizioni. “Certamente – pensa – si tratta di navi nemiche, perché qui di scafi italiani ci sono solo i nostri. Forse siamo stati avvistati. Magari si tratta di torpediniere austriache uscite da Lussino e stanno per venirci addosso”. La logica sussurra a Rizzo di far rientro. “Aumenta i giri e muovi rapidamente verso il luogo di appuntamento prima che sia troppo tardi. Non puoi rischiare la vita dei marinai che ti sono stati affidati”. Ma Rizzo non è disposto ad ascoltare fino in fondo la voce della prudenza. E’ un uomo di assalti e se fosse solo lui a rischiare non esiterebbe neppure un istante; il piacere di osare l’attacco al nemico è la gioia più intensa, totale, inarrivabile che egli possa provare. Ma non è solo , ha un equipaggio con sé, di cui è responsabile , ed è per questo che continua ad avere titubanze. “Una torpediniera – riflette – è il più grave pericolo in cui tu possa incorrere, in primis perché è più veloce di te, che, con quei siluri che appesantiscono lo scafo, non puoi fare più di 18-19 nodi. E poi non sei assolutamente attrezzato per contrarla. Non hai armi adatte. Fuggi prima che si avvicinino!”

5. Bordo della Nave Ammiraglia. Ore 4.30

Mentre il MAS di Rizzo s’avvicina sempre più alla nuvola di fumo, a bordo della Santo Stefano, il commodoro Seitz guarda accigliatissimo le grandi nubi che uscivano dai fumaioli delle sue unità e macchiavano di un nero denso e compatto il cielo. Era il crepuscolo mattinale. Seitz fa chiamare il comandante della Nave.” Male, malissimo! Quelle nubi nere possono essere avvistate esattamente come la luce di un fanale! Occorre fare qualcosa per eliminarle, o almeno attenuarle. Provveda subito!”
Intanto Rizzo continua ad avere dubbi. “Chi può escludere che invece di una torpediniera , si tratti di ben altro, con tutta quella massa di fumo che sta in cielo? Chi può escludere che non si tratti di una grossa unità da guerra?”In Rizzo prevale l’animus del cacciatore che fiuta la preda . Non può resistere , non sa resistere. Ormai ogni dubbio è dissipato , ogni perplessità è sciolta. Vira di bordo e dirige decisamente verso quella nuvola di fumo sempre più vicina . Lo segue come un’ombra il MAS 21 di Giuseppe Aonzo. In questa grande impresa di taciturni e silenziosi , sul far dell’alba del 10 giugno 1918 , i due MAS, invisibili sparvieri, con gli equipaggi tesi e pronti al combattimento , passano in mezzo alle grandi corazzate austriache, nere e torreggianti sul mare, opponendo all’aquila imperiale il piccolo ricolorare inclinato a poppavia.

6. Acque di Premuda. Ore 4.40

Scriverà Rizzo nel suo rapporto: “Decisi di approfittare della luce incerta per prevenire l’attacco: invertivo perciò la rotta, seguito dal MAS 21, e dirigevo sulle unità nemiche alla minima velocità onde non far rumore ed evitare i baffi che avrebbero tradito la mia presenza”.
I baffi non sono ovviamente quelli di Rizzo, ma gli spruzzi d’acqua sollevati dalle prue dei MAS che potevano segnalarli al nemico. Ma Rizzo non sa quali siano le unità nemiche. Solo quando i banchi di vapore si diradano quasi del tutto s’accorge di stare dirigendo su di una squadra da battaglia.
“Dio mio!. Di navi così non ne troveremo più. Diamogli sotto, ragazzi”.
I due MAS ora prendono velocità , mentre Rizzo studia la formazione nemica, cerca il punto più adatto per entrare in essa e avvicinarsi alle corazzate. I siluri, infatti, sono regolati a un metro e mezzo di profondità e non riescono a passare sotto la chiglia dei caccia per proseguire la loro corsa verso le navi da battaglia. E’ necessario quindi portarsi più avanti possibile e non avere nessun bersaglio tra il MAS e l’obiettivo.

7.Bordo della Nave Ammiraglia. Ore 4.55

Intanto a bordo della “Szent Istvan” , il commodoro Seitz è seduto quietamente sulla plancia e guarda il mare tranquillo. Il fumo si è diradato e comunque tra poco farà giorno . Ma, come se avvertisse la presenza improvvisa di qualcosa di mutato, qualcosa di non chiaro, si volge all’Ufficiale di Guardia.
“Signor Titz controlli le posizioni dei cacciatorpediniere”.
“Sì, Signore. Comandi”.
Mentre l’ufficiale di guardia s’affaccia alla murata della Santo Stefano, i due MAS , a 12 miglia di velocità, passano tra due caccia di scorta. Passano via senza essere avvistati. Rizzo sta aggrappato alla battagliola, la faccia bruna sferzata dagli spruzzi salmastri, gli occhi fissi alla mole torreggiante della nave ammiraglia, sempre più grande, sempre più vicina. Calcola, rapido, preciso, il tiro, l’angolo d’impatto. Leva la mano destra in alto – la Santo Stefano è a trecento metri, le altre navi austriache continuano la loro rotta, non hanno alcun sospetto – , Rizzo ora abbassa la mano: “Fuori uno!”
Uno scatto metallico , il siluro piomba pesantemente in acqua, comincia a saettare in avanti. Rizzo e tutto l’equipaggio lo seguono trepidanti, ma non aspettano l’impatto. Ecco che Rizzo alza nuovamente la destra, poi la riabbassa di scatto: “Fuori due!”
E mentre il secondo siluro inizia la sua corsa fatale, ordina al timoniere:
“Accosta, ora. Andiamo via!”
Il MAS 15 piega bruscamente mentre due scie bianche dei siluri puntano vertiginosamente verso la grande corazzata “Santo Stefano”.Sono le cinque precise del mattino e il Tenente di Vascello Titz ritorna in plancia per riferire al commodoro.L’ufficiale austriaco va a riferire al Commodoro: “Tutto in ordine, Signore. Tutte le navi sono in vista e la loro posizione…ma ecco che s’interrompe : due colpi, due boati, quasi contemporaneamente, esplodono sotto la plancia. La grande nave sussulta. In pochi secondi , ancora prima che il giovane ufficiale possa rendersi conto di ciò che accade, ancor prima che il commodoro Seitz possa affacciarsi alla murata, due gigantesche colonne d’acqua si levano sul fianco della nave, che trema, sussulta e sbanda paurosamente. Il grido dei marinai si confonde con lo scroscio delle esplosioni .La Santo Stefano si piega su di un lato, ferita a morte. Gli occhi di tutti guardano il mare: chi è stato? Ma non si vede nulla, più nulla. E’ troppo tardi per inseguire un nemico invisibile e crudele che aveva lanciato siluri mortali, un nemico inafferrabile…

8. Acque di Premuda. Ore 5.05

Il MAS 15 sfreccia via veloce, compiendo una stretta virata, la prua verso il mare libero, mentre la Santo Stefano continua a sbandare sotto la pioggia d’acqua salmastra. Uno dei caccia di scorta avvista l’imbarcazione italiana, accosta bruscamente, le macchine al massimo, avanti tutta, e con rabbia si lancia all’inseguimento del MAS. Piomba nella scia di Rizzo, a poco più di 100 metri di distanza e comincia a far fuoco. Dirà Rizzo nel suo rapporto:
“Il cacciatorpediniere alla mia sinistra, accortosi del lancio, dirigeva per tagliarmi la ritirata , riuscendo , ad evoluzione compiuta dal MAS, a mettersi nella mia scia, ad una distanza di 100-150 metri. Apriva il fuoco con un solo pezzo, con colpi ben diretti, ma leggermente alti, che scoppiarono di prora. Gli altri cacciatorpedinieri non riescono a comprendere l’accaduto, ma si serrano, lanciano bombe di profondità attorno alla nave ammiraglia colpita a morte. “I sommergibili, i sommergibili!”, grida qualcuno dalla Santa Stefano. Nessuno pensava che fossero ancora una volta quei piccoli grandi nemici invisibili e inafferrabili , i MAS , che erano riusciti ancora una volta a creare grande scompiglio e panico nella squadra navale imperiale. Anche il MAS al comando di Aonzo sgancia i due siluri a disposizione contro la “Tegethoff”, ma gli stessi affondano prima ancora di raggiungere il bersaglio.

9. Bordo della Santo Stefano. Ore 5.10.

Lo sbandamento cresce di minuto in minuto, ad uno ad uno i suoi compartimenti vengono conquistati dall’acqua. A bordo ora è tornata la disciplina , ma c’è ancora sbalordimento, incredulità, sgomento. La nave s’inclina di minuto in minuto , di attimo in attimo. Il Commodoro Seitz , pallidissimo e muto, è rimasto in plancia. Cos’era accaduto?
La prima esplosione aveva schiantato la “Szent Istvan” tra i due fumaioli , il secondo siluro aveva colto la carena tra la poppa e il fumaiolo poppiero, in concomitanza con il locale delle caldaie. Erano state subito fatte fermare le macchine. Seguirono scene di panico. L’Ammiraglio Seitz diede ordine agli Ufficiali di sparare su chiunque avesse abbandonato il suo posto di bordo. Ciò per evitare che il disastro s’aggravasse ulteriormente a causa delle prevedibili scene di terrore da parte dell’equipaggio. Ma non ci fu bisogno di nessun intervento. I marinai- molti dei quali erano – ahimè – veneti , dimostrarono un coraggio e una disciplina esemplari , nessuno perse la testa. L’Ammiraglio tentò di mantenere la nave in linea di galleggiamento , fece rimettere in moto le macchine e chiese alla “Tegethoff” di venirlo a prendere a rimorchio. Ma ormai era troppo tardi, le paratie stagne cedevano, la quantità d’acqua imbarcata divenne presto enorme . Alle cinque e venti del mattino, Seitz comandò che venissero calate a mare le scialuppe e dichiarò l’abbandono nave. L’estrema agonia della “ Szent Istvan “ cominciava in quell’istante. Il cappellano benedisse l’equipaggio e i marinai con il cuore stretto in una morsa d’angoscia risposero tutti in una sola voce: “Hurrà!”

10. Bordo della Tegetthoff . Ore 5.55

Dalla corazzata “Tegethoff”, i marinai assistono muti e immobili alla tragedia. Vedono il lento scomparire della Santo Stefano alla luce di un mattino crudelmente luminosissimo. I marinai della nave ammiragli morente si lanciano dall’alto delle murate , toccano l’acqua con fragore , poi cercano salvezza e soccorso. Le scialuppe s’allontanano rapidamente dal luogo della catastrofe. Sono le 6.05 del 10 giugno 1918, quando la corazzata scompare , inghiottita dalle acque di Premuda in un immenso vortice gorgogliante di flutti. I marinai della Tegethoff guardano esterrefatti e commossi . Piangono. L’Ammiraglia non c’è più. Non sanno che fare. Uno di loro si leva il berretto, un altro lo imita. Allora pian piano tutto l’equipaggio della corazzata superstite si leva il berretto e urla in una sola voce: “ Hurrà!” Il Commodoro Seitz , da bordo della Tegethoff , dove si era trasferito, telegrafa ad Horty la notizia del siluramento e dell’affondamento della corazzata. Nella sciagura oltre cento marinai austriaci avevano perso la vita e circa trecento erano i feriti.

11. Quartier Generale dell’Impero Austro-Ungarico.

Appena riceve la notizia , Horty è incredulo, esterrefatto, annichilito. E’ la fine del suo piano, è la fine di tutto. Riferisce a Carlo d’Austria e ai Capi di Stato Maggiore, poi, nel pomeriggio invia la sua risposta a Seitz: “L’azione non verrà eseguita. Rientrate a Pola con tutte le unità”.
Due ufficiali del controspionaggio austriaco saranno messi al muro, accusati di aver tradito e aver trasmesso all’Italia i dati sull’attacco a Otranto. Erano innocenti, naturalmente. Né i servizi segreti francesi, né quelli italiani sapevano nulla del piano di Horty.

12. Londra. Ammiragliato.
La notizia si propaga rapidamente a tutti gli alti Comandi in Guerra. Da Londra il comandante in capo della “ Grand Fleet”. Ammiraglio David Beatty telegrafa subito al Capo di Stato Maggiore della Marina Italiana, Ammiraglio Paolo Thaon di Revel: “La Grand Fleet porge le più vive congratulazioni alla marina italiana per il magnifico risultato conseguito con tanto valore e audacia contro il nemico austriaco”.

13. Acque di Premuda . Ore 5.20
Il MAS 15, dopo l’affondamento, continua a fuggire inseguito dalle rabbiose cannonate del cacciatorpediniere austriaco, tutte ben dirette, ma sempre un poco alte per quel diavolo di Rizzo, che sembra invulnerabile. Il MAS 15 sfreccia sotto una pioggia d’acqua calda e lo scroscio delle granate.” L’incrociatore che ci inseguiva accostò immediatamente di novanta gradi ed io, con accostata a sinistra, ne aumentai rapidamente la distanza perdendolo poco dopo di vista. Il MAS 15 , seguito dal MAS 21, in breve s’allontana. Pochi istanti ancora e le due imbarcazioni italiane non sono che due piccoli punti sul mare. Quando ormai sono del tutto fuori pericolo, continuando a navigare a tutta forza verso il largo, Rizzo e i due equipaggi dei MAS traboccano di orgoglio e di fierezza. Sanno di aver compiuto una grande impresa. Sanno di aver affondato una grande nave da battaglia, ma non sanno di quale nave si tratti, se la Santo Stefano o la Tegethoff. La loro gioia è muta e tuttavia irrefrenabile. Per Rizzo è la seconda corazzata austriaca che manda a fondo , in solo sei mesi .

14. Acque territoriali italiane – ore 6.12
Rizzo lancia verso il cielo tre razzi bianchi e uno verdi. Il segnale significa: “ Ho silurato una nave”. E’ ormai l’alba piena del 10 giugno 1918 e nel cuore di tutti i marinai che hanno partecipato alla grande impresa fiorisce spontanea una preghiera di ringraziamento. “A te , o grande eterno Iddio, / Signore del cielo e dell’abisso, / cui obbediscono i venti e le onde, / noi, uomini di mare e di guerra, / Ufficiali e Marinai d’Italia, / da questa sacra nave armata dalla Patria, / leviamo i cuori…/ Salva ed esalta, nella Tua fede, o gran Dio, la nostra Nazione./ Dà giusta gloria e potenza alla nostra bandiera, comanda che la tempesta ed i flutti servano a lei; / poni sul nemico il terrore di lei; / fa che per sempre la cingano in difesa petti di ferro, / più forti del ferro che cinge questa nave,/ a lei per sempre dona vittoria./ Benedici , o Signore, le nostre case lontane, le care genti. Benedici nella cadente notte / il riposo del popolo, / benedici noi che, per esso, vegliamo in armi sul mare. / Benedici!

Augusto Benemeglio

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