Favole raccolte, curate e riadattate da Simone
Pietro e Cristina vivevano in una casetta all’orlo della foresta e avevano un figlio solo, che si chiamava Giovannino. Giunto all’età di sedici anni Giovannino disse addio ai genitori e se ne andò per il mondo a cercar fortuna. Imboccò uno stretto sentiero nel cuore della foresta, fischiando allegramente e pensando a ciò che avrebbe potuto fare per guadagnarsi da vivere; poiché non badava alla strada, andò a sbattere contro a un vecchino dalla barba lunga.
– Ebbene, ragazzo mio? – disse il vecchino – dove pensi di andare a finire?
– Vado in cerca di fortuna ! – rispose Giovannino – ma comincio ad aver fame, perciò penso che sia meglio cercare un lavoro, purchè non sia un lavoro troppo duro e mi diano un buon cibo e una discreta paga.
– Vieni con me – disse il vecchio. – Ho bisogno di un ragazzo come te per tenermi la casa pulita mentre sono in viaggio. Non c’è altro da fare che spolverare le stanze e sparger sabbia sui pavimenti: avrai cibo a volontà e quaranta pezzi d’argento all’anno di stipendio.
– E’ un posto che fa per me! Esclamò Giovannino – e s’incamminò col Vecchio della Montagna finchè non raggiunsero l’ingresso della sua casa.
Era una botola posta sul fianco del monte: si scendevano molti scalini e ci si trovava in una caverna, piena di belle cose e illuminata da lampade che non si spegnevano mai. Tutt’intorno alla casa c’erano delle porte chiuse che si immettevano nell’interno della montagna.
– Eccoci ! – disse il Vecchio – puoi aprire tutte le porte, eccetto una che ha una chiave d’argento nella serratura. Non devi mai entrare in quella stanza, altrimenti ti capiterà qualcosa di orribile. Nelle altre troverai una gran quantità di vestiti: prendi quel che ti serve. Quando poi avrai fame, metti a tavola ed esprimi un desiderio: troverai sul piatto tutto quello che vuoi. Addio, ora devo partire e non so quando ritornerò.
Appena il vecchio della montagna se ne fu andato, Giovannino si fece una bella mangiata. Poi si mise a visitare la casa, si provò molti bei vestiti ed in fine andò a letto dormendo sodo.
– Non serve a nulla sparger sabbia su questi pavimenti – pensò il giorno dopo appena fatta colazione – tanto non li devo vedere che io e non me ne importa proprio nulla.
– Non serve a niente spolverare le stanze, eccetto questa e la camera da letto, pensò il giorno seguente – tanto non le devo vedere che io e non mi importa anche stavolta nulla.
– Non serve a niente spolverare le stanze, o mie o non mie, pensò il terzo giorno – tanto sono l’unica persona che le vede e della polvere non mi importa proprio nulla.
Così in breve tempo, non ebbe altro da fare che starsene seduto fuori dalla porta chiusa a chiave chiedendosi come mai ci potesse essere dall’altra parte.
Alla fine smise di chiederselo e aprì la porta per guardare con i propri occhi.
Non c’era niente di orribile in quella stanza se non un mucchio d’ossa. Da una parte però, c’era uno scaffale pieno di libri.
– Almeno passerò il tempo a leggere ! – pensò Giovannino e preso il libro più piccolo lo portò sulla tavola e se lo lesse mentre mangiava. Era un libro, pieno di incantesimi e di sortilegi.
– Con l’aiuto di questo libro posso trasformarmi a volontà – pensò Giovannino – Mi terrò questo invece dello stipendio. Vediamo un po’ se c’è un incantesimo che serva a tirarmi fuori da questa montagna.
Ne trovò subito uno che funzionò a meraviglia e ritrovatosi ben presto sullo stretto sentiero, nel cuore della foresta, si mise a fischiettare allegramente.
Giunto a casa i suoi genitori gli chiesero, pieni di sospetto, dove si era procurato quei bei vestiti.
– Me li sono guadagnati col mio duro lavoro – rispose Giovannino.
– E’ impossibile gridò Pietro. Non puoi aver guadagnato tanto in così poco tempo. Li devi aver rubati. Non voglio ladri in casa mia, perciò: vattene !
– Sono tornato solo per aiutarvi – borbottò Giovannino – se volete me ne andrò. Domattina presto troverete uno splendido cane presso la porta. Portatelo al castello e vendetelo al Duca per dieci pezzi d’argento. Ma badate bene di riprendere il guinzaglio e di riportarli qui !
Giovannino se ne andò e il giorno dopo, Pietro trovò il cane per davvero. Lo portò al castello, lo vendette per dieci pezzi d’argento e non si dimenticò di riportare a casa il guinzaglio.
Quella sera Giovannino all’improvviso si fece rivedere e disse:
– Non ho ancora fatto abbastanza per voi. Domattina cercate fuori dall’uscio una bella mucca grassa, alta come la nostra casetta. Anche questa ve la regalo. Portatela al palazzo Reale e vendetela per mille pezzi d’argento: neanche uno di meno. Ma badate di togliere la cavezza e di riportarla a casa . Appena avete venduto la mucca tornate subito indietro, m prendete il sentiero del bosco, non la strada maestra.
La mattina seguente, quando i due vecchi guardarono fuori della finestra, la prima cosa che videro fu una mucca grande come un pagliaio che mangiava l’erba serena e contenta.
– Come faccio a metterle la cavezza sul collo ? esclamò Pietro.
– Spremiti le meningi – disse Cristina – ma fa alla svelta perché altrimenti, quella ci mangerà il tetto sulla testa !
Piero prese una scala e l’appoggiò alla casetta. Poi vi salì portando con sé una corda e un asse. Bilanciò l’asse dal tetto della casa fino al collo della mucca e ci si avventurò sopra. Quando fu arrivato al collo della bestia vi legò attorno la corda e si lasciò scivolare a terra. Fu facile in questo modo condurre la mucca al Palazzo Reale e Pietro fu tanto fortunato da incontrare il Re in persona che passeggiava nel parco.
– Buongiorno Maestà, – disse con profondo inchino. – Ho sentito dire che la principessa reale, Vostra figlia, sta per maritarsi. Mi è venuto in mente che la mia mucca, una bestia della grandezza fuori del comune, potrebbe essere utile. Inviterete certo migliaia di persone al banchetto nuziale e potreste trovarvi a corto di carne.
– E’ un idea eccellente ! esclamo il re e, pagati a Pietro mille pezzi d’argento sonanti, mandò a chiamare il Macellaio reale.
– Prendi la mannaia, e ammazza la mucca – disse – ci sarà carne abbastanza per almeno diecimila ospiti.
Ma quando il macellaio alzò la mannaia per colpirla, la mucca si cambiò in colomba e fuggì nella foresta.
Appena il re ebbe saputo questa notizia mandò i suoi uomini per la strada maestra in cerca del vecchio contadino che gli aveva venduto la mucca gigante.
Ma Pietro se n’era andato per il sentiero attraverso la foresta con la cavezza in mano e nessuno sospettò niente.
Giovannino tornò il giorno dopo e disse: – Voglio farvi un altro regalo. Domattina troverete un cavallo fuori dall’uscio. Portatelo al mercato ma non dimenticatevi di riportare indietro la briglia.
Pietro la mattina dopo andò al mercato con un bellissimo stallone che aveva trovato sull’aia ad aspettarlo. Ma nessuno voleva comprarglielo per mille pezzi d’argento finchè un vecchio con una lunga barba si fece avanti e pagò il denaro senza mercanteggiare nemmeno un pochino. Ma appena tentò di mettere le mani sull’acquisto, il cavallo s’impennò e si mise a tirar calci.
– Lasciategli la briglia sul collo – disse il Vecchio della Montagna, poichè si trattava proprio di lui.
– Oh no! La devo riportare a casa – rispose Pietro.
– Sono pronto a pagare cento pezzi d’argento.
– Non la posso vendere.
– Cinquecento !
– No.
– Mille.
Pietro non seppe resistere a quell’offerta e tornò a casa con duemila pezzi d’argento. Con questa somma si costruì una nuova abitazione e acquistò più terreno, diventando un uomo ricco.
Intanto il Vecchio della Montagna condusse via il cavallo finchè arrivarono alla fucina di un fabbro.
– Ferratemi il cavallo, mastro fabbro ! grido.
– Prima venite a bere – rispose il fabbro – intanto il mio garzone accenderà il fuoco e lo attizzerà in quattro e quattr’otto.
Mentre si gustavano un bel bicchiere di birra il cavallo rimase legato nella corte; una domestica venne ad attingere l’acqua del pozzo e offerse al cavallo gentilmente una sorsata dal secchio.
Quale fu la sua sorpresa quando il cavallo si rivolse a lei e le disse:
– Toglimi la briglia e mi salverai la vita !
Non si poteva disobbedire ad un cavallo parlante , così la ragazza eseguì l’ordine. Ma si stupì ancora di più quando, appena sciolto, il cavallo si tramutò in colomba e volò via. A quella vista la povera ragazza si mise ad urlare: il Vecchio della Montagna si precipitò fuori di casa, si rese conto di quanto era successo e tramutatosi in un falco, volò dietro alla colomba. Sorvolarono la foresta ed il castello reale, ed il falco si stava già per piombare sulla sua vittima, quando la colomba si mutò in un anello d’oro, che cadde ai piedi della principessa. Essa lo raccolse e se lo mise al dito.
Il falco calò giù per prenderlo ma una delle guardie scagliò una freccia e lo trafisse. E questa fu la fine del Vecchio della Montagna.
La principessa era in disgrazia, perché aveva rifiutato di sposare il principe che suo padre le aveva proposto come marito. Il re l’aveva chiusa nel giardino reale e la faceva vivere a pane ed acqua e dormire nella serra reale. Quando essa fu sola, l’anello d’oro le schizzò via dal dito e si mutò in un bel giovanotto.
– Perdonatemi principessa se vi ho spaventato – disse Giovannino con una bella riverenza – ma ho dovuto rifugiarmi presso di voi per salvarmi dal Vecchio della Montagna che mi dava la caccia perché gli avevo rubato il Libro Magico.
– Faresti meglio a rimanere con me, allora – disse la principessa che si era innamorata di Giovannino a prima vista. E giovannino, dal canto suo, non chiese di meglio, non chiese di meglio, perché s’era innamorato anche lui allo stesso modo.
Rimase presso di lei trasformandosi in anello ogni volta che si avvicinava qualcuno e vissero felici nella serra reale per un certo tempo, senza che nessuno s’accorgesse di niente. Alla fine però il Re li scoperse quando meno se lo aspettavano. Giovannino si trasformò in anello ma ormai il Re l’aveva visto.
– Questa è dunque la ragione perché rifiutasti di sposare il principe ! – tuonò il Re rivolto alla figlia – Mi hai ricoperto di vergogna !
E comandò che fosse murata viva nella serra reale insieme al suo innamorato, che a suo parere, doveva essere nascosto da qualche parte, perché entrambi morissero di fame.
Quella sera la principessa fu murata nella serra, la cui porta fu chiusa con un muro. Siccome le finestre erano poco più grandi di un occhiello, non c’era modo di scappare. Ma per fortuna, Giovannino aveva ancora con sé il prezioso Libro Magico.
Quando il Re, qualche settimana dopo, fece abbattere il muro per dare alla figlia le Esequie Regali, non trovò alcuna traccia di lei, neanche un ossicino. Sia la principessa che l’anello magico erano spariti del tutto.
Il Re allora cominciò a pentirsi di quello che aveva fatto ed emise un bando col perdono per la figlia ed il suo innamorato, se erano ancora vivi, e la promessa di una grossa somma di denaro per chi li avesse ritrovati e riportati a casa.
Per un po’ di tempo nessun si fece avanti, poi arrivò a corte un principe per far visita al Re e chiedergli un consiglio per Un Grave Affare di Stato.
– Maestà – gli disse mentre sorseggiavano una coppa di vino alla fine del colloquio – datemi il vostro consiglio su un’altra faccenda, giacchè la vostra saggezza è nota in tutto il continente: un uomo del mio paese ha sepolto viva la figliola perché s’era innamorata del figlio di un boscaiolo mentre suo padre voleva darla in moglie ad un principe. Devo rendere giustizia a questo proposito, ditemi dunque, al mio posto, punireste quel padre crudele ? e quale pena gli fareste infliggere ?
Allora il Re che era ancora molto addolorato per la perdita della figlia disse:
– Bruciatelo vivo ! e disperdete le ceneri per tutto il reame !
– Siete voi l’uomo da punire ! – gridò allora il principe facendosi riconoscere. – Io sono Giovannino che ha sposato vostra figlia nel Paese Sottoterra, dove l’ho condotta grazie ad un incantesimo suggeritomi da un Libro Magico. Orsù parlate ! siete pronto a farvi ridurre in cenere ?
Il Re si inginocchiò di fonte a Giovannino e gli disse:
– Mi sono provocato la rovina con le mie stesse mani e me ne dispiace tanto che sono pronto a farmi bruciare oggi stesso; fate soltanto che possa rivedere ancora una volta mia figlia e chiederle perdono !
Giovannino e la principessa non solo perdonarono il Re, e vollero che rimase sul trono.
Vennero a vivere con lui e Giovannino si rilevò un genero buono ed intelligente.
Da quel giorno in poi vissero tutti felici e contenti e col tempo Giovannino e sua moglie diventarono Re e Regina del loro paese.
E Il libro magico fu utilizzato all’incanto di attrattive insospettate e ben più piacevoli.
Simone
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