A cura di Augusto Benemeglio
1.Totò Toma
Ecco il Salento neolitico del Menhir di Crocemuzza , un fantasma di pietra che si eleva nel cielo in preghiera smisurata, del dolmen Li Scusi di Minervino , dove entra il vento nella sua circolarità e s’avvolge su se stesso, il Salento delle Veneri di Parabita vergini senza volto con radici riannodate nelle mammelle e nel sesso , la Grotta Romanelli , quella dei Cervi e la Grotta dell’amore, dove trovarono rifugio le sirene kafkiane fatte di silenzio di cui narra Maria Corti ( quella de “L’ora di tutti”) , quando non avevamo corpo né anima , non avevamo faccia e il tempo girava e girava su se stesso e non passava mai. C’è La Badisco di Totò Toma, poeta magliese, “con le rocce desolate/ giostrellate da un vento/profumato di rosmarino /e di erbe selvagge.// Vento leggero che parli/con voci di foglie/ che apri germogli/ e li fai trepidare/nella primavera//….fa che la mia morte/sia liscia, serena/ come il tuo respiro .
2.Guido Piovene.
E poi c’è il Salento di Guido Piovene che è come una pianura infinita di abbracci ed ebbrezze marine , fatto di riverberi , luccichii , e i soffi dei due mari che sembrano quasi incontrarsi a mezz’aria e battersi le mani ; e poi la costa selvaggia tra Otranto Santa Cesarea , Castro, Tricase , Santa Maria di Leuca , dove un arcobaleno al tramonto , tra le luci agitate e le nubi squarciate che versavano porpora sulle case costruite tra i fichidindia , dava il senso di essere giunti al limite della terra. “Il Salento è una terra di miraggi , è fantastico, è pieno di dolcezze; resta nel mio ricordo più come un viaggio immaginario che un viaggio vero”.
3.Giuseppe Zimbalo
Ma ecco la Lecce dello “Zimbarieddhu”, al secolo Giuseppe Zimbalo, il più grande esponente di una dinastia di capomastri e architetti salentini, che esprime il meglio del barocco leccese, categoria dello spirito…. “Qui è speciale – mi dice padre Gonzales Martin , letterato, storico, meridionalista – il taglio delle ombre , per la sua chiarezza , ma sono ombre calde. E’ il clima che fa crescere bene gli olivi e le palme, e poi quel che ti conquista è il vivere sulla strada, sulle porte di casa, sui marciapiedi , questo vivere in strada porta la gente a dialogare ad essere più loquace e quindi disposta ad accogliere . E infine quei ricami di pietra che sono le chiese . Il barocco leccese è ricco volubile fiorito stravagante , una sorta di liberty , un esplosione di follìa, libertà, gioco… E’ come Lecce , che ha una sua bellezza fragile e armoniosa , aristocratica, una città che si sposa col colore della sabbia , della pietra, e col verde argentato degli ulivi…ma io m’incanto a guardare il romanico , così arioso , chiaro , scabro, nudo, essenziale, con una semplicità che è adesione all’innocenza e novità al mistero. Significa farsi puri e semplici di fronte a Dio. E’ come voler veramente farsi una casa di luce , la casa del sole e di Dio, con quella line geometrica , la pulizia , che trovi anche nelle architetture rurali…”
4. Goldoni
Conferma il viaggiatore Piovene : “Lecce conserva una qualità signorile , quasi di salotto distinto dai servizi del circondario. Se si entra nella parte vecchia , le molte chiese barocche e i palazzi barocchi, ora di faccia, ora di sghembo, in piazzette e stradine , e disposti tra loro in angoli dal gusto scenico , si direbbero una serie di piccoli teatri. Tutto sembra disposto e ornato per un lieve gioco teatrale; una commedia di Goldoni non vi stonerebbe ; facciate di chiese, palazzi e i loro effetti combinati , tramandano attraverso i secoli un animo squisitamente provvisorio, quasi dovessero durare una sera sola, ma una sera che conta, forse definitiva. “
Sì, d’accordo, sembra interloquire il più grande poeta salentino , Vittorio Bodini , non sempre amato nella sua terra , ma qui tutto è immobile , secoli di storia e di vento, gli alberi sono tempo, gli uomini sono pietre, un lungo infinito sonno di morte, ovvero quel “quietismo” meridionale che il giovane poeta aveva sempre odiato : “Da quasi un secolo i vostri orizzonti sono tutti retrospettivi… dovete riconquistare il tempo perduto…Siete piatti e lisci come la vostra regione!”
5.Antonio Leonardo Verri
…E ad un certo punto , in quel Salento addormentato, decentrato, periferico, pieno di sogni polverosi , dove mai nulla accadeva se non quel continuo fisso battito verso i cieli , in quel Salento vedovo dell’orfismo del conte Comi di Lucugnano , travestito da Giovanni Della Croce ; vedovo del lirismo surreal-ermetico barocco ispanico di Bodini e del simbolismo raffinato di Pagano, geniale raccoglitore di gatti neri e cicche metafisiche (“non si può fare a meno dei sognatori, o dei conoscitori della volta del cielo, come non si può fare a meno dei librai e dei barboni”) , alla fine degli anni ’70 apparve un nuovo profeta , Antonio Leonardo Verri , il Pensionante de’ Saraceni , un contadino di Caprarica di Lecce, alto, barbuto, con un occhio strabico e dall’eloquio incespicante. Era anche lui un irregolare , un maledetto, uno di quei “giocatori da superbisca” con la stecca , il gessetto e la sigaretta tra le labbra , sempre ai limiti del crollo nervoso, “ma disposto a giocarsi tutto nel giro di pochi minuti”. Aveva il vecchio cuore “tagliato a spicchi , non ancora del tutto sbrecciato , inesploso, il solito vicariante corpo squassato dai vecchi soliti colpi di tosse , il solito inverno ( col solito lardo, con le solite cotiche , col solito vino) , il solito mattino che cola dall’argento dei cavoli e l’urgenza di ogni cosa …E il correre stolto , e il correre continuo , con ali bianche , quasi senza corpo , verso il solito albero d’oro , verso il solito vecchio profumato Eldorado”…Eccolo nel “Fabbricante d’armonia” che dice, “La gente, qui, per me, come vi dicevo, ha il colore del mare, ha l’andatura di un’onda, il cuore negli occhi, un corpo azzurrato, perfetto…è stupenda questa gente…anche nel dolore, anche quando urla, quando impreca…: questa gente ha l’umore di questa terra, cresce con essa, ad essa confida i suoi mali, le sue gioie, i suoi dubbi, le sue ondulate tristezze….
6.Santa Cristina a Gallipoli
Ma ci sono anche le feste, tante feste , un mare di feste nel Salento, non solo le pizziche e le tarantate contro l’insonnia e la rabbia del sole , ma anche contro la solitudine, contro la disperazione, contro i giorni di nubi perdute, le isole sepolte dentro un cuore innamorato e un petto di piacere. Ed io ne ricordo una in particolare, quella di Santa Cristina, la patrona di Gallipoli. E’ la festa della gioia autentica, esplosiva, perché arriva in piena estate ( 26 luglio) e dura tre giorni , con gli ampi marciapiedi del Corso pieni di bancarelle, un tempo ingenue e povere , dove vedevi ridere e danzare palloncini colorati e bambole , giocattoli di legno e oggetti per la casa , attrezzi per i mestieri , tutte cose attese da mesi da massaie e artigiani ; e poi , nei loro sacchi di juta, le nucelle moddhi e toste con i samienti e le fave e ciciri , e i tini di scapece , gastronomia peculiare della cittadina jonica che affonda le radici nella cucina araba ; infine i dolciumi , la cupeta , gli scajozzi , insieme agli imbonitori che reclamavano i loro prodotti miracolosi da dulcamara , caramelle e pastiglie balsamiche , che servivano a tutto, a ringiovanire e a far crescere i peli sul petto , le corse ciclistiche , i concerti bandistici , i luna park , e le ragazze che aspettavano da mesi la festa e cominciavano a prepararsi l’abito le scarpe , il cappellino , la borsetta , i guanti che avrebbero indossato per l’occasione , e i lumini sul mare , e i fuochi pirotecnici che erano girandole cosmiche , fiori pieni di luce nel cielo d’estate pieno di sogni e desideri.
7-La cuccagna a mare
Santa Cristina è una festa ricca di animazione, di colore, di allegria , di vitalità: . canti suoni scoppi fuochi luminarie , ma lo spettacolo vero lo fa la gente a spasso tra la musica e i rumori. E’ lei la vera protagonista di questa grande festa ; e c’è un appuntamento irrinunciabile nel mezzo della festa , potremmo dire la festa nella festa , perché è un gioco che richiede tante doti , marinaresche e non , equilibrio, agilità , lucidità, furbizia e fortuna . Parliamo della cuccagna a mare, una tradizione che si rifà al più lontano passato , ma che sotto diversa denominazione risale forse addirittura al tempo di Mitridate , al tempo dei pirati della Cilicia , o dei Vichinghi del Vascello di Oseburg , al tempo della filibusta e della Tortuga , con il palo o la trave collocata in uno specchio d’acqua e sotto i pescecani o i coccodrilli, che fortunatamente ora non ci sono, ma comunque ci saranno salite faticose e precipitose scivolate , cadute in mare , da parte degli eroici contendenti , che si cimenteranno per la conquista del trofeo ambito.
Per assistere e partecipare alla festa di Santa Cristina e della cuccagna c’erano emigranti che tornavano apposta nella cittadina jonica da molto lontano, e taluni di essi erano menestrelli, poeti, suonatori di chitarra e mandolino: “A volte suono e non mi so fermare / non ho più sete e non ho più fame / a volte suono e suono ore e ore / sento dei fuochi e sento delle lame. / A volte incontro un angelo radioso / suoni d’argento nell’oscurità / a volte c’è un serpente velenoso / mi punge il cuore col suo vecchio sax. Allora con un biglietto di terza classe / a livello del mare / si beccheggia col becco aperto / nei corridoi e sulle scale / arriverò dall’altra parte / arriverò in tempo per Santa Cristina / con le ragazze nelle sciarpe / dalle finestre a salutare Eviterò le ragioni / che non bastano mai / eviterò le prigioni / dei ricordi vedrai / Eviterò di cercarti / forse ce la farò / Eviterò di pensarti / ma non ci riuscirò / Eviterò le promesse / che poi non manterrò / eviterò le scommesse / te lo giuro, lo so / Eviterò le canzoni / che ti ricordano / eviterò le occasioni / dove ti incontrerò. La mia terra è lontana / è di là dal mare / so come è fatta / ma non ci so arrivare / La mia terra è lontana / come il fondo del mare / è una stella caduta ma / ma la vorrei trovare
8. Vittorio Bodini
Il mio Salento è una lampada che ti guida all’ingresso di un sogno, un’ architettura di suoni e di colori, con grappoli che cadono tra le gambe della notte , e le rocce scintillanti in un mare pieno di braccia e barche , con la luce che s’inabissa nei tuoi occhi neri e ti ferisce per sempre , ed ecco le città e i paesi che si aprono come un cuore , come un fico maturo , frutto di desiderio e di incarnazione . Un cuore che mai si spegnerà. Tutti i poeti salentini di questi ultimi settant’anni sono stati passionali , partecipi interpreti della crisi del mondo attuale , spesso profetici , sino ai frammenti di martirio, ma tutti discendono da Bodini, il più grande poeta italiano surrealista , il vero cantore del Salento-metafora del mondo, ma anche il più tormentato, insoddisfatto , inappagato di tutti i poeti salentini . Di Bodini si celebrerà tra poco l’epifania del centenario ( era nato infatti il 6 gennaio 1914), e quindi tratteremo separatamente, ma questo non significa ridurre la voce dei poeti e degli artisti del Salento, perché . quando ci sei dentro , al Salento , sei da un sacco di parti, magari per un istante solo, ma è un istante sgranato su secoli, Porto Badisco e Gabrieli, Calò, Suppressa, Sponziello, Nullo D’Amato e Della Notte , con le loro vibrazioni cromatiche e l’essenza lirica e mediterranea della loro visione pittorica , fino all’ultimo sperimentalismo di Doris Salcedo, quel “Shibboleth”, un baratro sotterraneo, una spaccatura che divide a metà il mondo moderno, bianco e nero, sud e nord, la storia del razzismo. Il sapere non è sapere. Bisogna “riacquistare” l’ignoranza , che è sapere del sapere.
9.Otranto
Bisogna riacquistare il silenzio, dice Roberto Cotroneo nel suo romanzo “Otranto”, città costruita sulla paura, città inafferrabile , fatta di un sommesso eco di onde che s’infrangono sui bastioni , di sipari d’ombra e di silenzi. “E vedi il cielo cambiare colore, quasi potesse sbiadire l’azzurro e fissai il mare. Pensai che c’era silenzio. A parte qualche fruscio di capelli. Le onde del mare sembravano cancellate, inghiottite da un dio che aspettava le loro urla. Per rompere quel silenzio impossibile”. Ma riecco i passi del pomeriggio nella piccola Otranto , dove su tutto domina la luce , ed hai come uno straniamento , un prodigio che si verifica per motivi incomprensibili : non è mai uguale il tuo tragitto, perché è la luce a cambiare le forme , e la tua immaginazione… Lo salveremo questo mosaico di Pantaleone, questa straordinaria Bibbia per i poveri, questo enigma dell’altrove? Venga , le faccio leggere una cosa sui martiri uccisi orrendamente, come animali sacrificali, squartati, tagliati a metà, impalati…Scendeva a occhi chiusi la scalinata che dal colle della Minerva portava verso la città… Si ferma. Mi guarda la bella restauratrice salentina con gli occhi che le brillano e mi sorride con quel suo sorriso misterioso , pieno di utopie. Esistono solo i giardini che ci portiamo dentro? Cosa ci attende sull’altra riva? Ma è già sparita, con le sue ali. S’è fatta onda e poi schiuma, poi orizzonte infinito. Bisogna pur stare a coltivare qualche utopia, se no diventa tutta una questione di mercatino delle vanità, bricolage dell’anima.
Augusto Benemeglio
(*Da Espresso Sud n. 6 ,Giugno 2013)
chi è il pittore del quadro ?
E’ Nino Della Notte, uno dei maggiori esponenti della pittura salentina negli anni del dopoguerra. Fece parte del sodalizio del Rinnovato Salento, della Lecce c.d. fiorentina, in cui c’erano poeti della grandezza di Vittorio Bodini, Vittorio Pagano, Vittore Fiore , critici del valore di Oreste Macrì, e altri artisti come Re, Calò, Massari Suppressa, con tutto un fiorire di Botteghe dell’Arte ( che in parte si trovano ancora oggi a Lecce) , luogo di incontro con personalità degli artisti più significativi del Salento, per un vero e proprio rinnovamento culturale. La pittura di Della Notte si affida al valore lirico evocativo del colore in cui si afferma il carattere mediterraneo della sua poetica. A suo nome è stata intitolata una Scuola Media Superiore a Lecce, a lungo gestita dalla vedova sua ex consorte.