Recensione film “Jackie” di Pablo Larraín
La first lady che creò il mito dei Kennedy
Intanto perché Jacqueline? Cileno premiato per la capacità di sondare misteri e captare oscurità umane, Pablo Larrain risponde nella personale forma mitografica (riuscita) del film: perché Jackie è l’icona della principessa mai riconciliata; perché la fine di un regno, l’epoca glamour dei Kennedy, è sia la fine del re che della regina, e di lei si conosce sempre soltanto l’ombra; infine, perché lei è insieme la First Lady vedova, una madre 34enne e una donna che perde tutto proprio davanti al reame che inventò per i massmedia (da leggere la “Jackie” del Nobel Elfriede Jelinek, La Nave di Teseo). Impresa difficile, rischiosa, riluce quanto più sfuma la politica e la sindrome del complotto, scavando reazioni emotive, fisiche, procedurali, immaginative: gli spazi vuoti della Casa Bianca, la testa del marito tra le mani, la pressione dell’establishment sui funerali, la spoliazione dal tailleur insanguinato, il senso del matrimonio. La Portman “scrive” sopra Jacqueline sia la vicissitudine che la leggenda di un’eroina. Nei suoi occhi increduli o ribelli c’è Tolstoj: «Il potere è una parola di cui non conosciamo il significato».
Silvio Danese
Titolo originale: Jackie
Nazione: U.S.A.
Anno: 2016
Genere: Drammatico, Biografico
Durata: 91′
Regia: Pablo Larraín
Cast: Natalie Portman, Greta Gerwig, Peter Sarsgaard, Billy Crudup, John Hurt, Richard E. Grant, Caspar Phillipson, John Carroll Lynch, Beth Grant, Max Casella, Sara Verhagen