Dai testi teatrali e, più in generale, dagli scritti dell’autore e regista Augusto Benemeglio, prorompe un cuore-vulcano dal quale fuoriesce lava, un fiume incandescente in cui navigano emozioni vitali, catene di immagini e di voli presenti e perduti nei luoghi di sogno e di mito: aneddoti , sostanza che infiamma e nutre “i visitatori” della sua anima.
In particolare, riguardo al libro “ Acqua Rotta”, scritto in ricordo del fratello Alberto, morto all’età di sessantotto anni, poco dopo la perdita prematura del figlio Alessandro, il cuore di Augusto dilaga e fa emergere – quale ninfa a fior d’acqua – il suo profondo affetto per il fratello stesso. E’ affetto impastato di ricordi – L’autore ripercorre “il film” della fanciullezza e della giovinezza trascorse insieme, dei loro giochi spensierati e della loro esperienza di mare (entrambi sono stati marinai. Anche secondo la volontà espressa dalla loro madre) – ma anche di rimpianti e un po’ di rimorsi perché – dice , in effetti lo scrittore – l’amore non si riesce mai a manifestarlo o ad esprimerlo appieno.
Risaltano, inoltre, dalla lettura e balzano vivi, altri sentimenti e valori radicati nell’anima di Augusto: quello dell’amicizia ( vds. quella per l’autore della bella prefazione, Maurizio Nocera, e per altre persone a lui legate e vicine per indubbie affinità elettive ) ; quello dell’amore per l’affascinante Gallipoli , mitica terra salentina alla quale dedica un canto appassionato. Toccanti , le poesie: “Nostra madre” in cui le immagini diventano melodia, musica dell’anima, madre “dagli occhi di velluto” che cercano amore, “madre groviglio, grotta, che rivedo in sogno tutte le notti”, cercata “per rientrare nel suo caldo utero” (Che dolcezza quel nido materno!) “ Per non rinascere più” ; e poi ci sono “Non abbiamo mai riso insieme”, “La carezza”, e quella dell’Addio, tutte dedicate al fratello, vere elegie dense si rimpianto e d’amarezza. Quest’ultima recita: “Dammi un bacio, fratello, perdona la mia insipienza, il mio povero, incapace amore!; la poesia “ Si danza perché si è angeli”, dove le immagini sono soffuse di delicatezza eterea, impalpabile; poi ancora , la composizione dedicata alla bella nonna paterna, Elisa da Genazzano (in Ciociaria) dal titolo, appunto,“Genazzano”, nonna dalla lunga treccia di capelli nerissimi e lunghissimi, dalla pelle diafana, “ che respirava rugiada”/ con la mano stesa al frutto del melograno (che) con lo splendore del suo sguardo accendeva i fanali di una cupa Genazzano” e che si intravede , per amore doveva aver sofferto; infine , il canto “ La preghiera di mia moglie”, canto, direi mistico in cui il personaggio della moglie dello scrittore è delineato nella sua caratteristica di donna pia, riservata che prega nel nuovo cimitero di Cerveteri con voce sommessa ed invoca Dio, il Suo eterno amore – da cui la fragile creatura umana non può prescindere – per i parenti volati nell’infinita dimensione.
In conclusione ed a mio parere, si tratta di una narrazione poetica che forma un quadro ampio , dalle tinte forti ed insieme delicate, indelebili, trascendente la dolorosa esperienza personale dell’autore , per rappresentare il dramma dell’umana esistenza, appesa ad un insondabile mistero.
Roma, 20/2/2017
Rossana Mezzabarba Nicolai