Francesco Zero poeta della materia


A cura di Augusto Benemeglio

1. La scoperta della materia

Il dono di Francesco Zero “è l’arte di rappresentare il movimento nelle sculture.”. Così scrive Chaterine Laleuf , Presidente della Weschester Accueil di New York , dove Zero ha recentemente esposto le sue opere . Ed è vero. Basta guardarle queste sculture per vedere quanta forza, quanta energia, quanto dinamismo, quanto desiderio sfrenato abbiano di uscir fuori dalla creta, dal gesso, dal bronzo, dal legno , dalla cera, dalla materia , e raggiungere quella libertà di movimento che è anelito di tutte le creature viventi ; libertà di esprimere la propria vitalità corporea , la danza , il balzo , il proprio grido di gioia , il primo albore trionfante , o l’ultima notte d’amore , volare in un gran concerto universale , con la musica delle stelle e dei pianeti . Ed è questo probabilmente il sogno ricorrente di Francesco bambino, a Ginosa , con la sua grande voragine , le correnti di farfalle bianche e le chiese rupestri lungo le pareti del burrone , rincorrere quelle farfalle , danzare, correre, saltare, superare il centro di gravità , “fuori , – come dice lui stesso – da ogni schema di equilibrio costante”, fare esercizi alla sbarra, diventare un equilibrista, arrampicarsi in cielo, diventare messaggero alato, Pegaso o Gabbiano Johnatan , farsi Icaro o Nike vittoriosa , nel plastico volo, e salire su su nel cielo, dimenticando ogni ostacolo e barriera, dimenticare le odiate scale, che non riuscirà mai veramente a salire. E tuttavia tutte quelle cose che gli erano ( e gli sono) precluse , lui le ha realizzato con l’arte figurativa , che è la contemplazione delle cose nel tempo sospeso , ricerca del movimento , e gli offre la possibilità di una più diretta partecipazione emotiva , rispetto alla pittura che aveva praticato con buoni risultati.
Il suo incontro con la materia ( creta, gesso, cera, bronzo) è stato per lui una scoperta sconvolgente e coinvolgente , totalizzante, ossessiva, la possibilità di diventare creatore di sogni, un lungo esito , una galleria di sogni- rifugio , sogni-riscatto , ma anche di incubi, sogni-dramma ( “forse noi siamo solo un sogno di altri, ma se così fosse, ti prego, Iddio, non smettere mai di sognarmi ) . Sì, il sogno è il nostro rifugio ,ma anche il nostro dramma . E allora ecco l’argilla , “pasta informe, e principio di ogni cosa , grumo colloidale grasso nella sostanza e untuoso al tatto , umida spugna terrosa e incoerente , venata d’azzurro o grigiastra” – scrive Paolo Andreocci – che , nelle sue mani , si fa respiro, vita , creazione . Ed ecco nascere –scrive Ivana Tanga – piccoli drammatici uomini che ruotano senza requie nelle cosmogonie , un vero e proprio inno al principio di essenzialità . A leggere nei volti dolenti e pensosi di queste piccole figure di terracotta o bronzo , intense, scarne , nervose, tese, si ricapitola l’antico dramma della condizione umana , l’eterno conflitto tra essenza e apparenza, tra natura e spirito.

2.Lo scultore è ombra, anima e statua.

Zero sa che il miracolo delle cose visibili è un’apparizione subitanea continuamente mutante nel trascorrere del tempo, sa che fra un attimo il lampo rosso di un riflesso, il clic di un gesto, o di un respiro non ci sarà più perché sarà cambiata l’incidenza della luce, sarà cambiato , nell’inarrestabile flusso del tempo, lo sguardo stesso dello scultore , e il suo pensiero sarà volato via. Sa che per fermare il “miracolo” dell’apparenza fenomenica e consegnarla all’ eternità , che solo l’arte può garantire, bisogna fermare il tempo, catturare definitivamente quella realtà, quel momento supremo di “verità” che sta dentro ciascuno di noi. “C’è un legame molto stretto – dice Francesco – tra la terra e il mare, tra il bianco e il nero, tra l’uomo e la donna; eppure sono anche, e soprattutto, l’uno il contrario dell’altro. Sempre attratti, sempre in lotta. Quel legame forte individua, in modo evidente, il punto di contatto fra i due estremi ricorrenti e l’attimo fuggente della vita. L’oscuro senso si annida da sempre in quel momento… unico, disperato, in quel momento… immortalato. Con le mie figure ricerco quella frazione di tempo, cosparsa di contrasti e attrazioni, di parallelismi e di linee spezzate, di passaggi e di ostacoli nei quali si riflette ripetutamente, come in una danza della vita, la realtà di ciascuno di noi”.
E la realtà è fatta di dati della memoria e quelli dell’esperienza che si accavallano , sovrapponendosi in una continua metamorfosi che li proietta nella dimensione onirica, nei misteriosi parametri dell’inconscio , o nei mitici meandri della cultura classica , o nel recupero dell’infanzia in cui compare il sentimento del gioco, della festa, del rito; il gioco , che ha il potere magico di sospendere il quotidiano, di annullare il tempo, evadere la realtà e ricrearla con la propria fantasia , tracciando nella mente nuove sigle di un rito cosmico , un’evocazione cerimoniale , un’inversione di valori, una dimensione tutta spirituale . E tutto ciò si può leggere nelle sue opere, come in uno specchio della memoria , come una sorta di album , una ricapitolazione delle sue esperienze reali o sognate , un casellario dell’anima fatto di creta, di cera, e di bronzo..
“Nella creta – scrive Simonetta Serangeli – l’artista lenisce i suoi tormenti, cerca e trova il sito d’ideale congiunzione tra ansie spirituali e tensioni materiali. E i suoi bronzi – aggiunge Michelle Schuller – sembrano palpitare per una intensa spinta interiore e contagiare con il loro irresistibile movimento chiunque ad essi si avvicini.”
Quando parla delle sue “opere”, Francesco è tenero e mirabile , è come un dio che parla delle sue creature, dà pieno il senso del suo innamoramento per la materia, della sua felicità creativa . E’ difficile dire da dove discenda la sua arte
E’ un insieme di fattori concomitanti , che sono propri dell’uomo, e che sono universali come i temi che affronta l’artista avellinese: dalla riflessione sulla fragilità e la solitudine, al sentimento di angoscia, di sconfitta , di scacco, di fallimento , per arrivare all’anelito di fraternità, di afflato universale , o al desiderio di riscatto e superamento del limite invalicabile dell’uomo. “Giorno e notte ,dentro l’argilla grezza/A cercare il mio passato./Bollono sangue e calce ,gemiti , aliti , sospiri/Ecco le curvature del globo /E le ferali forme di tigre e pantera in agguato /Nascono ombre, figure , gesti , /mani che s’intrecciano, danze eterne/Ecco l’impronta del piede umano/ Sotto la magnolia alta possente scura /Funamboli che formano un cerchio /Coi loro corpi scarni e i volti aguzzi /E il sogno di lei , fiore aperto sull’avvenire/Lei bella, con l’anima bionda che beve la memoria/ Lei misteriosa e innamorata che insegue il vento

3. La figura umana

Ci chiediamo, Chi sono i suoi modelli, gli artisti che lo hanno ispirato e guidato in questo suo percorso ultratrentennale, in questa ricerca senza confini che continua a fare, incessantemente, senza sosta ? Alcuni li elenca lui stesso quando parla del piacere che prova nell’avere contatti diretti con il pubblico che viene alla sue mostre e che ama soffermarsi , capire, domandare. “Invidio con tutte le mie forze chi ha potuto parlare con Klimt, con Picasso, con Schiele, con Giacometti. E sono tutti nomi non a caso , riferimenti precisi al suo lungo studio, alla sua arte, vuoi per la decorazione ( Klimt) , per la trasgressione , la scomposizione , o la sfida contro i baricentri (Picasso) , per la contorsione e scarnificazione dei suoi personaggi. (sia Giacometti che Schiele) Noi possiamo collocare indicativamente la sua arte , senza rischiare di essere troppo arbitrari , nel quadro di quegli artisti della “New Images of Man “, della fine degli anni ‘50, parlo dei Bacon, Ferroni , Freud, Giacometti, Moore, Romagnoni, Sutherland, che erano giganti di solitudine , veri e propri eroici umanisti della contemporaneità , accomunati da nulla se non dall’oggetto della loro attenzione: l’uomo, la figura dell’uomo.
Come tutti i veri artisti , è anche cronista e storico del suo e nostro tempo , e quindi i suoi piccoli drammatici uomini riflettono giocoforza il nostro malessere esistenziale , il nostro sentimento di straniamento, abbandono, incertezza, paura dell’avvenire. Zero ha una sua peculiarità , una sua precisa connotazione, una sua poetica ben definita, una sua “unicità” come testimonia Chaterine Laleuf: “Francesco è unico, le sue sculture rappresentano esse stesse il movimento, lo spazio, l’accelerazione…la stessa vita. Gli animali sono lottatori, corridori; le coppie si lanciano verso l’alto, danzano con grazia”.
Ma c’è di tutto nelle sue sculture: preghiere e imprecazioni, accuse , amicizie , tradimenti, arcobaleni , lacerazioni, prigioni, sogni, aquiloni e danze , angosce e addii , miti ed eroi, cavalli possenti e fischi nel buio , cenni di tosse di un dio inquieto impegnato costantemente nella creazione , giorno dopo giorno , un dio in limousine con gli sportelli abbassati per far entrare un’aria diversa, un’aria nuova, dopo tanto smog , un’aria che porti il fresco di tutto l’universo, ma anche la litania e la cenere degli ultimi fuochi , il rosario colorato e frenetico della samba di un ultimo carnevale carioca , il respiro dell’ultima notte d’amore , e quello della luna leopardiana che si scioglie lenta e tramontante nei canali asfissiati.
Ma c’è soprattutto l’uomo. La figura umana.”Le sue figure, i suoi gruppi di figure – dice Franco Palombo – sono miracoli che vivono tra noi, si staccano dalla materia .Nella dimensione umana si sublimano ricreando il gesto della magia dell’arte” , gruppi plastici che – conferma Simonetta Serangeli “sono animati da sottile e vibrante inquietudine, esemplificata dai profili irregolari delle superfici, quasi mai levigate, o piuttosto dal moto imprigionato nelle membra di un uomo in movimento o di un cavallo al galoppo. Nella materia l’artista lenisce i suoi tormenti, cerca e trova il sito di ideale congiunzione tra ansie spirituali e tensioni materiali.. Sono – conclude Toni Bonavita – un vero e proprio inno al principio di essenzialità, capace di tradurre la materia in essenza, l’apparenza in sostanza, la forma in vita, la realtà in sogno e danza.

È dove fiorisce/l’albero di neve/ e fa palazzi d’argento/ e bianche pianure,/ è dove si perde/ la nebbia del mattino,/ è dove sono io./ È dove sfuma l’alba/ con gli anni veloci/ ed ha il profumo dei fiori/ e l’erba che cresce,/ dove troverò la traccia del mattino, / che cosa ne farò/ del tempo che verrà./ Dolce sogno dov’è la realtà?/ Dolce sogno dov’è la realtà?/ la felicità tiene per mano il dolore/ed insieme danzano in punta di piedi.

4. La danza

Diceva Paul Tillich , noto critico d’arte, che ogni periodo ha una sua particolare modalità per rappresentare l’uomo. Quando nell’arte astratta la figura scompare completamente , ogni persona è tentata di chiedersi cosa sia successo all’uomo. Cosa siamo diventati?, cosa è accaduto delle nostre vite? L’umanità non è solo qualcosa che l’uomo ha . E’ qualcosa per cui l’uomo deve combattere nuovamente ogni volta …E gli artisti come Zero rappresentano queste tracce di battaglia per il ritorno della figura umana . Essi combattono disperatamente per la rinascita della figura dell’uomo, che è sofferta, segnata duramente da questa riconquistata umanità, e suscita fascino e sgomento, grande emozione e disagio nell’osservatore . Francesco Zero ci comunica la propria umanità , minacciata, ma sempre in lotta, e vittoriosa nella ricerca della danza, della poesia , dell’amore di quei piccoli uomini e donne dai volti intensi , fasciati di solitudine e di silenzi , che vengono da un tempo e da uno spazio lontanissimi.
E’ evidente il richiamo poetico alle piccole sculture deformate , filiformi , di Alberto Giacometti , straordinario cantore della fragilità e della resistenza dell’uomo ( La mia difficoltà a fare l’uomo è la medesima difficoltà dell’uomo a salvare se stesso) . E tuttavia ci sono differenze stilistiche marcate
Giacometti è molto più surrealista nel plasmare le figure, Zero rimane nel solco della tradizione e del classicismo, con richiami all’arte rinascimentale., Zero fa danzare le sue figure, mentre Giacometti le lega fortemente alla terra , ai suoi basamenti esagerati.
Per Zero la danza è – sono parole sue – “ fuori da ogni schema di equilibrio costante. Pulsante anche nell’attimo del fermo assoluto. Tendente ad elevarsi nella ricerca del salto più lungo, più acrobatico, più improbabile. E’ movimento voluto, cercato nel disegno della figura, irreale nella passione, drammatico nella gioia. Più vicino al volo dell’uomo. Più evidente della liberazione, più liberatorio di un pensiero felice”.

5 Il linguaggio dell’anima.

Per concludere va detto che l’opera d’arte è anche l’espressione di un evento visivo il cui obiettivo è quello di portare il fruitore in uno stato di immedesimazione , ossia di empatia, o di coinvolgimento psicologico che si attiva come estensione mentale. E le strutture visive del pensiero si attivano attraverso i simboli del codice dell’opera d’arte , in questo caso , oltrechè l’intensità dei volti , lo sviluppo architettonico , le forze geometriche e le linee di orientamento della composizione, la ricerca del movimento che è dato essenziale di ogni sua opera. Dice Zero: lo sviluppo architettonico dei miei ultimi lavori affronta il contrasto evidente tra linee curve e linee rette . L’inserimento di linee rigide , rappresentate nelle opere di danza dalla barra di appoggio , concede forte risalto alla linea curva affinché il movimento riacquisti decisamente il ruolo di protagonista assoluto . La sfida contro i baricentri è l’ulteriore elemento di ricerca che si aggiunge al costante obiettivo di eliminare ogni piccolo elemento di staticità .
E ci riesce benissimo , con quelle linee curve che danno sensazioni di caldo, e dinamismo , alternando momenti di tensione e distensione, carattere di forze contrastanti e di energia che si attiva fra gli elementi di ogni sua composizione. E poi c’è il gesto , che nasce dall’ improvvisazione , che è esplosivo,; c’è tutta la mimica e l’icona del gesto che tracciano confini e caratteristiche del personaggio, con le sue potenzialità espressive , e si configurano nell’architettura della finzione come l’oltre lo spazio , un reinvenzione del linguaggio del corpo e dell’anima.
Gli è stato chiesto perché tutte le sue figure sono nude. E lui ha risposto. Non lo so. E pure era semplice dare una risposta. Per questo poeta della materia, le figure sono la sua anima , e l’anima è bella solo quando è nuda.

Augusto Benemeglio

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