Citazioni tratte da: Ogni cosa è illuminata di Jonathan Safran Foer
«Io monto sull’autobus un’ora per andare a lavorare tutto il giorno e fare cose che odio. Vuoi sapere perché? Per te, Alexi-basta-di-ammorbarmi. Un giorno farai per me cose che hai in odio. È questo che vuol dire essere una famiglia»
Per quanto tempo potevamo fallire ancora, prima che ci arrendessimo? Mi son sentito come se tutto il peso stesse aggravandosi su di me. Come col Babbo, c’è solo un tale numero di volte che puoi ripetere «Non fa male» prima che cominci a farti male ancora più del male. Diventi elucidato della sensazione di sentir male, che è peggio, sono sicuro, del male che c’è. Non-verità erano sospese come frutti davanti a me.
E mi domando se non puoi fingere per un po’, se non possiamo fingere di amarci. Fino a quando non me ne sarò andato.
Silenzio.
E lei la riprovò, la stessa sensazione di quella notte in cui lo aveva conosciuto, quando lui era illuminato alla sua finestra, e lei, abbassando le braccia, si era sfiorata la pelle lungo i fianchi e si era girata per guardarlo.
Brod disse: Ce la possiamo fare.
Brod praticò un piccolo foro nella parete in modo che potesse parlarle dalla stanza da letto vicina dove si era autoesiliato, e nella porta fu inserito uno sportello che si apriva in un’unica direzione, attraverso cui si poteva far passare il cibo. Andò così negli ultimi tre mesi del loro matrimonio. Lei spinse il proprio letto contro il muro per udire le sue appassionate oscenità e sentire lo scondinzolio del suo indice teso, che in quella posizione non poteva né ferire né accarezzare. Quando trovava il coraggio, infilava un dito nel buco (come per stuzzicare il leone nella sua gabbia) richiamando il suo amore al divisorio di pino.
Che cosa stai facendo? bisbigliava l’uomo di Kolki.
Sto parlando con te.
Lui appoggiava l’occhio al foro. Sei bellissima, così.
Grazie, rispondeva lei. Posso guardarti?
Lui arretrava dal foro, in modo che lei potesse vederlo almeno in parte.
Brod gli chiedeva: Puoi levarti la camicia?
Sono timido, rideva lui.
Si sfilava la camicia.
E tu ti puoi levare la tua, in modo che non mi senta troppo strano stando così?
Perché questo ti farebbe sentire meno strano? rideva lei. Ma se la sfilava, assicurandosi di essere abbastanza lontana dal foro da permettere a lui di avvicinarsi e guardarla.
Puoi levarti anche le calze? gli chiedeva lei. E i calzoni?
E tu ti puoi levare i tuoi?
Sono timida anch’io, diceva lei, il che – per quanto avessero visto i rispettivi corpi nudi centinaia, anzi probabilmente migliaia di volte, era vero. Non si erano mai visti da lontano. Non avevano mai conosciuto l’intimità più profonda, quella prossimità raggiungibile solo con la distanza. Lei andava al foro e lo guardava in silenzio per alcuni minuti. Poi si riallontanava dal foro. Lui vi si avvicinava e la guardava a sua volta in silenzio per qualche minuto. E in quel silenzio raggiungevano un’altra intimità, quella delle parole senza parlare.
Ora ti puoi levare tutto? gli chiedeva lei.
E tu?
Se ti levi tutto tu.
Ma tu?
Sì.
Prometti?
Si spogliavano entrambi della biancheria e guardavano a turno dal foro, provando la gioia improvvisa e profonda di scoprire l’una il corpo dell’altro, e il dolore di non potersi scoprire simultaneamente.
Toccati come se le tue mani fossero le mie, gli diceva lei.
Brod…
Ti prego.
E lui lo faceva, pur con imbarazzo, pur essendo a distanza di un corpo dal foro. E anche se non vedeva niente più dell’occhio di Brod – una biglia azzurra nel piano del legno – lei faceva come faceva lui, usava le proprie mani per ricordare quelle di lui, si rovesciava all’indietro, e con l’indice destro titillava il foro nel divisorio di pino e con il sinistro premeva in cerchi sul suo più grande segreto che era un foro anch’esso, anch’esso uno spazio negativo, e quando una prova sufficiente è sufficiente?
Vuoi venire da me? gli chiedeva lei.
Sì.
Veramente? Sì.
E facevano l’amore attraverso il foro. I tre amanti premuti l’uno all’altra ma senza mai toccarsi del tutto. L’uomo di Kolki baciava il muro, e Brod baciava il muro, ma il muro egoista non ricambiava mai il bacio di nessuno dei due. L’uomo di Kolki premeva il palmo delle mani contro il muro e Brod, che al muro dava le spalle per accogliere l’amore, premeva il dietro delle cosce contro il muro, ma il muro rimaneva indifferente, assolutamente insensibile a ciò che loro due si sforzavano di fare.
Vivevano con il foro. L’assenza che lo definiva diventò una presenza che definiva loro due. La vita era un piccolo spazio negativo ritagliato nell’eterna solidità, e per la prima volta era sentito come prezioso – non come tutte le parole che erano giunte a non voler dir nulla, ma come l’ultimo respiro di una vittima che sta affogando.
«Prima credevo che l’umorismo fosse l’unico modo di misurare quanto è meraviglioso e terribile il mondo, per festeggiare la grandezza della vita. Capisci cosa voglio dire?» «Sì, naturale.» «Ma adesso credo tutto il contrario. L’umorismo è una maniera di ritrarsi da questo mondo meraviglioso e terribile.»
La vita non è prezzo equo per l’idiozia.
…se noi dobbiamo essere così nomadi con la verità, perché non rendiamo la storia più pregiata della vita?
(…) Non credo che esistano limiti a quanto possiamo far sembrare pregiata la vita.
Ho trovato una cosa commovente sentire la sua mano e ricordare che le mani possono raccontare tanto.
Non sapevano niente di tutto ciò, mio nonno e la Zingarella, mentre facevano l’amore per l’ultima volta, mentre lui le toccava il viso e passava le dita sulla pelle morbida sotto il mento, mentre le riservava la stessa attenzione avuta dalla moglie di uno scultore. Così? le chiedeva. Lei batteva le ciglia contro il suo petto. Spostava il suo bacio di farfalla su per il busto e sul collo di lui, dove il lobo dell’orecchio sinistro si saldava alla mandibola. Così? gli domandava. Lui le sfilò dalla testa la camicetta azzurra, sciolse le sue collane a perline, la leccò sotto le ascelle lisce e sudate, le passò il dito dal collo all’ombelico. Con la lingua tracciò dei cerchi attorno alle sue areole color caramello. Così? le chiese. Lei annuì e reclinò la testa. Con la lingua le titillò i capezzoli, e capì che era tutto così assolutamente sbagliato, tutto quanto, dal momento della sua nascita a ora, tutto stava evolvendo nella maniera sbagliata – non al contrario, ma peggio ancora: in prossimità. La Zingarella usò tutte e due le mani per slacciargli la cintura. Lui alzò il sedere da terra per darle modo di abbassargli i calzoni e le mutande. Lei gli afferrò il membro. Avrebbe tanto desiderato che stesse bene. Era convinta che non fosse mai stato bene. Voleva essere fonte del suo primo e unico piacere. Così? Lui mise la mano sopra quella di lei e la guidò. Lei si sfilò calzoni e mutandine, prese la mano morta e se la premette fra le cosce. I folti peli del pube si arricciavano in boccoli sciolti, a onde. Così? le chiese, anche se era lei a guidargli la mano, come nel tentativo di orientare un messaggio su una tavola ouija. Si guidavano l’una sul corpo dell’altro. Lei infilò dentro di sé le dita morte e sentì per un attimo l’inerzia e la paralisi. Sentì la morte dentro di sé, attraverso di sé. Ora? le chiese lui. Ora? Lei si mise a cavallo e aprì le gambe attorno alle sue ginocchia. Cercò alle sue spalle e usò la mano morta per guidare il membro dentro di sé. Ti piace? chiese lui. Ti piace?
Titolo: Ogni cosa è illuminata
Autore: Jonathan Safran Foer
Prezzo copertina: € 13.00
Editore: Guanda
Collana: Tascabili Guanda. Narrativa
Traduttore: Bocchiola M.
Data di Pubblicazione: giugno 2016
EAN: 9788823516267
ISBN: 8823516269
Pagine: 327