Intervista a Francesca Mazzucato autrice di Romanza di Zurigo


A cura di Giuseppe Iannozzi

1. “Romanza di Zurigo. mosaico eretico e visionario”: non è un diario di viaggio, è invece un insieme di mosaici, di inserti in prosa poetica dove tu, Francesca, dipingi Zurigo e le emozioni che essa ti suscita. Per quale esigenza tua, letteraria, è nata la “Romanza di Zurigo”? Un po’ della sua genesi la racconti nel libro, vorrei però che aggiungessi dei particolari inediti.

La Romanza è nata durante una serie di viaggi a Zurigo che ho compiuto – e che progetto di continuare riprendendo in mano presto un progetto a cui stavo lavorando – perché mi accorgevo che tante cose debordavano dalla mia rigida scaletta.
Mi accorgevo di tante cose importanti che uscivano dalla mia storia, dalle ricerche di tipo essenzialmente economico che stavo svolgendo. C’erano elementi quasi fisici della città, mi travolgevano e non riuscivo a rimanerne indenne. Diventavano brandelli, spezzoni, lembi, cose che avevano dentro un’urgenza profonda e che dovevo far combaciare.
Narrazioni di pelle, strane in un luogo che nell’immaginario non è certo caldo, affettuoso, morbido. Eppure. Così ho cominciato a sedermi negli Starbucks e a scrivere e scrivere e scrivere, oppure a stare in albergo, spiare e fotografare dalla finestra la vita e le abitudini e scrivere e scrivere e scrivere sempre (qualche distrazione, a tratti, nel libro ci sono).

Da tempo, poi, avevo questo sogni di una collana di “storie di viaggio indefinibili ed eretiche”, di carnet immaginari e anche inventati, filtrati dall’occhio dello scrittore. In uno degli intervalli del mio frenetico andirivieni con la città elvetica ne ho parlato con Francesco Giubilei, giovane ed entusiasta editore di Historica e il progetto della collana che la Romanza apre e inaugura ha preso forma.

2. La scoperta di Zurigo, città all’apparenza algida, è in realtà una nevralgica rincorsa verso le orme di James Joyce, una ricerca della sua memoria e non da ultimo del suo corpo. Ma è anche la possibilità di incontrare il fantasma ottantenne di C. Gustav Jung, chiuso nella sua casa-torre. E, di tanto in tanto, lo spettro androgino e tormentato di Annemarie Schwarzenbach. C’è un fil rouge che lega questi tre personaggi lungo la promenade che tu, Francesca, affronti quotidianamente per le strade di Zurigo

C’è, c’è. Forse un po’ presuntuoso, ma neanche tanto se si pensa alle vite disperate che vissero, alle perdite e alle ferite di Joyce e di Annemarie Schwarzembach. Simili, a tratti uniti in una tragica predestinazione alla tragedia finale e con il demone della scrittura come ossessione, mania, necessità, dovere. Tarlo, la parola giusta. Erano tarlati, emarginati. Come me, come mi sento da sempre e, per questo, li ho percepiti compagni di viaggio, fantasmi guardiani del mio lavoro del mio scrivere e del mio fare creativo (scomposto, indisposto, frammentario, sbrindellato, erotico, carnale, mistico, difforme, diseguale).

(Jung è stato un po’ un elemento di collegamento fra loro, i genitori di Annemarie ci portarono lei in visita, sperando che potesse aiutarla in qualche modo, per superare quella che all’epoca era vista come malattia e anomalia, la sua androginia e l’omosessualità e Joyce ci portò la figlia che da tempo viveva disagi psichici di vario tipo, sperando in un qualche miracolo possibile che, naturalmente non arrivò.)

Joyce e Schwarzembach condivisero vite nomadi e inquiete e riuscirono a metterlo sulla carta, con esiti diversi, ovviamente, ma divenendo entrambi dei pionieri. Pioniera viaggiatrice, coraggiosa apripista a sperimentazioni anche teatrali Annemarie, pioniere e creatore del “punto d’origine” della letteratura moderna – e anche di quella contemporanea, secondo me, (ma non sono obiettiva), James Joyce. Della Letteratura e basta, diciamo con LA MAIUSCOLA.

3. Ricorrente è il tuo ricordare una persona in particolare, Samuele. Questa è domanda da gossipparo, ma la curiosità non è soltanto femmina, dunque ti chiedo di parlarci di Samuele: chi è per te? un amico, un fratello, una finzione? O un amante che perseguita le tue fantasie e che mette sotto torchio il tuo io più intimo?

Mi piacciono le domande che indagano aspetti gossippari. Sono giuste e legittime. Quindi, non solo non mi sottraggo ma rispondo volentieri.
Si, Zurigo in qualche modo combacia e coincide (anche nella narrazione che coinvolge spazi effettivi, esterni, con spazi interiori e spesso sovrappone i piani) con una persona verso cui la protagonista – io narrante prova un sentimento di nostalgia, bisogno, malessere, desiderio inappagato.
Samuele è una persona realmente esistente (mi piacerebbe molto, Beppe, dirti di più ma non credo sia giusto, è una specie di patto che feci con lui e desidero rispettarlo, raccontare ma entro certi limiti, anche se lo scrittore i patti non li rispetta mai, per adesso ci provo).
E’ un uomo molto bello che la protagonista – io narrante della Romanza ha amato da subito. Dall’istante in cui l’ha visto, il 28 ottobre 2008 in una radio bolognese dove non sapeva che l’avrebbe incontrato, dove non sapeva chi fosse. Lei era dietro, sulla porta, in attesa di partecipare a una trasmissione, lui di spalle, si è girato, ha sorriso, lei ha sorriso un po’ meno ma l’ha visto e l’ha amato. E’ passato del tempo da allora, non poco, calcolando che, in seguito, si sono frequentati un pochino, conosciuti meglio (o peggio? mah) lui è sfuggito – fuggito fin da subito. Si è avvicinato e poi allontanato. Ha mostrato piacere a starle vicino e necessità di starle lontano, mettendo così in atto un meccanismo profondamente perverso e potente: queste cose legano più di tutte le altre.

(A lui ho dedicato, molte scritture a parte la romanza, pensieri sparsi, come questo http://francesca-mazzucato.blogspot.com/2009/10/senza-un-fotogramma-marginale.html e tante cose che si trovano in uno spazio che considero intimo e privato pur essendo un blog, “Parole perdenti”, e non ne ho mai parlato a nessuno con riferimento preciso a questa persona, sai Beppe, ma ci tengo a farlo con te, che mi hai posto la domanda appropriata.)

Possiamo dire che massacra il mio io più intimo perché tende a frenarlo nel suo slancio vitale, un io intimo che non gli chiede praticamente nulla (gli offre, gli si offre, in una nudità alla quale credevo impossibile arrivare, diciamo senza pelle) ma quel pochissimo che chiede, o domanda a bassa voce, viene frenato, radiografato, rallentato. E’ doloroso, a volte fa molto arrabbiare. A volte mi fa sorridere e intenerisce, a volte mi devasta.
La sua assenza alimenta scrittura – spero smetta presto ma non lo so – nell’aspettativa lui non esiste. Chiarisco, con lui si possono condividere cose in maniera asettica, è una persona per bene e seria e fa cose belle, questo tipo di sentimenti appartengono a una sfera soggettiva, non sono cose che “imputo” a questa figura. Esistono. Forse ci potrebbe essere un brandello di attenzione all’offerta nuda d’amore, credo sia un delitto non farlo, ma è facoltà di ognuno. Mi capita anche di pensare che, in fondo, sia una finzione, un feticcio di bisogni stratificati insieme. Di sicuro, la cosa a cui posso paragonarlo con maggiore facilità è un’astanteria. Una sala d’aspetto del pronto soccorso di un ospedale. Lo percepisco così, sento che potrebbe/potremmo curarci e riempire tante necessità intime (vicine all’abisso) e che invece resta un’asettica freddezza.

4. Nel tuo libro accenni ad una mostra, quella di Gunther Von Hagens. La plastinazione è anche al centro di un libro uscito di recente per i tipi MeridianoZero, Tanatoparty di Laura Liberale. Come mai, all’improvviso quasi, si è risvegliato l’interesse del pubblico verso il corpo umano? Un interesse che potrebbe avere del morboso: Von Hagens, con i suoi cadaveri mummificati, ha raccolto un pubblico di 28 milioni di persone. Par quasi che la morte altrui attiri più della vita. A tuo avviso, l’uomo moderno è avviato alla necrofilia?

Si, questo elemento della plastinazione è parte integrante del bel libro della Liberale, originalissimo e contemporaneo proprio per questo. Nel caso della Romanza, capitava che la mostra fosse a Zurigo, e ne accenno per questa ragione e per la ragione che si può collegare alla domanda precedente. Questa sensazione di de-privazione di vita, provocata dalla figura – Samuele. Non ci sono altre ragioni, per quello che mi riguarda. Nell’uomo moderno può esserci un ritorno alla necrofilia, influenzato dalle nuove possibilità della scienza, della biologia, della tecnologia.

5. Le immagini di guerra e morte che passano day after day in tv non sono abbastanza per sfamare gli appetiti di questa nostra società di zombie lobotomizzati? E: Zurigo è una città più viva rispetto a Milano o Roma, ad esempio?

Le immagini ci stanno rendendo assuefatti, lobotomizzati, come dici tu, capita qualcosa e svanisce nella memoria collettiva con una rapidità da brivido. Non rimane niente, non si ricorda niente se non dopo orrendi fenomeni di drammatizzazione televisiva, acritica e fastidiosa, che durano meno del Grande Fratello nel suo insieme. Non ce ne frega niente di chi muore lontano, ma neanche di chi muore in un altro quartiere. Si respira un cupo e soffocante senso di claustrofobia generale, immagino città del futuro piene di schermi video che trasmettono e ritrasmettono spot, con soldati armati a controllare i sovversivi, casse automatiche, rapporti umani azzerati, tutti noi connessi e felici di avere tanti amici sul social network che ci sarà all’epoca, un Facebook 5.0 , non so, e in realtà tutti noi relitti di carne senza polpa, soli, senza più la capacità di capire che cos’è uno stato d’assedio e conseguentemente di ribellarci.
Zurigo è una città dove le persone sono felici. A me lo sono sembrate. Certo sono ricche, è una delle città più ricche del mondo. Sono ricchi e felici e rispettano l’ambiente attorno con un’attenzione al senso di essere “comune” o “polis” che a Roma e a Milano vedo meno. Vedo ancora in Francia. Ma in Italia è sbrindellato, sbrecciato, forse mai esistito. O almeno, una vera concezione di “bene comune” io non l’ho trovata quasi mai. E la cerco, la cerco sempre.

6. In “Romanza di Zurigo” parli molto della scrittura, del tuo rapporto con essa. E’ una emorragia il vizio di scrivere?

Sì, sì, è emorragia, sangue che cola. A volte pensi di averlo perso un vizio così autolesionista, così malvagio nella tua pelle, nella tua carne, poi qualcosa lo ri-alimenta e ritorna: il grande inganno è che non sai mai cosa, e non ti puoi difendere, anche se, quando puoi, indossi l’armatura, e ci provi. E’ inutile. Sei sempre perdente (“Fallire ancora, fallire meglio” Beckett, citazione scontata).


7. La tua attenzione è incentrata su piccoli dettagli, che altri non degnerebbero d’uno sguardo: un uomo che canta, un altro che invece fa la pipì senza togliersi i pantaloni. Perché per te sono più importanti i piccoli personaggi della vita quotidiana e le piccole cose rispetto a chiese, cattedrali, musei sconfinati?

Saper guardare i dettagli e ascoltare la voce delle cose, o dei personaggi non protagonisti, quelli fuori fuoco è un dovere, un imperativo categorico. Se smettessi di guardare, di focalizzare lo sguardo dove c’è l’infimo, il folle, il degradato, il piegato, (ovvero io, riflessa nel frammento di specchio che mi parla, magari da una buca del manto stradale) sarebbe meglio cambiare, fare altro, sarebbe come morire.

8. C’è una certa religiosità che marchia a fuoco tutto il tuo lavoro, in una chiave eretica però. Come mai tanta attenzione per il Redentore e il Cattolicesimo? E’ di questi giorni la notizia che Mehmet Alì Agca è tornato libero: avrebbe intenzione di scrivere una nuova Bibbia ed, ovviamente, non ha mancato di ribadire che lui è il Cristo. Non è che domani o posdomani tu, Francesca, annuncerai di essere la Vergine Madonna Santissima?

Io sono stata una chierichetta. Credo che adesso il Ratzinger le abbia abolite. Le ragazzine non lo possono più fare ma lo sono stata. Ho una formazione cattolica e per liberarmene completamente, oltre a varie esplorazioni in territori proibiti, ho dovuto laureami inserendo nel piano di studi moltissimi esami di storia della chiesa. Ho fatto la tesi in storia del cristianesimo, te lo assicuro. No, nonostante tutto questo, il mio deragliamento è restato nei limiti (“il deragliamento è necessario per fare letteratura” diceva Simone De Beauvoir) e non penso di unirmi ad Agca. Sarebbe così noioso essere la Madonna Santissima. Inoltre io resto una ricercatrice spirituale, è una componente profonda della mia vita, ma completamente lontana dalle religioni teiste.

9. In “Romanza di Zurigo”, nel mosaico numero Sei, fai questa riflessione: “Il luogo non conosce decadenza, mentre io, scrivendo e continuando ad amare, non sottraendomi all’amore, accetto per forza la decadenza. E poi mi riparo nei suoi anfratti segreti. Come se potesse curarmi.” Ti chiedo dunque: il decadentismo può curare l’anima, sul serio? Io ho sempre pensato che la decadenza può solo ammorbare l’animo di chi l’assorbe in sé. Come non ricordare a tal pro il Dorian Gray di Oscar Wilde!

No, la decadenza è parte della vita, tutto nasce, cresce, decade, e muore. In questo processo per uno scrittore che sceglie da che parte stare quando scrive, c’è uno spazio per la decadenza come c’è per la voce delle cose e per i dettagli. E’ tutto elemento di quel mosaico di strati, percezioni, nostalgie, pensieri che chiamiamo vita, oppure flusso. Non c’è spazio per il narcisismo in questo, è una prospettiva diversa da Dorian Gray, l’adesione alla decadenza è un’adesione che vorrei definire politica, se mi consenti il termine.


10. Chi sarebbero i “questuanti di attenzioni da discount” in un paese come il nostro dove tutti si dichiarano poeti, bravi e geniali per giunta? E guai a contraddirli: ti gambizzano come minimo, ed i fucili li caricano con proiettili veri, mica con dei più innocui pallini.

E’ pieno di questuanti di attenzioni da discount. Vogliono tutti essere adottati (e io ho già tre adozioni a distanza). Quelli che dici tu, sono, quelli con i fucili veri. Ok, li hanno, ma questuanti di attenzioni da discount restano.
Preferisco i questuanti da marciapiede o da angiporto. Quelli che chiedono senza fucile, che magari pretendono. A quelli posso dare tutto, il mio corpo, i miei sogni, un briciolo delle mie speranze e nostalgie. I VERI questuanti stanno in luoghi che hanno bisogno di molto coraggio per essere visti e conosciuti. Coraggio che ho sempre avuto, questo lo so.

11. Zurigo è una babele di lingue. Ma, ad esempio, anche Torino lo è; basta andare in un quartiere come San Salvario, ad esempio, per sentir parlare in francese, in inglese, in spagnolo, in portoghese, in tedesco, in tante lingue incomprensibili, dialetti dell’Africa più nera perlopiù, oltre a diverse deformazioni della lingua slava. Perché Zurigo sarebbe unica per la sua orgia di lingue?

Perché è l’antitesi di questa Italia. Perché è una città senza moralismi, dove una percentuale enorme di cittadini dichiara di non praticare “nessuna religione”. Perché è ricca, molto ricca, e richiama persone da ogni parte del mondo che alimentano questa babele con stile e raffinatezza e io sono stufa della nostra caotica babele, di quella babele di un paese unito che invece non lo è. In Italia se senti parlare qualcuno, almeno io, di certe zone del sud, se non ci sono i sottotitoli non capisco niente, capisco meglio il tedesco che parlano a Zurigo. Perché Zurigo è unicamente snob. E per questo forma, forgia e conforta. E sa anche essere perversa, e per questo, di nuovo, forma e conforta, ed è culturalmente pulsante. Unica, non c’è dubbio.

12. Zurigo è la città dell’alta finanza. Di chi ha i soldi. Un luogo comune?

No, è anche questo. Per fortuna. Non ho moralismi in questo senso, anzi. Ma non è solo finanza e banche, è, ad esempio “la mia Zurigo”. E’ la Zurigo della Kunsthaus. Ha accolto le spoglie mortali di Joyce. E’ molto più di quello che hanno fatto altre città, non credi?

13. Le donne fanno turismo sessuale? A Zurigo, in questa città all’apparenza fredda e composta, hai notato se c’erano delle turiste un po’ bizzarre, che glielo leggevi in fronte che erano lì per attaccare bottone ed andare poi subito al sodo?

Non ci ho fatto caso. Ci sono locali di strip accanto a negozi del centro, c’è molta libertà , tolleranza, atteggiamento easy ma guardo più gli uomini, di solito. E se io faccio qualcosa di sessuale, non è mai “turismo”. Anche se è solo per una notte in un corpo mi installo.

14. Si può vivere scrivendo e viaggiando, o bisogna racimolare altre entrate per sbarcare il lunario?

Lo faccio da 14 anni. Ci vivo. Il conto corrente è in terapia intensiva, per fortuna ci sono i giornali, i portali con cui collaborare, le traduzioni e i corsi di scrittura. Ma si, si può. Non si diventa ricchi. Non io.

15. Passata la claustrofobia?

No, peggiora. Ho una terribile claustrofobia.

16. Progetti per il futuro, ne hai? Quali altri “crampi mestruali” stai partorendo?

Un cahier di viaggio piccolo, su come è mutata Marsiglia, che non è più o non solo, quella che ha infiammato tanti scribacchini o teorici, quella che ha narrato Jean Claude Izzo, scrittore da me molto amato. Le città vanno sempre oltre e ora Marsiglia è altro. Siccome Marsiglia è la MIA città , quella che non sfugge ma che mi ama riamata e mi possiede da decenni, queste mutazioni le racconterò.
Poi, probabilmente un libro molto pornografico (“mi riservo il diritto di essere pornografico senza pudore” scriveva Harold Brodkey), collaborazioni, una bella traduzione a cui sto lavorando e spero altre chiacchierate con te.

Grazie, Francesca. E’ stato un vero piacere metterti sotto torchio. A me è piaciuto, un vero orgasmo. Spero tu abbia goduto in ugual misura o anche di più, perché no!

E’ stato un gran bel godimento. Grazie.

Giuseppe Iannozzi

Titolo: Romanza di Zurigo
Autore: Francesca Mazzucato
Editore: Historica
Collana: Cahiers di viaggio
Data di Pubblicazione: 2009
ISBN: 8896656028
ISBN-13: 9788896656020
Pagine: 145
Reparto: Viaggi > Letteratura di viaggio

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