Recensione: Giuseppe Caridi – Sette passaporti


“Se vuoi viaggiare lontano e veloce, viaggia leggero:
spogliati di tutte le invidie , gelosie, ripicche, egoismi e paure”

(Cesare Pavese)

L’incontro con l’altro
Nel breve e misterioso racconto di Kafka “Il cavaliere del secchio” , si compie uno strano viaggio che non porta da nessuna parte. Il secchio vuoto solleva in alto il cavaliere, al di sopra del livello dove si trova il possibile aiuto , ma anche l’egoismo degli altri. La meta è la bottega del carbonaio a cui chiedere in prestito un po’ di carbone per poter riscaldarsi dai rigori dell’inverno, ma il cavaliere viene respinto dalla moglie del carbonaio che con la scopa lo ricaccia lontano, facendo volare il secchio vuoto, col cavaliere,   lontano,  verso i monti dov’è c’è la neve e il gelo.  Invece,  Giuseppe Caridi, di cavalcate nell’aria, non sui secchi, ma con gli arei più disparati, ma anche traversate in mare, con gusci di noce di pescatori che navigano letteralmente coi piedi, oppure immersioni  negli abissi, a inseguire relitti di guerra o dugonghi musicali, o sogni colorati, ne ha fatti già a centinaia. Ha percorso migliaia e migliaia di chilometri, in tutte le sponde del mondo , e non si è mai sentito respinto, anzi l’incontro con l’altro,  è stato per lui uno dei motivi fondamentale del suo pellegrinaggio, il collante vero e proprio dei suoi viaggi, come ci racconta nell’interessante  sua opera prima  “Sette passaporti” , – editore Diabasis, 2018, Parma.

Tinian e le bombe atomiche
“Se il nemico si trovasse a conquistare Tinian ce le ritroveremo nel giardino di casa”. Con questa citazione dell’Imperatore Giapponese Hiroito inizia il libro di Giusepppe Caridi, un viaggio in Micronesia , ma non certamente turistico,  nè propriamente di avventura, anche se non mancano le situazioni thrilling, come scoprirà il lettore. E’ un viaggio che diventa riscoperta della storia, ma anche della coscienza dell’uomo, denso di imprevisti e di forti emozioni; un viaggio  della scoperta di se stessi, l’eterno viaggio che ci riporta a Itaca, (la sua Gallipoli) da dove forse non siamo mai veramente partiti e mai arriveremo , come dice Eliot. Infatti non bastano sette passaporti, ovvero 298 pagine  di timbri e d’avventure nelle più svariate nazioni del mondo , a porre termine a questo suo viaggiare che è una vocazione, un fuoco sempre acceso,  che non potrà mai avere fine. Intanto a Tinian, nelle Isole Marianne,  ecco le tracce più oscure della storia, una sorta di Graal rovesciato, satanico:
il miracoloso  ritrovamento dei pozzetti in cui furono custodite le bombe atomiche   che rasero al suolo Hiroshima e Nagasaki. Si riaffacciano alla memoria i  carboni accesi nel cielo di Pearl Harbour, gli arei giapponesi che affondano le navi statunitensi, le grandi immagini dei film che fecero epoca come “Da qui all’eternità”, ma anche quelle del terribile, apocalittico  “fungo” sospeso per sempre nel cielo , che mietè tante vittime innocenti.

Una biografia musicale
Ci sono in questo libro momenti e immagini descritti da uno che sa cos’è la bellezza che salverà il mondo di memoria dostoevskiana , l’arte, lo spirito di solidarietà, e – soprattutto- cos’è il volto umano e il cuore dell’uomo. Sa che la lontananza non è solo una questione di spazialità, ma un mistero, una strada infinita: per scoprire cosa? Non lo sappiamo. Ma quando il viaggio si fa vocazione, ti entra dentro quasi come sistema di vita, o oasi privilegiata  ( Giuseppe dedica tutte le sue ferie ai viaggi), scatta qualcosa , l’anima tutta è tesa verso una meta , insiste in un atteggiamento senza contorni, Non c’è nessuna possibilità che tu faccia marcia indietro. Ti divora quella sorta di paesaggio che insegui come una biografia musicale, una tastiera immensa che ha mille suoni, mille note diverse che producono su di te un effetto ipnotico, che ti proietta in una reatà diversa, dove scopri che esiste un sensibilissimo equilibrio tra la forza sensibile e quella intellettuale. Sulle tue spalle arde una bianca camicia di stelle e in questa fusione delle stelle con una figura umana, lo spazio è completamente soppresso. “Il corpo di una montagna esita alla mia finestra”

Passeggiare sull’acque come Cristo
Sei un essere diverso, nuovo, dinamico, teso, attento a ogni minima variazione, come preso dall’incantamento nella porofondità della natura. Cogli il grido dei venti, la carezza della pioggia, ti si risveglia una nuova coscienza, più chiara, più netta, più lucida.  La maggior parte dei suoi viaggi narrati in questo libro, Micronesia, Isole Salomone, Magadan, Birmania, sono come anelli di un’opera unitaria, i paesaggi divengono immateriali intrecci di tensione, nasce un vuoto nello spazio figurativo, rosse catene, conchiglie, un cerchio invisibile dentro il blocco dell’aria. l’aspettazione di spuma, l’ascesa, la grazia del vento,  la bianca totale perenne assenza di logica, l’impulso di visioni primordiali  la gola delle scimmie, la spada spezzata, i marinai uccisi, i Mitsubishi Zero del Sol Levante, l’Ananda Pahto, il gigantesco Buddha, le mangrovie che ti inseguono fin dentro l’anima del fiume e tu puoi passeggiare sull’acque, come Cristo, le ballerine scolpite nelle mura di Preah, la mezzaluna fatta di corde. Un legame d’intrecci con metamorfosi assurde , nostalgia e mistero, donne inginocchiate con le teste appese alte nel crepuscolo, i teschi dei guerrieri sull’altare di pietra. E’ come una poesia magica e terrifica allo stesso tempo, un velo, un confine  sottile tra apocalisse e immobilità, una barca sul mare guidata dal vento, un potere sonoro, il tema amore e morte che è in tutte le cose, le grandi metafore, le grandi scoperte, l’assoluto. Che è luce e perfezione geometrica, angeli le cui palpebre gocciano vermi, corridoi murati,  fioca litania e  l’emozione che spinge alla corrispondenza oggettiva.

Il ricordo perfetto
Tu non ti conosci, tu sei solo un mucchio di immagini infrante, un mosaico da ricomporre,  e alla fine raccogli questi frammenti di storia, di memoria , di immagini sbiadite rimanendo appoggiato contro le tue rovine. Ma con i giorni di Hionara, con la poltiglia rossa tra i denti delle donne che masticano la dura noce di Betel,  le bolle colorate del tuo respiro nella pancia del mare, il lento drago tra le tende di Tetepare, potrai tornare , intatto, a fare trekking sul vulcano Kolombangara, o a ricevere, scalzo e a petto nudo, l’eucarestia da un vescovo italiano di Gizo , nelle isole Salomone. E iniziare a programmare un nuovo viaggio, per una nuova storia da raccontare, conservando  nel tuo scrigno delle memorie il ricordo più prezioso. In fondo, dice lui stesso, si viaggia alla ricerca del ricordo perfetto, “come se fosse compreso, liofilizzato, ibernato, come se fosse un dato a cui non intendo assolutamente apportare modifica alcuna e che deve restare immutato nella sua perfezione e immutabile ogni volta che lo richiudo”. Ma per tornare alla metafora iniziale, il secchio del cavaliere rimarrà sempre vuoto, come segno costante di privazione e desiderio di ricerca. Tornato a Itaca-Gallipoli, è comunque “necessario tornare a navigare”, come Ulisse, e quindi ancora un altro viaggio , tanti altri viaggi finché ci saranno passaporti da consumare.

Roma, 11 novembre 2018
Augusto Benemeglio

Titolo: Sette passaporti
Autore: Giuseppe Caridi
Prezzo copertina: € 18.00
Editore: Diabasis
Collana: Fuori collana
Data di Pubblicazione: settembre 2018
EAN: 9788881039142
ISBN: 8881039141
Pagine: 233

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