A cura di Giuseppe Iannozzi
Romanzo che disegna la geografia dell’uomo, del clandestino, della paura
Hamid Skif, giornalista, scrittore e poeta, è nato a Oran, Algeria, nel 1951. Ha partecipato alla creazione dell’Associazione dei Giovani giornalisti nel 1992. Dopo essere scampato a diversi attentati, ha lasciato l’Algeria. Vittima di rappresaglie per i suoi scritti e per la sua azione in difesa della libertà di espressione in Algeria, Hamid Skif ha lasciato (definitivamente) il suo paese negli anni Novanta e si è stabilito ad Amburgo, in Germania, dove tuttora risiede. Dal 1997 vive ad Amburgo, in Germania. Nel 2005 ha vinto l’Exil literatur preis. I suoi romanzi sono tradotti in Francia, Germania, Spagna, Siria. In Italia ha pubblicato La principessa del deserto di mezzo, Spartaco edizioni.
Hamid Skif è tra i più originali scrittori degli ultimi cinquanta anni. Tentare un parallelo con altri scrittori significa chiamare in causa, ma a ragione, Nagib Mahfuz e soprattutto Tahar Ben Jelloun con “Il libro del buio”, ma anche, in una certa misura, J. M. Coetzee e l’ossessione claustrofòbica ed essenziale presente ne “Il tunnel” di Ernesto Sabato.
Che ci fa un uomo, senza un cane né uno spirito guida né una speranza, completamente all’oscuro, in un appartamento che è rifugio temporaneo e prigione eterna? Quest’uomo vive e vede solo il buio, deve fare attenzione a ogni rumore che potrebbe svelarlo al mondo di fuori; e però il suo più grande desiderio è la libertà di sentire l’aria, di passeggiare tra gli uomini da uomo. Non può. La libertà gl’è negata, perché lui deve nascondersi: non può uscire allo scoperto, può solo immaginare la vita. E’ un clandestino in un paese straniero, e fuori c’è già chi lo cerca: mettere il naso all’aperto significherebbe farsi bersaglio mobile per i boia – che fiutano l’aria in cerca d’una sua traccia, di un suo sbaglio ferale. Prima il viaggio in mare, poi una terra straniera ad accoglierlo in incognito: deve guardarsi da subito le spalle, perché tutto è andato storto, niente è come gl’era stato promesso. Lui che sognava di affrancarsi dalla povertà, scopre che come clandestino è peggio: braccato, senza danari, senza documenti, la sua esistenza rischia d’esser tagliata via dal destino da un momento all’altro. Niente è migliorato. Nascosto ricorda il freddo, l’umiliazione d’un viaggio verso la speranza solo per scoprire che speranza non c’è. In terra straniera incontra chi disposto a nasconderlo in un appartamento: un giovane gli dà ricovero. Nascosto al mondo, l’uomo sente i rumori e le voci ovattate di quanti vivono nello stabile e immagina le loro vite, libere: immagina una signora che batte ossessivamente sui tasti di una macchina per scrivere, immagina i suoi orgasmi e il suo libertinaggio soprattutto, sente il profumo di lei che si concede all’amante; e ancora immagina un diario, la vita di chi aveva creduto che facendo il dongiovanni avrebbe guadagnato rispetto, perlomeno per la sua eccezionale verga d’Aronne. La memoria è la sua unica compagna, ma spesse volte s’inganna: la memoria diventa fantasia, un caleidoscopio di frammenti impazziti di vite vissute da altri dentro la sua testa. Eppure è tutto quel che ha e di cui mai potrebbe privarsi, perché dimenticare di sognare significherebbe la pazzia. La paura gli morde il sedere: ha fame, ha freddo, ma soprattutto avverte impellente la necessità di uscire allo scoperto. Non può: può solo tornare a vivere i frammenti impazziti di quelle vite che non gl’appartengono e che però sono oramai l’unico buco da dove spiare l’esistenza; ed ecco affacciarsi a questo buco, quasi a fargli un occhiolino allo stesso tempo malizioso e malvagio, il padre, un amico che pare si sia suicidato in circostanze affatto chiare, l’avo Ben Okbi, un poliziotto corrotto, e non da ultimo il trafficante di clandestini. E Miss Battimacchina, di cui immagina tutto. Lo studente universitario che l’ha nascosto cerca di fare quel che può: ma non può molto, per giunta si accompagna ad amici sinistri, che vorrebbero metterglielo in quel posto. Capisce che quel ragazzo lo sta aiutando, perché si aspetta qualcosa da lui: ma lui non è disposto a dar via la sua verginità anale, non è uomo adatto a simili spiagge. Tanti protagonisti, che raccontano le loro storie per mezzo di un immigrato clandestino, il cui futuro è più che mai incerto.
Un romanzo che disegna la geografia dell’uomo, del clandestino e della paura. Un romanzo crudo, di paura, di reale paura, perché quanto Hamid Skif ci descrive non è semplicemente il frutto dell’invenzione: ogni pagina è di denuncia contro quegl’uomini che fanno della paura umana un vile commercio. Un libro che ci invita a una severa riflessione circa le inumane condizioni di vita dei clandestini, di persone che per sopravvivere possono solo tentare la strada della fuga dalla povertà, dalla fame, dalle dittature; e il cui destino è spesse volte ben più che incerto, forse già segnato per una morte atroce in terra straniera, su quelle spiagge che l’illusione gli aveva dipinto di libertà e giustizia.
“La paura” di Hamid Skif, un libro da leggere, da meditare, da ricordare.
Titolo: La paura
Autore: Hamid Skif
Traduttore: Amaducci G.
Prezzo: € 15.50
Editore: Barbera
Collana: Radio Londra
Data di Pubblicazione: Novembre 2006
ISBN: 8878991287
ISBN-13: 9788878991286
Pagine: 143
Reparto: Narrativa