Intervista a Gianni Fontana, autore di “Le parole non dormono mai”


A cura di Giuseppe Iannozzi

1. Gianni Fontana, Le parole non dormono mai (Ciesse edizioni), è il tuo ultimo parto letterario. Reca una dedica atipica: “A Umberto Eco che mi ha fatto scoprire quale potente magia si nascondesse nelle parole”. Prima che Eco ti facesse scoprire la “magia”, che cos’erano per te le parole?
Gianni Fontana

Nel 1973 avevo deciso di dare una tesi sullo strutturalismo, argomento astruso ai più, professori compresi. Forse per questo non avevano battuto ciglio quando l’avevo presentata, tantomeno quando l’avevo discussa due anni dopo. Tra gli autori che in quel periodo avevano scritto sull’argomento, c’era anche Umberto Eco con il suo “La struttura assente” pubblicato nel 1968. Prima di quella lettura le parole per me erano pietre, intese come solido materiale da costruzione per teorie. Con il tempo sono diventate elementi giocosi da maneggiare con cura poiché la loro efficacia sta nel contesto in cui vengono usati. “Una risata ci seppellirà”.

2. Il tuo romanzo è basato perlopiù su tanti trabocchetti, su giochi di parole, sulla semantica. Diego Morra, giornalista, ha da tempo dimenticato il piacere sublime di correre dietro una notizia e di “essere la notizia”. La notte di Capodanno un omicidio: un vigilante, Carrisi, viene fatto fuori, il suo cranio viene letteralmente fracassato, forse con un martello. Ha forse visto qualcosa che non avrebbe dovuto vedere e per questo motivo è stato ‘punito’. Diego, che lavora in qualità di addetto stampa presso la Securomnia, un Istituto di Vigilanza Privato, per la prima volta dopo tanti anni, è costretto ad arginare i danni di immagine che la Securomnia potrebbe subire. Gianni Fontana, tu sei anche un giornalista: è vero che se senti l’odore dell’inchiostro, della carta stampata, quando sei bambino, non te potrai più liberare? Per quale (assurdo) motivo?

Ciesse edizioniChi non è mai stato vicino a una rotativa quando arrivava l’ordine “si stampi”non potrà mai capire il gusto dell’inchiostro. Era la nemesi di una fatica. Non soltanto occorreva scovare la notizia, ma la si doveva scrivere rispettando scrupolosamente la lunghezza del testo, un’abilità che si è persa dopo l’avvento del computer. All’epoca il foglio di un giornale era come la superficie di un orto da suddividere accuratamente per le diverse coltivazioni di ortaggi. A volte, per soddisfare le priorità dell’ultimo momento, si era obbligati ad ampliare la notizia oppure a ridurla notevolmente in pochissimo tempo. “E’ la stampa bellezza!”. Peccato che sia soltanto un bel ricordo.

3. L’agente Carrisi viene trovato esamine nel parcheggio del Palaservice, là dove prestava servizio. Carrisi sembrava essere una persona affidabile, nonostante non fosse mistero per quasi nessuno che era un donnaiolo impenitente. Sulle prime, si pensa a un omicidio passionale. Però, più le ore passano e più la storia si fa ingarbugliata: la Securomnia rischia non solo di fare una figuraccia, ma anche di perdere importanti clienti. Diego torna così a essere un giornalista, o forse sarebbe più giusto dire che, finalmente, si cala nei panni del giornalista che investiga. Oggi, molto più di ieri, i giornalisti cercano anche di essere degli investigatori, non a caso, in tivù, a quasi tutte le ore, imperversano tanti programmi di approfondimento su omicidi irrisolti. Tu, Gianni Fontana, pensi che certi programmi televisivi possano essere di qualche utilità alle indagini ufficiali in corso? Anche Diego Morra, nonostante non ami granché la tivù, è costretto a seguire i notiziari su un vecchio televisore, che gli restituisce delle immagini tendenti al rosa. Questo particolare mi ha incuriosito: avresti voglia di approfondire?

Ho vissuto a lungo con un televisore del genere. Come il protagonista anch’io non gradisco un certo tipo di consumismo che fa degli oggetti non già la soddisfazione di un bisogno bensì l’estensione della propria vanità. Penso che i programmi che seguono queste vicende, qualora non vendano fuffa, servano a risvegliare la memoria di qualche spettatore o ad ampliare la rete degli informatori. In fondo la deontologia di un giornalista lo fa somigliare a un sacerdote legato al segreto del confessionale. Peccato che questa garanzia sia stata sfruttata per costruire quella che è stata definita la macchina del fango. A che cosa serve seguire i notiziari? Ad allenare l’attenzione, ovvero a ripulire il nocciolo della notizia dalla ridondanza gossippara o dalla semplificazione della propaganda.

4. Diego Morra potrebbe essere Gianni Fontana? Quanta della tua esperienza è confluita nel personaggio principale de “Le parole non dormono mai”?

Molta esperienza e una manciata di fantasia. Come dice il direttore editoriale di Adelphi Roberto Calasso chi scrive deve conoscere le cose di cui parla per accompagnare il lettore in ambienti o in situazioni di cui ignora l’esistenza. Io ho voluto portare i lettori nel mondo pressoché sconosciuto dei giornalisti (sovente considerati di serie B) che curano le relazioni esterne di una società, di un’associazione o di un partito politico. Non faccio per vantarmi, ma lo faccio, l’archivio KGB di Diego Morra è stato portato ad esempio in un corso per aspiranti giornalisti.

5. In “Le parole non dormono mai”, protagonista a tutto campo è l’informazione, l’informazione massificata e pianificata, ma anche quella gossippara… Par quasi che i protagonisti siano tutti, nessuno escluso, vittime di un feedback informativo non poco sgangherato. E’ forse questo il secolo che più di altri sta producendo una mole impressionante di notizie! L’informazione dovrebbe renderci tutti più liberi; e però, più si guarda ai mass media con occhio critico e più si ha netta l’impressione che in realtà così non sia. Qual è la tua opinione? E, soprattutto, Diego Morra è un bravo giornalista, o è soltanto un mestierante che cerca, in tutti i modi, di scoprire chi ha assassinato Carrisi per sopravvivere a sé stesso?

Troppa informazione crea confusione poiché riduce la memoria degli avvenimenti a una marmellata dove tutto diventa senza sapore, quasi quanto un piatto privo di gusti decisi. Diego Morra è un giornalista di vecchio stampo, cresciuto con la schiena dritta e dritta la vuole mantenere. Per cui definirei il personaggio un giocoliere costretto dagli avvenimenti a equilibrismi e a piccoli sotterfugi pur di arrivare al risultato che si è prefisso senza farsi troppo male.

6. E’ questa una domanda che rivolgo a un po’ tutti: “Le parole non dormono mai” è semplicemente un giallo o vuole anche essere qualcosa di più, che so, magari un’investigazione intorno al mondo del giornalismo?

Qualcosa in più. Un bel giro dentro alla comunicazione e i suoi meccanismi.

7. In “Le parole non dormono mai” le vicende si svolgono tutte, o quasi, in orari impossibili, intorno al crepuscolo o nel corso della notte più fonda. I protagonisti, loro malgrado, sono costretti a fare le ore piccole. Gianni Fontana, il titolo del romanzo lo hai scelto tu in prima persona o è stato deciso da qualcun altro? Potresti spiegare qual è il suo significato?

Il mondo dell’informazione è notturno perché i crimini prediligono l’oscurità. Il titolo è la parafrasi di una celebre frase del film Wall Street pronunciata da Gordon Gekko: “Il denaro non dorme mai”. Sono le parole rimaste impigliate tra le sinapsi del protagonista che lo porteranno infatti a scoprire l’autore di un femminicidio. Il titolo l’ho proposto io. L’editore l’ha accettato. Secondo me ha fatto bene. Quelli di riserva erano. “Tre trentenni” oppure “Il colore delle parole”.

8. Con J. Assange ed E. Snowden il modo di fare informazione, in rete e sulla carta stampata, sta cambiando in maniera radicale: si parla di giornalismo scientifico. Tuttavia Diego Morra e i personaggi che gli ruotano attorno seguono ancora il vecchio metodo; in particolare, Diego ha proprio sotto gli occhi la soluzione per scoprire l’assassino e il suo movente, eppure non la vede se non all’ultimo minuto. Che cosa ci insegna questo?

J. Assange ed E. Snowden sono degli ottimi ladri, dei moderni Robin Hood che rubano le informazioni ai potenti per restituirle ai noi, poveri ignari, costretti a vedere soltanto la superficie del mare dell’informazione. Diego Morra invece ha di fronte dei fenomeni cui deve fornire una spiegazione. Anche se le parole non dormono mai, hanno bisogno di qualche evento che le inanelli nel filo appropriato per diventare significanti e quindi comprensibili. In questo caso l’elemento scatenante è la filastrocca di un libro per ragazzi e, in seguito, una frase sentita durante una discussione semi seria sul Manzoni.

9. Le tue donne, siano esse dark lady o vittime innocenti, sono fragili, insicure, votate alla distruzione della loro femminilità: perché?

Ho conosciuto e frequentato molte donne. Alcune erano così e altre tutt’altro. Quelle del romanzo mi sembravano le più indicate a giustificare la nascita e il seguito della storia.

10. “Le parole non dormono mai” è ambientato in una Torino notturna, a tratti crepuscolare, in bilico fra la tradizione e la tecnologia. A tuo avviso, Gianni Fontana, Torino è ancora un capoluogo che possa offrire qualcosa ai suoi abitanti, nonostante l’assenza della Fiat e di tutte quelle aziende che le facevano da corollario?

Ogni epoca ha le sue pecche e i suoi fascini. La Torino operaia era noiosamente concreta ma possedeva un senso dell’ironia invidiabile. L’attuale sembra vivace, sicuramente più interessante ma a volte ammantata di troppa fuffa.

11. Domanda banale ma necessaria, Gianni Fontana: quali sono stati i tuoi autori di riferimento scrivendo “Le parole non dormono mai”? Per quali motivi?

I giallisti di riferimento sono tre. Il piatto base è Rex Stout, poi un pizzico di Umberto Eco e una spolverina di Conan Doyle. Quello che cercato di costruire è un personaggio in cui convivono sia Nero Wolfe sia Archie Goodwin. Un giallo di parole e di gambe, insomma. Poco sangue e molti duelli verbali. Sono quelli che prediligo perché sono i più cruenti poiché provocano squarci indicibili nelle anime.

12. Tra i tanti autori contemporanei che oggi scrivono un po’ di tutto, passando con nonchalance dal romanzetto rosa al romanzo storico, quali sono quelli che apprezzi di più.

Credo che soltanto i grandi scrittori siano in grado di farlo. Sugli altri preferisco non esprimere giudizi.

13. Leggendo il tuo lavoro, non ho potuto fare a meno di accostarlo a certi classici di Georges Simenon. Sbaglio?

Non posso rispondere a questa domanda. Anche a costo di dire un’eresia, non ho mai letto Simenon. Mentre ricordo il personaggio televisivo, un uomo armato soltanto di pipa, di buona memoria e di parole feroci.

14. Gianni, te la sentiresti di offrire ai lettori un motivo valido per leggere “Le parole non dormono mai” piuttosto che un altro libro?

Uno solo. Ho sempre voluto scrivere per far divertire il lettore, senza mai annoiarlo, neppure per un istante. Per questo non mi reputo uno scrittore, bensì un buon narratore.

Gianni Fontana è nato in provincia di Torino il 7 aprile del 1951.
Laureato in Psicologia Sociale, ha insegnato nei corsi di lingua italiana per stranieri. Come giornalista ha collaborato con le riviste nazionali “Percorsi” e “Studi e Ricerche”. Coordinatore redazionale in diversi settimanali locali, per qualche anno ha diretto le testate del periodico “Il giornale del Comune” e del mensile “Oltre”. Ha gestito inoltre gli uffici stampa di alcune aziende della cintura torinese. Attualmente lavora come consulente di comunicazione e organizzazione aziendale.

Giuseppe Iannozzi

Titolo: Le parole non dormono mai
Autore: Gianni Fontana
Editore: Ciesse Edizioni
Collana: Black & yellow
Data di Pubblicazione: Maggio 2013
Prezzo: € 16.00
ISBN: 8866600881
ISBN-13: 9788866600886
Pagine: 240

 

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