Recensione: Giovanni Lucchese – La sete


Ho avuto modo di apprezzare la capacità narrativa di Giovanni Lucchese con L’uccello padulo, una storia generazionale fatta di mancanze e di eccessi.
La Sete, è una grande conferma della capacità di Lucchese nel descrivere disagi estremi, di rabbia represse, di mostri che ti divorano dentro, se non alimenti la loro “sete”.
Nel libro di Lucchese, i capitoli si alternano: un Lui e una Lei si raccontano, via via fino alla fine, un Lui e una Lei che possono rappresentare chiunque, due persone che hanno dentro un mostro e che esplode con rabbia verso il mondo, rappresentato da un altro essere o cose inanimate poco importa, è il mostro che reclama vendetta.
Lui, un uomo qualunque con una vita privata perversa, fatta di incontri occasionali con uomini che domina con estrema crudeltà.
Lei, una donna “bene” solo per aver sposato un uomo molto ricco e di potere, il prezzo da pagare? Essere vittima del suo carnefice. Riverserà tutta la sua noia e rabbia verso i suoi sottoposti.
Due vite parallele, due anime nere che si incontreranno solo per colpa di un evento tragico.
Questo non è un libro che ti accarezza. La Sete è un libro che ti schiaffeggia, l’autore non ha remore nell’usare il giusto linguaggio per le scene che fa vivere, senza giri di parole e senza filosofeggiare troppo. È un viaggio dentro i meandri di anime nere e l’unico modo per affrontarlo è prepararsi alla crudezza della realtà.
A fine lettura una domanda viene spontanea: Cosa nasconde ogni essere umano dietro all’apparente vita normale? Quali sono i mostri o le perversioni che vi abitano? Perché accade? Domando che non hanno una risposta semplice perché ognuno è parte indelebile del proprio vissuto.
Confermo il mio grande plauso all’autore, non è facile toccare certi argomenti senza cadere nel banale. Non è facile narrare come se gli avvenimenti stessero accadendo in quel momento, non è facile far sentire il dolore sulla pelle del lettore come ha fatto Lucchese.
Lucchese: una bellissima Penna

Titolo: La sete
Autore: Giovanni Lucchese
Prezzo copertina: € 15.90
Editore: D Editore
Data di Pubblicazione: novembre 2020
EAN: 9788894830552
ISBN: 8894830551
Pagine: 226

Citazioni tratte da: La sete di Giovanni Lucchese

L’ignoranza non è una benedizione, ma a volte para il culo.
Avessi la pazienza di farlo, e lui orecchie buone per starmi a sentire, spiegherei alla Troia che la vita è ben altra cosa.
È un po’ come cadere, volare a peso morto in un pozzo nero dove non c’è luce, ma solo aria gelida che ti scorre sulla pelle. Allungare le mani in cerca di un appiglio, scalciare senza un preciso motivo, solo per sentirsi ancora vivi e padroni del proprio corpo.
Urla di terrore ma anche di euforia, certi di trovare un fondo, da qualche parte più in basso, che fermi la caduta.
E mi sembra quasi di vederlo, ogni tanto, quel fondo. Qualcosa che emana una luce debolissima ma accecante in un’oscurità come questa.
È soltanto un gioco d’ombre nel quale continuo a urlare.

La mia vita è un pozzo nero. Una caduta che non finisce mai.
L’urlo che mi accompagna sempre.
E’ lei la bestia, la carestia, il diavolo rosso.
La sete.

La sete non conosce limiti o vergogna, ma niente riesce a placarla, quanto un paio di tette battute in faccia e una fighetta depilata e umida, il deterrente numero uno per la mia dipendenza di sesso.

Il buio nasconde demoni e mostri. Non c’è male peggiore di quello che non conosciamo, non esiste un diavolo più amico di quello che teniamo sempre al nostro fianco.

Dell’amore non so niente, ma credo che quando ami qualcuno devi diventare il suo ere, migliorargli la vita, difenderlo a ogni costo anche quando sai che ha torto, farlo sentire protetto e prezioso, costruire un nido fatto di carne e anima nel quale possa venire a rifugiarsi quando la vita sta tirando troppo la corda.

Affannarsi e correre tutto il giorno senza un motivo reale, girare in cerchio attorno a qualcosa che non capiamo, tirare avanti la carretta con un lavoro che ci deprime, far finta che tutti gli affari a cui andiamo incontro durante l’arco intero della nostra vita ci interessino anche solo minimamente: tutto questo acquista un significato solo nei brevi attimi in cui ci diamo dentro come sto facendo io adesso.

Ciao mamma, esclamo con troppa euforia attirando la s attenzione. Mi vede e il suo sorriso si allarga rivelando una storta di denti gialli mentre spalanca gli stessi occhi azzurri dolcissimi di sempre, l’unica cosa rimasta viva sul teschio secchito che una volta era la sua faccia.
Smuovevano le montagne quegli occhi. Ora sono a malapena in grado di mettermi a fuoco.
Come sempre sento qualcosa sgretolarsi dentro di me, torno a essere il bambino di cinque anni che dipendeva in tutto e i tutto da quel sorriso, e che aveva paura di ricambiare il saluto le persone senza la sua mano sulla spalla che lo spingeva a farlo.
Oggi mi sento vecchio, malato e così stanco da non avere più voglia neanche di guardare l’orologio. Sono una carcassa ammuffita, un’anima nera chiusa in un corpo in decomposizione tenuto in vita da un filo così sottile che sta per spezzarsi lasciandomi volare via per sempre in un cielo scuro senza fine. Un cielo che incombe sempre di più su di me e che sembra stia per inghiottirmi da un momento all’altro.
Provo fastidio verso questa vecchia morente che mi tiene in chiodato qui a guardarla agonizzare, mentre quello che vorrei fare è uscire, muovermi, andare a caccia di qualcuno. Lo Zingaro ha risvegliato la sete invece di placarla. È come l’eroina, ogni do serve soltanto a farti desiderare di più quella che ti farai dopo.

Anche lei ha una bestia dentro, tale madre tale figlio, ma la sua carnivora e ormai è dappertutto, non si sa neanche da dove sia partita e anche se lo sanno comunque non me l’hanno detto, tanto cambia poco. Le è entrata nelle ossa, scorre nelle vene, sta anche in quei suoi occhi che continuano a fissarmi come se fossi la cosa più preziosa al mondo. La guardo e mi sembra di vedere sue cellule malate e impazzite prendermi per il culo dietro al sottile strato di pelle che mi separa da loro. E ‘una strada a senso unico, questa.
Non scherzano questi mali, si vedono con le lastre, quelle racchie scure che sembrano ombre sulla carta lucida ti sorridono mentre le guardi, sembra che vogliano dirti hai visto, povero idiota? Ho fregato pure te, che pensavi toccasse solo gli altri.

Anche mia madre girava per casa tutta la notte, non dormiva mai. Aspettava che i rumori in strada le dicessero che non era l’ultimo essere umano rimasto sulla terra, che il resto del mondo si svegliasse allineandosi al suo bisogno di sentirsi viva. Oggi passa dal sonno a una veglia annebbiata fatta di dolore e delirio, gli unici pensieri che le passano per la testa sono vaghi ricordi di episodi inutili appartenenti al passato e il bisogno continuo di un’altra dose di antidolorifico.

I vecchi tempi sono sopravvalutati, il passato ci sembra sempre migliore di come in realtà era.

È nei momenti d’emergenza che riconosciamo i nostri limiti, l’ansia è una luce che si accende sui nostri difetti permettendoci di guardarli meglio, individuarli, studiare un piano d’azione per smussare gli angoli.

Sono uno che gioca in riserva con la vita, mi muovo sempre all’ultimo, un attimo prima che sia troppo tardi, a volte qualche secondo dopo.

Non indossare nessuna maschera è la maschera più difficile da indossare.

E sì, lo so che non siete voi ad aver massacrato la ragazzina tanti anni fa ma non fa niente, oggi avete pagato per qualcun altro. L’universo funziona così.

Noi esseri umani non saremmo in grado di sognare se i sogni non fossero fatti di una materia così fragile e cosi incline all’essere infranta. Adoriamo le cose più facilmente distruttibili, ci innamoriamo delle idee più vaghe, desideriamo più di ogni altra cosa quella che è più facile distruggere.

Che una catena diventa d’oro, se la avvolgi intorno al cuore, proprio come una cintura di cuio può regalare la salvezza eterna quando la stringi attorno al collo giusto.

Gira come una ruota ‘sta vita di merda. Prima o poi arriva per tutti.

Katia Ciarrocchi
© Redazione Lib(e)roLibro

 

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