LA GIUSTIZIA DI ISIDE
– Dov’è Sirah? – chiede il capitano.
– Voleva un po’ di coca – risponde Yannis.
Sadou si alza per cedere il posto a Larissa e non fa in tempo a mandare il messaggio.
Un vociare rabbioso si leva dal fondo del corridoio.
– Dev’essere comparso un domatore – ammicca Larissa, intenta a scrivere all’aracne, – per farci saltare nel cerchio di fuoco.
– Avessi qualche granata – replica Elin, – sgombrerei il piano in pochi secondi.
– Ho anch’io la mia bomba – replica il capitano. Due colpi perentori alla porta dell’Acquario.
– Levate la barricata e aprite. Sadou e Yannis obbediscono.
Sulla porta vi sono i due heqai che hanno accompagnato Larissa al collo¬quio notturno con la Medithe. Il capitano strappa dalla cornice il foglio appena tessuto e lo firma in calce con lo stilo, quindi lo porge agli heqai.
– Le mie dimissioni.
– Tenetemi fuori da questa storia.
Sabni getta il foglio delle dimissioni di Larissa sul gradino umido e si rac¬coglie l’asciugamano attorno ai fianchi. Dal vapore della sauna, al primo piano della Sfìnge, sono emersi i fantasmi degli heqai e sono riusciti a sco¬varlo senza difficoltà, poiché è l’unico cliente.
– Tu ci sei dentro quanto noi – replica un heqa, sedendosi accanto a lui.
– E ora ci aiuterai a trovare la persona giusta – aggiunge l’altro, recu¬perando le dimissioni.
– Suvvia, Sabni, sei sempre stato del parere che Larissa spadroneggiasse.
– Sei l’unico, in questi cinque anni, ad aver seguito da vicino i Sette. Avrai notato qualcosa, avuto sentore di una tecnica, un metodo per individuare i membri della squadra.
– Rà mi incenerisca se ci ho capito qualche cosa – ribatte Sabni.
La porta della stanza si apre, una corrente d’aria fredda fa rabbrividire gli uomini seminudi, un inserviente fa strada a un uomo che indossa la divisa del Ministero dell’acqua.
– Prego, da questa parte, keme ispettore.
I due avanzano con prudenza nell’aria densa e calda mentre Sabni riprende a parlare.
– Menes è stato il primo.
– Ed era un hedja – sottolinea un heqa.
– Un comune Sabbia Fine – puntualizza Sabni. – Perciò io avevo creduto
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