A cura di Renzo Montagnoli
George Orwell, pseudonimo di Eric Arthur Blair, nasce in India, a Mothitari il 25 giugno del 1903, in una famiglia di bassa nobiltà che cerca di conciliare, non sempre riuscendovi, il proprio ceto con le poche risorse economiche.
Questa situazione avrà un peso notevole nella vita del giovane George, soprattutto quando intraprenderà gli studi in Inghilterra in un college dove la sua condizione sarà oggetto di scherno. E’ probabilmente lì che nasce una visione distopica della vita e che si accentuerà frequentando l’Eton College, dove, fra gli insegnanti, avrà la fortuna di incontrare un personaggio carismatico e con analogo atteggiamento nei confronti dell’umanità come Aldous Huxley. Alle sue opere, infatti, si ispirerà scrivendo 1984, probabilmente il suo romanzo più conosciuto.
Lasciati gli studi nel 1922, torna in India, dove si arruola nella Polizia Imperiale in Birmania, un’esperienza che lascerà un segno indelebile nel suo animo, nel contrasto quotidiano fra la funzione repressiva del suo incarico e la visione disgustosa della politica inglese nei confronti delle colonie.
Resisterà solo circa sei anni, poi si dimetterà, senza riuscire a trovare un’altra occupazione e vivendo di stenti a Parigi, dove si adatta a lavorare come lavapiatti in alcuni ristoranti, ma trovando anche uno sfogo alla dura realtà con la passione per la scrittura, che inizia proprio in quel periodo.
Non è ancora il grande autore che conosciamo, però vengono messe le basi, tanto che il suo primo romanzo, Senza un soldo a Parigi e a Londra, a cui ha lavorato dopo essersi nuovamente trasferito nel Regno Unito, verrà pubblicato nel 1933 con lo pseudonimo di George Orwell.
In verità, già nel 1928 esordisce come saggista e, l’anno successivo, comincia a scrivere recensioni per alcuni giornali inglesi. Il periodo di disagio economico si allenta solo nel 1932, quando a riesce a trovare un’occupazione come insegnante in alcune scuole private, perché gli introiti di saggista e recensore riescono appena a garantire la sopravvivenza. Non sarà l’unica occupazione della sua vita, piuttosto variegata ed errabonda. Infatti dovrà abbandonare il lavoro di insegnante per motivi di salute per diventare commesso part-time in una libreria, ma poi diventa anche negoziante di generi alimentari, unitamente alla compagna che sposerà nel 1936, anno in cui lascerà l’Inghilterra per correre in Spagna a combattere per i Repubblicani. Ferito e incapace di trovare una collocazione politica nel fronte antifranchista ritorna a casa nel 1938 e scriverà un diario di grande valore (Omaggio alla Catalogna) in cui accusa i comunisti spagnoli, legati mani e piedi al regime staliniano, di aver tradito lealisti ed anarchici.
Scoppia la Seconda Guerra Mondiale e vorrebbe arruolarsi, ma la sua domanda viene respinta per inabilità fisica. Lavora allora alla BBC per una serie di trasmissioni di propaganda indirizzate soprattutto all’India. Con la fine della guerra inizia il periodo più fecondo come scrittore, ma più disastrato dal punto di vista familiare. Gli muore la moglie nel 1945, riesce a risposarsi e forse si potrebbe presentare una parentesi di relativa serenità, ma il fisico di George è duramente provato dalla tubercolosi che lo porta alla morte il 21 gennaio 1950.
Cosa ci resta di lui?
Ci restano le sue opere, poche, ma di grandissimo valore, con quella sua visione distopica e una fiera e convinta avversione a ogni totalitarismo. Orwell ci insegna che gli uomini restano liberi solo se possono esercitare un forte spirito critico, solo se diffidano delle facili promesse, dei paradisi terrestri che altri ben confezionano a parole. E’ una lezione non solo legata all’epoca in cui visse, ma globale, memore anche dell’oppressione coloniale inglese che ebbe a verificare e a sostenere, suo malgrado. Orwell è consapevole del potere occulto della parola, della sua persuasione praticata attraverso i mezzi di informazione, da un linguaggio utilizzato per addormentare le coscienze.
Alla luce di quanto sta accadendo si può tranquillamente affermare che non avrebbe potuto essere più profetico di così.
Ho scritto prima che ci ha lasciato poche opere, ma tutte di valore.
Così è Fiorirà l’aspidistra, romanzo del 1936 ambientato nella Londra degli anni ’30, in cui il protagonista è un ribelle a tutto campo che combatte contro il mondo comandato dal denaro. Incerto nelle sue scelte, incapace di convivere con la realtà, sarà un evento come la nascita di un figlio che lo riporterà a una vita meno idealistica, per quanto improntata a compromessi, quasi una sconfitta del cuore, ma non della ragione.
La fattoria degli animali è del 1945, un testo satirico che è una riuscitissima allegoria del totalitarismo sovietico nel periodo staliniano. Indubbiamente l’esperienza spagnola lasciò un segno notevole, considerando che politicamente Orwell potrebbe essere inserito nel laburismo, cioè in un socialismo democratico in cui convivano iniziativa privata e solidarietà.
Resta il fatto che La fattoria degli animali, al di là della satira del comunismo staliniano, è anche una sorta di favola da cui si evince che tutte le rivoluzioni, non appena terminate, finiscono con il trasformarsi in regimi, venendo così tradite.
Si elabora così anche un concetto della necessità di una rivoluzione permanente che, nell’ottica democratica dell’autore inglese, si concretizza nel dover continuamente vigilare per non tradire le premesse, nel conservare un attento spirito critico al fine di evitare involuzioni. Più che una rivoluzione permanente è la conservazione continua dei risultati raggiunti nella lotta contro ogni assolutismo, lavoro indispensabile perché è nella natura umana che ci siano individui disposti a sacrificare gli altri per i loro interessi, una visione chiaramente e definitivamente distopica.
1984 è il romanzo più profetico di Orwell, con quella visione del pianeta diviso in tre grandi zone, ognuna dominata da una potenza totalitaria, sempre in guerra fra di loro, onde poter mantenere un controllo assoluto sui loro sudditi.
Ognuna è governata da un partito unico, a cui fa capo un invisibile Grande Fratello, che sa tutto di tutti e ne regola continuamente la vita.
I sudditi lavorano solo per il minimo di sussistenza, ma soprattutto per ingrassare il partito.
L’unica forma di pensiero consentita, anzi imposta è il Bispensiero, che esige che la mente si adatti senza il minimo contrasto alla realtà che viene presentata dal partito. Anche il linguaggio non è più tale, ma un insieme di parole che hanno un’unica accezione che finisce con il limitare il significato ai concetti più elementari, rendendo così di fatto impossibile uno spirito critico.
La storia, la letteratura e tutte le arti umanistiche vengono riscritte secondo le direttive del momento indicate dal partito. Soprattutto si perde la memoria, di ciò che si era e di ciò che è anche appena accaduto, un regresso dei sudditi a uno stato quasi vegetativo, una visione impressionante che purtroppo si sta materializzando.
Orwell ci aveva avvertito, abbiamo letto e abbiamo considerato i suoi romanzi solo come il frutto di una grande fantasia, ma il tempo che passa ci rivela ogni giorno che aveva saputo vedere lontano, una Cassandra, e come tale rimasta inascoltata.