Il Figlio del Gran Capo Lupo


favoleFavole raccolte, curate e riadattate da Simone

Nell’estremo Nord, sulle cime del grande Oceano, aveva posto le tende la tribù pellerossa dei Tinglit, e vivevano in un villaggio fatto di scorza di betulla.
Una volta però si abbatté sulla regione una grande carestia e molti degli appartenenti alla tribù morirono di fame. Era uno spettacolo terribile vederli seduti, tutti ravvolti nei loro mantelli, in attesa della morte, troppo deboli e scoraggiati per aver la forza di fare un qualsiasi movimento.
Ma c’era un ragazzo tra i Tinglit che non tollerava l’idea di starsene seduto in attesa della morte. Ogni giorno prendeva l’arco, si armava di frecce e si avventura nella foresta in cerca di cibo per sé e per sua madre. Un giorno, mentre vagava come al solito per la foresta si imbatté in un animale simile a un cane: eppure non era un cane. Era piccolino, rotondetto, coperto di pelo, festoso. Ed il ragazzo benché affamato, non ebbe il coraggio di ucciderlo. Lo avvalse in un lembo del suo mantello caldo e se lo portò a casa. Lo ripulì dal fango e dalla neve e gli tinse la testa e le zampe con la rossa vernice di guerra, per poterlo distinguere bene quando fossero a caccia assieme. L’indomani si alzò di buon mattino e andò a caccia col suo nuovo amico. Il piccolo animale era così veloce ed intelligente che in breve aiutò il padrone a catturare un bel numero di galli cedroni, abbastanza per sfamarsi per parecchi giorni di seguito. Quella sera perciò il ragazzo e la sua mamma poterono invitare alcuni amici ad una lauta cenetta nella loro capanna.
Poco tempo dopo il ragazzo si trovava ancora a caccia quando, all’improvviso, perse di vista il suo amico. Mise l’orecchio a terra e avvertì con certezza un uggiolio sommesso e ansioso che proveniva da lontano. Seguì la direzione del suono, come soltanto un Pellerossa sa fare, e trovò una piccola cavità, in fondo alla quale il cane aveva ucciso una grossa pecora di montagna.
– Ma sei un cane per davvero ? – chiese il ragazzo – non ne sono sicuro, vorrei tanto sapere che cosa sei. Per conto mio ti tratterò come va trattato un bravo cane.
E così, quando la carne era cotta, dava al suo compagno la prima scelta di tutti i pezzi migliori.
Dopo questo episodio non passò giorno che il ragazzo non portasse a casa carne per la madre e per gli amici che ricominciarono ad ingrassare ed a guardare il mondo con altri occhi. Ma ogni volta, il ragazzo stava bene attento a dare al cane il boccone migliore.
Trascorsero alcune settimane, ed il marito della sorella del nostro ragazzo venne da lui e gli disse:
– Oggi vado a caccia, prestami il tuo cane, perché mi sarà di grande aiuto.
Il ragazzo non osò dire di no all’imponente Guerriero dal volto severo. Andò tristemente al piccolo canile che aveva costruito per il suo strano amico e lo portò al cognato, non senza avergli prima dipinto di rosso la testa e le zampe, come era solito fare.
– Dagli la miglior parte della preda, come faccio sempre io ! – pregò, ma il Guerriero non lo degnò di risposta.
Raccolse da terra l’animale, se lo mise nel mantello e spronò via il cavallo verso la foresta. Era un uomo avido e meschino e quando il piccolo compagno di caccia uccise un intero branco di pecore selvatiche, tutto quello che seppe fare fu di gettargli un pezzo di interiora che nessuno avrebbe mangiato, esclamando:
– Prendi questo ! è anche troppo per un animale come te !
Il cagnolino diede un occhiata al boccone, si voltò e scappò via fra le montagne, abbaiando cupamente.
Allora il Guerriero riportò al villaggio l’intero branco di pecore ed era già buio quando vi giunse, barcollando sotto tutto quel carico.
Il ragazzo lo aspettava ansioso e gli chiede:
– Dov’è il mio cagnolino ?
– Non è stato di nessun aiuto ! – borbottò adirato il Guerriero. – non ha saputo far altro che scapparsene via !
– Dimmi cos’ ha fatto al mio cane ! – chiese il ragazzo alla sorella qualche ora dopo – non glielo volevo prestare, perché sapevo che sarebbe andata così.
La moglie del Guerriero rispose:
– Gli ha gettato le interiora di una pecora; il tuo cane è troppo schizzinoso. Invece di mostrarsi grato se n’è fuggito via tra le montagne.
Al sentir queste parole il ragazzo si addolorò e si mise alla ricerca del compagno. Riuscì presto a trovarne le impronte e dopo poco vide anche tracce di vernice rossa nell’erba. Andò ancora avanti e si spinse là dove nessun Tinglit, per quanto valente, si era mai spinto, proprio nel cuore della montagna. Raggiunse un ampio lago scuro, così lungo che non riusciva a distinguerne la fine. Le tracce si fermavano presso la sponda e in distanza, sull’altra riva, il ragazzo scorse un agglomerato di capanne e tende dove sembrava che la gente stesse giocando, perché un suono di voci squillanti giungeva fino a lui attraverso il lago.
– Oh se riuscissi a passare al di là di quest’acqua scura ! – sospirò il ragazzo.
Aveva appena finito di pronunciare queste parole che la terra si aprì davanti a lui come un anfratto che si dissesta ed una nuvoletta di fumo, attraverso quella porta, so levò nell’aria.
– Entra ! esclamò una voce che veniva all’interno della nuvoletta. Ed apparve una donna stravecchia.
– Figliolo mio, cosa fai qui ? domandò mentre il ragazzo le stava di fronte. Per quale ragione sei venuto a far visita alla Vecchia Squaw ? Perché … perché ?
– Avevo trovato un animaletto: somigliava ad un cane – egli rispose. Mi aiutava a procurarmi il cibo per la mia gente ed io gli volevo bene. Ma il marito di mia sorella l’ ha fatto scappare e lui s’è perduto.
– La sua gente vive sull’altra sponda del lago – disse la vecchia – Devi sapere che non è un cane come tutti gli altri. ma è il figlio del Gran Capo Lupo. Quello da cui senti provenire le voci è il villaggio della tribù dei Lupi.
Il ragazzo guardò al di là del lago e scosse il capo tristemente.
– Come farà a raggiungere il villaggio ? disse tra sé e sé.
– C’è qui vicino la mia piccola canoa – rispose la Squaw , come se egli avesse parlato ad alta voce.
– Sembra così piccola: spero che non affondi sotto il mio peso – pensò il ragazzo. E ancora la vecchia gli disse di rimando:
– Portala fino al bordo del lago. Scuotila una sola volta, prima di entrarci e vedrai che fa proprio al caso tuo. Distenditici dentro ed esprimi il desiderio di essere sull’altra riva. Non ci sarà bisogno che tu remi.
Il ragazzo fece come gli era stato detto e raggiunse facilmente l’altra sponda del lago. Saltò a riva, sollevò la canoa e la scosse di nuovo. Subito quella si rimpicciolì e diventò una barchetta non più grande di un giocattolo. Il ragazzo se la mise in tasca prima di avviarsi in direzione del villaggio.
– Dov’è la capanna del capo ? – chiese ad un gruppo di bambini che giocavano con la coda di un arcobaleno.
– All’altra estremità del villaggio – riposero quelli senza nemmeno alzare gli occhi dal gioco. Il ragazzo proseguì finché non raggiunse un largo spiazzo in mezzo al quale brillava un bel fuoco; molte persone erano sedute all’interno.
Da una parte sedeva il Gran Capo Lupo ed il ragazzo scorse all’improvviso il suo amico lupacchiotto che giocava felicemente accanto al padre.
– Uh! Uh! – gridò d’un tratto il Gran Capo lupo – C’è tra noi uno della razza degli uomini ! Sparisci, popolo dei Lupi !
Il popolo dei Lupi sparì d’un lampo; eccetto il lupacchiotto, figlio del Gran Capo Lupo, che corse verso il ragazzo, lo annusò e lo riconobbe subito.
Quando il gran Capo Lupo vide ciò, ritornò visibile e disse al ragazzo:
– Non aver paura, io ti sono amico. Ti mandai mio figlio in aiuto quando morivi di fame. Il mio cuore si riempie di tenerezza nel vedere di come ti sei messo alla sua ricerca. E il cuore di tutti noi si rallegra, perché tu hai messo su mio figlio la vernice di guerra degli Uomini Rossi. Ora è come se noi tutti l’avessimo addosso e si potrà riconoscere un Lupo lontano un miglio dal rosso sparso sulle loro zampe, attorno alla bocca e sul muso.
Qui il Gran Capo Lupo fece una pausa. Poi riprese:
– Non potrò dare a mio figlio il permesso di ritornare con te. Ti farò, piuttosto, due dono molto rari. Vedi quegli attrezzi da pesca appesi alla parete ? Strappa una penna dal galleggiante e portala con te; se ti imbatte in un orso, puntandogliela contro: essa ti volerà di mano per ucciderlo. Ora prendi quest’altra penna dal mio mantello: se la poni accanto ad una persona malata, per quanto grave sia, la penna la risanerà. Ma se la porrai dal lato inverso, questi morirà.
Allora il ragazzo alzò gli occhi verso il Gran Capo Lupo e gli pose un’infinità di domande. Per prima cosa gli chiese dell’arcobaleno con cui giocavano i bambini all’altra estremità del villaggio: infatti era per lui una cosa assolutamente nuova.
– E’ il mio giocattolo preferito – disse il Gran Capo Lupo – Quando lo vedi di sera nel cielo, vuol dire che sta per arrivare cattivo tempo. Ma quando lo vedi di mattina, puoi andare a caccia o imbarcarti sul lago con la tua canoa senza nessun timore, perché significa tempo buono. Sì, è davvero un bel giocattolo.
Poi il Gran Capo Lupo disse ancora:
– Ora mangerai con me, perché ti aspetta un lungo viaggio e devi sentirti bene in forze prima di intraprenderlo.
Così dicendo, mise un po’ di cibo in bocca al ragazzo. Dopo aver mangiato, questi credette di essere stato lontano dal suo villaggio soltanto due notti. Invece erano passati due anni.
Allora si rimise in cammino verso la sua dimora: quando la raggiunse non era più un ragazzo, ma un uomo fatto. Mentre era nei paraggi del villaggio dei Tinglit, s’imbatté in un orso che gli si avventò contro. Ma egli si ricordò del dono del Gran Capo Lupo e puntò la penna contro il bestione infuriato. Subito la penna gli volò di mano e trapassò il cuore dell’orso. Era una bella quantità di carne fresca per la sua gente che moriva di fame ed egli affrettò il passo verso il villaggio. Ma c’era uno strano silenzio tutt’intorno. Sembrava che nessuno si muovesse da quelle parti: eppure là viveva un gran numero di uomini, donne e bambino, quando egli era partito alla ricerca del suo cagnolino … non più di due giorni prima !
Alzò un lembo della tenda più vicina. All’interno tre o quattro corpi giacevano distesi sul pavimento. Stavano tutti morendo di inedia ! Aprì una tenda dopo l’altra ma tutte rilevavano la stessa tristissima situazione. Nessuno aveva più saputo procurarsi il cibo dopo che egli se ne era andato col suo cane meraviglioso.
Allora si ricordò del secondo regalo del Gran Capo Lupo.
Tirò subito fuori di tasca l’altra penna piumata e la pose nel giusto verso vicino ad un corpo, poi vicino ad un altro e poi ad un altro ancora. Mentre faceva così, sembrava che tutti si destassero dal sonno finché tutto il villaggio fu pieno di vita.
– Son tornato per salvarvi dalla fame e dalla morte ! – disse il ragazzo che ormai era diventato un uomo – Venite a caccia con me !
Andarono tutti sulla montagna e quando videro un branco di pecore selvatiche, egli puntò contro di lodola prima penna e quella volò così veloce che nessuno la vide sfrecciare. E senza che nessuno lo vedesse egli la trasse fuori dal cuore dell’ultima pecora abbattuta. Questa volta, infatti, era deciso a non perdere le penne come gli era successo col cagnolino.
Accesero i fuochi, arrostirono le pecore, e quelli che non erano suoi amici pagarono la carne di cui si nutrivano.
In questo modo l’intera tribù poté sopravvivere per tutti gli anni che durò la carestia.

E per ogni luna di sera, ci fu sempre un colorato arcobaleno per la mattina dopo.

Simone
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