Fabrizio Centofanti – Prêt(re) à porter


A cura di Augusto Benemeglio

Pret(re) à porter – Il vangelo secondo Fabrizio Centofanti
1. E’ uno sche scrive da dio.
In estrema sintesi potrei dire che “Pret(re) à porter- La vita in cinque righe“ di Fabrizio Centofanti, Effatà Editrice, 2010, è un libro “di uno scrittore cristiano, o meglio, un cristiano scrittore”, – come scrive il prefatore Tiziano Scarpa – “che provoca , aggredisce, costringe a combattere corpo a corpo con le placide certezze nelle quali troppo spesso finiamo per adagiarci “, come è detto nella postfazione di Riccardo Ferrazzi. Ma forse non basta, questo libro è qualcosa di più , o di meno, fate voi, una sorta di Vangelo secondo Fabry (vds. pag.58), dove capita di tutto, ad esempio che Dio non faccia la doccia il giovedì (vds.pag.59) e che noi “siamo passeri che entrano ed escono da una finestra senza tempo, sulla soglia di una memoria che, al primo battito d’ali, è già speranza.”(vds.pag.92) Noi che oggi siamo tarati sul disincanto , e cose come indignazione e compassione, solidarietà e speranza sono sponde dell’anima in disuso, sanno tanto di merci scadute; noi che guardiamo oltre e ci sentiamo un po’ rassegnati a tutto; noi che non abbiamo più fede e andiamo avanti per la nostra strada pieni di diffidenze incertezze paure; noi che siamo fragili memorie e sguardi tristi, e vediamo davanti a noi solo il nulla e il deserto. Ma poi capita che vai a sentire don Fabrizio, un prete di periferia, e ti dice cose nuove che non avevi mai sentito prima, ti dice che è proprio il deserto che ci unisce, è lì che ci ritroveremo tutti con “la danza delle nostre anime autunnali che attendono pazienti primavere”; ti dice che “la fede è per chi guarda la strada da fare e ne ha paura “.
Ti dice che “il paradiso forse è una dolcezza che chiede intervalli aspri”, ti dice che “ finchè non fa male il Vangelo non è quello giusto e che “dalla ferita nasce il nuovo”. Ed ecco allora che ti trovi davanti uno che ti dà la scossa , ti risveglia da un lungo sonno, da un assopimento dello spirito; Fabrizio è uno che ti entra subito dentro e ti tira fuori quella parte di te che ti fa pensare a quelle cose che avevi dimenticato in una specie di tasca dell’universo, una fessura dello spazio smisurato, oppure avevi lasciato in qualche stazione di servizio: indignazione, compassione, solidarietà, speranza. E pensi a chi ti sta vicino , che ti tende la mano, pensi agli altri, al tuo prossimo. Non è vero che l’inferno sono gli altri, è vero il contrario. Poi magari ti dicono che è roba da bollettino parrocchiale, perché ormai il cinismo della furbizia si è rosicchiato tutto ciò che non è lucida analisi, o zuffa preelettorale, e fanno sì che tutto sfumi immancabilmente in un trapezio bianco di ingenuità vagamente kitsch, una spruzzata di resipiscenza , una manciata di commozione a buon mercato e voilà. Ma non è così. Questo prete che sembra un angelo danzatore , lieve come una farfalla, forte come un arco teso, si è spezzato le ossa mille volte in segreto prima di presentarsi al pubblico; ha cercato lo sguardo del suo Dio prima di pronunciare quelle parole così piene di nuova energia. Non è un bluff. E’ un cuore puro, aperto alla speranza, è un vero, autentico guerriero di pace che vive in mezzo ai conflitti e alle sere senza rete. Convive con il dolore , con le ferite dell’anima, la solitudine, i momenti di abbandono e di disperazione , e ha come compagni di cordata certi poveri che fanno paura, rom accattoni rifiuti umani, e qualche persona di buona volontà . “Certe volte – dice – l’universo mi sembra un edificio fatiscente che sta cadendo a pezzi . E l’incubo è che tocchi a me tappare le falle , arginare la materia franante, puntellare le crepe che avanzano”. Dall’altra parte stanno le istituzioni, i potentati, le lobbies e quegli abituali mostri d’indifferenza che, spesso, siamo noi stessi e che – se non cambiamo – saremo giustamente puniti “ per non esserci commossi di fronte al debole che crolla fra le nostre risate”. Fabrizio è uno scrittore e lo è a prescindere, direbbe Totò. Uno che – dice lui stesso – scrive per sopravvivere : “…se cessassi di raccontare morireri all’istante” .
In realtà priverebbe noi tutti di un dono prezioso e raro , perché è così intenso, rigoroso , pieno d’energia, essenziale , poetico , uno scrittore speciale . Diciamolo pure , è uno che scrive da dio. E per capirlo basta sfogliare le pagine di quest’ultimo suo libro , questa specie di Vangelo secondo Fabry dove ci sono mille personaggi e tanti fatti straordinari – da Antonio il Barbone ad Agatino degli Ombrelli, il soldato suicida , la bambina dagli occhi verdi, da Mamadou a il pilota dell’Alitalia, Stefano Cucchi, Ruslana, il lavavetri , da Obama alla faccia di Gimondi, l’angelo che precipita, la casa dei falliti e le mani di Wojtila “ che si posavano sulla mia testa ingombra di sogni e mi lanciavano all’avventura” – , e non c’è pagina o rigo che non ti costringano a meditare riflettere sostare ripensare la tua vita e prendere posizione, partito, schieramento. Un’avvertenza: questo è un libro fatto di parole, come tutti i libri, ma certe parole sono “pezzi di vetro che aprono squarci improvvisi senza che nemmeno te ne accorga”.

2. Don Tonino e Teilhard de Chardin
E’ un libro vero, autentico, bello e implacabile , che squarcia il velo delle illusioni e s’apre ad improvvise epifanie. Frammenti lirici in ogni spigolo o lembo dell’anima, dietro le viscere del cuore, fanno da corona ad una vocazione irrinunciabile, al richiamo costante e ineluttabile del destino dell’autore , che è appunto quello di un “prete-à-porter”, ossia pronto all’uso, disponibile, prete per tutte le stagioni. In lui – ho scritto nel mio libro “Ritratti”, Terra d’Ulivi, 2009 -, rivedo un po’ il don Tonino Bello guerriero e profeta di pace , l’uomo tutto evangelico che andava a caricarsi i barboni e gli ubriachi nella città deserta e li portava al vescovado, provocando scandali ; colui che propugnò la “chiesa del grembiule” e la “convivialità delle differenze”, il poeta dell’ “ala di riserva”. Ma mi viene in mente anche Pierre Teilhard de Chardin, il Gesuita Proibito, ridotto al silenzio dalla chiesa, l’uomo che non rinunciò alla propria verità, l’uomo che tutto tentò, osò, e rischiò, perfino la propria (possibile) santità. Come loro, don Fabrizio è uno capace di trasformare il passato in avvenire, di cooperare per una marcia in avanti, – e questa accelerazione lo rende assai gradito e amato dai giovani, – ma è soprattutto uno che sa ascoltare il sospiro dei poveri , uno che sente, annusa, fiuta le verità di tutti i giorni, che vengono gettate nei cassonetti dell’immondizia, ma anche nelle sacrestie e nei confessionali , e poi queste verità , di solito, le annuncia sull’ambone, la domenica alle ore 11,30 dalla Chiesa di un sobborgo di Roma , San Carlo da Sezze, dove , dietro le barricate , ci stanno gli eroi, i martiri della fede e della libertà, che non hanno armi , ma solo “verità” evangeliche ed è per questo che vengono bruciati vivi come è toccato al suo maestro e padre spirituale, un altro prete-a-porter-, Don Mario Torregrossa, ridotto a vivere in carrozzella negli ultimi anni della sua non lunghissima vita.
Don Mario è morto il 30 dicembre 2008, a 64 anni, lasciando un vuoto incolmabile per tutti i parrocchiani e coloro che l’hanno conosciuto. Ma soprattutto per Fabrizio , che è costantemente lacerato da questa perdita , crocifisso dai ricordi (“le ferite aperte bruciano esattamente come prima”…”continuo a domandarti come stai , a litigare per i soliti problemi, ad alzarti dalla tomba per metterti a letto dopo cena “…”piango come un bambino”) ed ha come un chiodo fisso conficcato nel polso e nel cuore. A Don Mario è dedicato questo libro,( con la sua immagine in copertina ), ed è tutto ricolmo della nostalgia di questo vecchio grande prete carismatico, un’onda luminosa di ricordi senza fine, lui con la mano nell’aria che disegna percorsi, lui che arrotola il tempo come una vecchia bobina e fa lunghi giri per ritornare nei luoghi dov’era, per illuderci che nessuno di noi si sia mosso da lì , succede nei posti e nei momenti in cui siamo stati felici, lui che sorride con in mano ancora il mazzo di chiavi giuste , che odorano di bruciato.

3. Il giubbotto antiproiettile
Fabrizio è un poeta , uno che ha seguito fin da bambino quel filo tenue, magico e incantato che è la scrittura, “la zona di affondo nell’impasto di vita e eternità”, dice Tiziano Scarpa, un libro invisibile che registra tutto, perdite e guadagni , ma che è anche confessione, donazione, liberazione, isteria o catarsi . Potremmo dire con David Maria Turoldo che anche lui è uno che intinge la penna nel proprio sangue, uno che non può non scrivere di cose che sono carne della sua carne, sudore dell’anima sua , deposito che si porta dentro fin dala creazione del mondo. Ma è anche un prete rigoroso che non dimentica mai la lezione di don Mario , né il suo ruolo di cristiano, indossando sempre il suo giubbotto antiproiettile, un cartoncino nel taschino della camicia con su scritto: “Che senso ha dirsi cristiano se non si è disposti a morire per questa causa?”. E come prete dall’anima che è piena di energia , che vortica, che riscalda, che inevitabilmente abbbraccia, ecco che si fa lanciatore di rose, riempie il mondo di rose, a volte inutilmente. In questo libro che si fa di volta in volta racconto, ritaglio di cronaca, divagazione, memoria, impressione , riflessione , squarcio autobiografico, abbraccio improvviso e destabilizzante ,con sottotilo “la vita in cinque righe” , quelle della continuità, righe quasi tutte legate al filo di memoria di don Mario , righe della novità, che spaziano un po’ in tutti i settori dello scibile, frutto del suo incessante bisogno di perfezionamento morale, culturale e spirituale, righe di mondanità, ovvero la disposizione dell’autore ad occuparsi dei fatti che accadono nel mondo, ad affrontare sempre nuovi problemi e difficoltà; righe dell’alterità, angolazioni, punta di vista , antitesi di chi non è allineato. Fatti visti con gli occhi degli umili, dei reietti, dei diseredati, degli accattoni, dei barboni, del rom e del suo dolore antico , il rom dal cuore che non è mai fermo, ma batte , batte e non chiede a nessuno di vivere , del rom dalla casa di latta sotto un portico pieno d’aria, e di parole che non stanno mai ferme. Insomma , in questa sua resistenza al male. , in questo suo dire, scandire a chiare lettere, le verità, Fabrizio è assai gradito agli ultimi, ai diseredati , ai deboli, ai sofferenti, ai “drop out”, ma anche ai ricercatori di pace, agli assetati di giustizia, a chi crede nel riscatto dell’uomo. A chi crede nello sguardo di Cristo e non vive solo per se stesso.

4.L’oro del cuore
Fabrizio starà sempre – e lo scandisce a chiare note – dalla parte dei perdenti degli ultimi, di quei corpi rattrappiti e avvolti in vestiti stinti e impolverati, in quegli ammassi di rifiuti che tendono le mani ostinate, con cui si schiera invariabilmente, perché lì trova il santo bevitore, lì trova Cristo . In questo suo libro le parole – l’abbiamo viste e sentite – non si presentano a noi con i vassoi ricolmi di biscottini di Proust, né con le campane di Joyce, se mai ricordano vagamente i frammenti lirici di un Rebora , i frantumi di un Boine, i trucioli di uno Sbarbaro , tanto per farvi qualche esempio letterario . Ma sono parole, quelle di questo “Prete-a-porter, che arrivano dove devono arrivare , arrivano al cuore e aprono i cancelli della speranza.E’ l’oro del cuore che conosce che cosa chiedere , per una sua più vasta sapienza , oltre le intermittenze di fiducia della scienza e dell’arte. E lui le rafforza con quello che è ormai il suo motto : bisogna sempre avere il cuore aperto alla speranza…

5. Straordinario predicatore
Fabrizio è un uomo umile, debole, fragile, tende a scomparire, dice lui stesso della sua perenne stanchezza, ma dentro ha un suo fuoco, una sua energia , un suo orizzonte da palpebre socchiuse , un suo impegno forte di memoria, di transito, di fretta di vivere di più , di vivere a lungo , con amore , con passione, con dedizione, il gusto della vita, l’ebbrezza della libertà , il senso d’avventura e dell’infinito. E’ uno straordinario, eccezionale predicatore pieno di giocosa e malinconica tenerezza, ma anche pieno di forza e di fede, che ti trascina colle stesse parole del Vangelo , che si rinvigoriscono, si spandono, si estendono, acquistano profondità e certezze, diventano strade sicure verso la croce e la spada, la spina e la carne , ma anche si fanno musica azzurra, danno un senso – l’unico che conta – alla tua vita, e tu lo capisci anche quando lui è triste da morire e quasi ti viene da piangere, da mettergli la mano sulla spalla e dirgli, dai, Fabrizio, camminiamo insieme, in queste righe, in questi giorni, in queste notti della precariatà.

6.Un girotondo di mani intrecciate.
La scrittura di Fabrizio sta sempre nel cuore della notte ed ha un tempo andante, il tempo del paradiso. Sa essere limpida, cristallina, leggera; sa far passare la luce spalancando le lettere ad una ad una come l’oblò di una goletta in mare aperto. Le sue parole notturne volano, s’irradiano, raggiungono confini lontanissimi e invisibili, fanno breccia nel cuore di molte persone, anche quando sembrano nascere dallo sconforto, da momenti di malinconia angoscia e abbandono .Ma la domenica, alla messa, quando sale sull’ambone è uno che sa dire delle cose bellissime con un candore quasi fanciullesco, che apre distese, pianure, attese di silenzi e pantomime. Uno che ci mette l’anima, uno che ti fa un cocktail di neuroni e mescola sapientemente la sua saggezza e la sua cultura con la poesia, ora con l’ironia e l’umorismo , ora con lo sdegno , ora con la speranza, ora con un’ombra di una malinconica e disfatta tenerezza, ma sempre, sempre, in un abbraccio d’amore, un carosello di speranza. Ci fa fare a tutti una catena di amicizia, un arco , un girotondo di mani intrecciate, uno sperimento di comunione fatta lì per lì, con tutti, anche con quelli dalle mani sudate , mani nere o gialle, mani di chi non crede, o ha forti dubbi che esista un Dio, e non sa neppure perché viene in chiesa. E’ un vero pastore che conosce le “sue” pecore e le chiama per nome ad una ad una, è uno che rimane lì, sul fronte, con intrepidezza morale , con coraggio, con la fede di crede in quel che dice, e in quel che fa, nonostante i sacrifici, i fallimenti e le inevitabili sconfitte di tutti i giorni. E allora ripensa al suo destino. C’è chi non lo incontra mai il destino, e c’è chi lo vede andarsene un attimo dopo. Bisogna arrivare puntuali all’appuntamento con il destino, ma da che parte arriverà il destino?. Per lui il destino è don Mario Torregrossa, il prete siciliano martire della fede, che ha nello sguardo e nell’anima la dolcezza dei fichi d’india.

7. Trova sempre il tempo di pregare
Il mondo è pieno di gente in gamba, ma i creatori veri, quelli sono pochi, rari. Lui, Fabrizio Centofanti, lo è. Nel senso che prima di lui non c’erano quelle cose che lui quasi per magia riesce a evocare, o , meglio ancora, a trasfigurare. Erano cose noiose, trite e ritrite, stantie, lui è stato capace di ri-crearle come nuove, gli ha dato una nuova vita. Ma Fabrizio è – soprattutto – un uomo di Dio, che trova sempre il tempo per pregare, anche quando gli andrebbe di bestemmiare ; è uno che riesce a non cedere alla lusinga di una sua presunta onnipotenza, e quando vede la “sua” chiesa che si riempie come un uovo solo per ascoltare le sue omelie, (vengono da ogni parte per vederlo, per sentirlo predicare , scatenando invidie , gelosie , anatemi e qualche delazione). si tuffa in una vasca gelata di umiltà, e si ricorda che l’unica cosa grande che è stato capace di fare è quella di essere stato per tanti anni infermiere h 24 del santo bruciato ( ma ci sarà un Dio delle Ustioni?), di aver ritirato per anni la sua padella di orina, o di vomito, di averlo accudito, vegliato, accarezzato; di aver riso pianto e pregato con lui. Il resto? “Scopri che ogni cosa è vanità, haveli havelim, tutto è fumo, fumo di fumi , dice Qoelet”.

8. L’angoscia dei conti in sospeso
E’ scisso, ferito, dimidiato, addolorato, piangente, orfano, solo, è uno che lancia, gridi nel silenzio, gridi che cercano il fragile incontro con l’altrove, cercano l’intesa fluttuante con le ombre , ritessono la trama infinita di immagini, suoni, oggetti, squarci improvvisi , la sedia a rotelle, la cannuccia, la sigaretta di don Mario, la capricciosa, e la natura cordiale e irripetibile di certi momenti di grazia, del tempo migliore, quando ognuno di noi è un po’ parte dell’altro, quando si è amici perché inscindibili da qualcosa di comune e immenso , e ci si chiede dove possa risiedere l’amore e si guarda in alto ,con tutta l’angoscia che si ha nel cuore \”Ero arrivato con l’angoscia dei conti in sospeso. Da quando è morto don Mario ho perso il padre spirituale della vita, quello che non cambieresti nemmeno con il papa, forse solo con Gesù in persona\”.

9. Poeta di Cristo
Fabrizio è un “ragazzo” semplice, umile, dolcissimo. E’ gentile. E’ ricco di umanità, di mitezza, di empatia, vive la vita da vero poeta di Cristo , in mezzo alle situazioni di disagio, povertà, violenza, sofferenza, e sa che ogni momento della vita, ogni fatto della vita, è di per se stesso poetico, e in qualche modo magico e irripetibile. Sa che fare poesia significa avvicinarsi a Dio. Ma Fabrizio è anche uno da incontri decisivi , uno che ti dice che Dio non è un vecchio con la barba che sta perennemente immobilmente seduto sul trono dell’Empireo a guardare il transito infinito dell’universo da lui stesso creato. No, ti dice che lo puoi trovare anche nel santo bevitore che ha bisogno di stordirsi per reggere ogni giorno il male del mondo; o sugli argini del lungofiume col vestito logoro e la camicia gualcita, che dorme sulla panchina con la bottiglia che gli pende da una mano , dorme sui giornali con gli occhi azzurri pieni di lacrime; lo puoi incontrare fuori della chiesa , con la faccia del mendicante accucciato che ti chiede l’elemosina ; o magari scopri che non è per nulla motore immobile e lo ritrovi nelle gambe velocissime dello zingaro che ti ha rubato il portafoglio. Fabrizio ti dice che non esistono ruoli definiti, e che ognuno debba fare la sua parte , suonare bene il suo strumento , come disse una volta Fellini . “No, il segreto della vita è fare la parte degli altri quando il mondo è in ritardo e questo è essenziale per ognuno di noi”.

10. L’inferno E l’inferno cos’è?
“L’inferno vero è la cenere che avanza da un tempo vissuto solo per se stessi Ci vuole il confessore giusto per spingerti fuori di te e realizzare il gesto di salvezza : incrociare lo sguardo del’altro,non evitarlo mai”.
Questo, Signore e Signori , è il Vangelo secondo Fabrizio Centofanti.

Augusto Benemeglio

Titolo: Prêt(re) à porter
Autore: Fabrizio Centofanti
Editore: Effatà
Prezzo: € 12.00
Collana: Il piacere di leggere
Data di Pubblicazione: Gennaio 2010
ISBN: 8874025726
ISBN-13: 9788874025725
Pagine: 224
Reparto: Religione > Cristianesimo > Pratica cristiana > Testimonianze personali cristiane e opere di ispirazione popolare

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