Principe, ciò che siete, lo siete in occasione della nascita. Ciò che sono, lo sono per me. Principi ce n’è e ce ne saranno ancora migliaia. Di Beethoven ce n’è soltanto uno.
(Biglietto di Beethoven al principe Lichnowsky, ottobre 1806)
Noi, esseri limitati dallo spirito illimitato, siamo nati soltanto per la gioia e la sofferenza. E si potrebbe quasi dire che i più eminenti afferrano la gioia attraverso la sofferenza.
(Lettera di Beethoven alla Contessa von Erdödy, 1815)
Come restituire la titanica e tormentata figura di Ludwig van Beethoven? Se l’opera musicale del genio di Bonn è, nel suo complesso e nella sua complessità, fruibile a orecchie-mente-cuore, come trattarne la biografia, che ne è fonte, forse prima sorgente?
Ci prova con una interpretazione da mattatore Corrado D’Elia che ridisegna attraverso la sua gestuale parola, in un monologo mai sopra le righe nonostante il carico passionale portato e trasmesso, la vita dell’immenso musicista.
La scena allestita per Io, Ludwig van Beethoven è volutamente minimalista, bastando una sedia, una serie di luci sospese, che cambiano colore a segnare il mutamento dei sentimenti, l’autore-attore con il suo poetico vagabondaggio e… la musica di Ludwig: potente, immane, perfetta, che sia uno svolgersi doloroso, una lunga meditazione o un’espressione di gioia panica. Invero le parole non sono mai sufficienti per poter descrivere quella cascata di note, armonie, melodie. Ma tutte le emozioni ci arrivano e si muovono dentro di noi spalancando orizzonti inusitati: intellettivi, sentimentali, esistenziali.
Era stato un enfant prodige Beethoven e il padre Johann, come quello di Mozart, cercò di approfittarne. Era un uomo più che severo: autoritario e brutale. Ma non riuscì a deprimere né a opprimere il talento del figlio, che continuò nonostante le vessazioni ad amare la musica.
Ludwig, affrancatosi dall’influenza paterna e conquistata la libertà, poté sviluppare tutta la propria creatività riscuotendo ammirazione e successo incondizionato già presso i contemporanei. Non fu un genio postumo. Eppure la sua vita fu ardua e dura: la solitudine, l’apparente misantropia, gli oscuri canali della depressione, anche a causa della precoce irrimediabile sordità – che amara beffa e che tormento per un musicista! –, la solitudine amorosa, l’idea nera del suicidio, infine la malattia latrice di pesanti dolori fisici.
O voi uomini che mi credete ostile, scontroso, misantropo o che mi fate passare per tale, come siete ingiusti con me! Non sapete la causa segreta di ciò che è soltanto un’apparenza […] pensate solo che da sei anni sono colpito da un male inguaribile, che medici incompetenti hanno peggiorato. Di anno in anno, deluso dalla speranza di un miglioramento […] ho dovuto isolarmi presto e vivere solitario, lontano dal mondo […] se leggete questo un giorno, allora pensate che non siete stati giusti con me, e che l’infelice si consola trovando qualcuno che gli somiglia e che, nonostante tutti gli ostacoli della natura, ha fatto di tutto per essere ammesso nel novero degli artisti e degli uomini di valore.
Ma la musica fluiva, fluiva… come qui, sulla scena del bellissimo Teatro Litta nell’omonimo palazzo nobiliare, L’Eroica, la Pastorale, la Nona e l’incommensurabile Inno alla Gioia, delizia e patrimonio dell’umanità intera. La musica è insieme quinta e protagonista di questo percorso in omaggio a uno dei grandi del genere umano tracciato dall’arte teatrale di Corrado D’Elia, rispettoso e appassionato affabulatore, empatico, trascinatore, profondo e accorato senza mai scadere nella retorica.
Poi ci avvolgono L’Eroica e l’Inno alla Gioia…
Alberto Figliolia
Io, Ludwig van Beethoven di e con Corrado D’Elia. Teatro Litta, corso Magenta 24, Milano. Dal 28 al 30 dicembre 2017 e dal 9 al 14 gennaio 2018 (orari: 20,30; domenica 16,30).
Info e prenotazioni: lun-sab 15-20 e-mail biglietteria@mtmteatro.it, tel. 0286454545; sito Internet www.mtmteatro.it.