Citazioni tratte da: Nel guscio di Ian McEwan
Dunque eccomi qui, a testa in giù in una donna. Braccia pazientemente conserte ad aspettare, aspettare e chiedermi dentro chi sono, dentro che guaio mi sto per cacciare. Mi si chiudono gli occhi di nostalgia al ricordo di quando fluttuavo libero nel mio sacco opalescente, a spasso dentro la bolla sognante dei miei pensieri, tra capriole al ralenti in un oceano privato, e delicate carambole contro i confini trasparenti della mia prigione, quella membrana sicura che, pur attutendole, vibrava insieme alle voci di cospiratori intenti a una macchinazione odiosa. Succedeva nella spensierata stagione della mia giovinezza. A questo punto, ormai completamente capovolto, con le ginocchia schiacciate al petto e senza alcun margine di movimento, non ho soltanto la testa impegnata ma anche tutti i pensieri. Non ho più scelta, un orecchio è premuto giorno e notte contro le pareti irrorate di sangue. Ascolto, prendo appunti mentali, e mi preoccupo. Tra le lenzuola sento discorsi efferati e mi agghiaccia il terrore di quel che mi aspetta, di quel che potrebbe compromettermi.
Il principio della vita cosciente coincise con la fine dell’illusione, l’illusione del non-essere, e l’esplosione del reale. Il trionfo del realismo sul magico, di ciò che è su ciò che pare.
Ogni volta, a ogni singolo colpo di pistone, ho il terrore che possa fare irruzione e fottersi il mio cranio molle e inseminarmi i pensieri col suo sperma, col latte brulicante della sua banalità. A quel punto, cerebroleso, penserò e parlerò come lui.
Ogni temerario argomento nuovo si alza faticosamente in piedi, barcolla e frana addosso al successivo.
Ho sentito sostenere che molto tempo fa il dolore generò la coscienza. Per evitare danni gravi una creatura semplice deve elaborare le frustate e le provocazioni di un circolo vizioso soggettivo, di un’esperienza percepita. Non solo una spia rossa luminosa nella testa – chi ci farebbe caso? – bensì una puntura, una fitta, una pulsazione che fa male. E stata l’avversità a imporci la consapevolezza, e funziona, ci morde quando andiamo troppo vicino al fuoco, quando amiamo con troppa passione. Quelle sensazioni percepite sono l’alba dell’invenzione del sé. E se quelle funzionano, perché non lo schifo per la merda, la paura della scogliera alta e del forestiero, il ricordo di offese e cortesie, il piacere del sesso e della gola? Dio ha detto, Che il dolore sia. E fu la poesia. Alla fine.
Quando un amore finisce e un matrimonio è a pezzi, la prima vittima è la memoria sincera, l’onesta, imparziale rievocazione del passato. Troppo scomodo, troppo in conflitto con il momento presente. E il fantasma dell’antica felicità al banchetto della rovina e della devastazione. Ecco perché, per contrastare il vento della dimenticanza, ci tengo ad accendere la mia modesta candela di verità e vedere quanto lontana arriva la sua luce.
Un brindisi all’amore e di conseguenza alla morte, a Eros e perciò a Thanatos. Sembra un assioma dell’esperienza intellettuale che di due concetti opposti o significativamente lontani uno dall’altro si dica che sono intimamente legati. E poiché la morte si oppone a tutto ciò che è vita, vengono proposti svariati abbinamenti. Arte e morte. Natura e morte. Minacciosamente, nascita e morte. Con gioiosa insistenza, amore e morte. Riguardo a quest’ultimo e dalla mia postazione, fatico a immaginare due concetti più reciprocamente trascurabili. I morti non amano niente e nessuno.
Gli amanti arrivano al primo bacio pieni di cicatrici, oltre che di voglie. Non sempre cercano il proprio tornaconto. Certi hanno bisogno di protezione, altri sono unicamente a caccia dell’iperrealtà dell’estasi per la quale sono disposti a raccontare formidabili bugie e a compiere sacrifici assurdi. Ma è raro che si domandino di che cosa hanno bisogno, che cosa vogliono. I ricordi hanno cattiva memoria dei fallimenti passati. L’infanzia è chiara e leggibile sotto la pelle dell’adulto, più o meno vantaggiosamente. Idem dicasi per le leggi ereditarie che sono alla base della personalità. Gli amanti non sanno che non esiste il libero arbitrio.
E dei sentimenti lui diceva: «Non disfare il pacco del cuore. E’ il dettaglio a raccontare la verità». Oppure: «Scrivi per l’orecchio che ascolta, non per l’occhio che legge, scrivi per la serata caotica in una sala parrocchiale».
Non è stato l’odio a uccidere gli innocenti, ma la fede, quello spettro famelico, tuttora venerato, perfino tra i più miti. Molto tempo fa qualcuno ha decretato virtuoso possedere certezze immotivate. Oggi a sostenerlo sono le più cortesi tra le genti.
Che cos’è un criminale in fondo, se non uno spirito in preda allo scompiglio?
Titolo: Nel guscio
Autore: Ian McEwan
Prezzo copertina: € 18.00
Editore: Einaudi
Collana: Supercoralli
Traduttore: Basso S.
Data di Pubblicazione: marzo 2017
EAN: 9788806232740
ISBN: 8806232746
Pagine: 173