La storia da parte di chi l’ha subita
Nella saggistica storica si parla quasi sempre dei protagonisti e degli eventi che gli stessi hanno determinato e così gli attori sono politici, uomini di stato, alti gradi militari, industriali e banchieri, insomma chi, a vario titolo, viene definito il padrone del vapore. Ci sono però anche quelli che subiscono questi eventi, comparse senza volto a cui nei saggi si fa sporadicamente riferimento, proprio di una massa indistinta che sempre rimarrà tale, anche quando il fatto si è concluso ed è calato il sipario sul teatro della vita. E’ a questi sconosciuti che Elsa Morante ha dedicato La storia, un romanzo di straordinaria bellezza, di una notevole profondità a dispetto di una semplicità di esposizione che, senza tralasciare nulla, dice esemplarmente tutto. Non c’è retorica, né ci sono eroi, e questo è un altro pregio dell’opera, atteso che dato il periodo in cui si svolge la trama (dal 1941 al 1947) e quindi per la quasi totalità durante la seconda guerra mondiale, sarebbe stato facile, ma non intelligente, abbondare di retorica e di atti di valore.
La storia narra di Ida Ramundo, una vedova con un figlio adolescente di nome Ninnuzzu e un altro, frutto di una violenza subita per opera di un tedesco ubriaco, di nome Giuseppe, ma chiamato poi da tutti Useppe. La vita è quella della povera gente, ancor più misera per il periodo bellico, con Ida, maestra elementare, che si arrangia come può per mandare avanti la sua famiglia. Più male che bene si riesce a campare, nell’incubo dei pericoli della guerra e con il non infondato timore di Ida di subire delle conseguenze per l’essere in parte ebrea. Poi il bombardamento sul quartiere romano di San Lorenzo distrugge la casa in cui Ida e i suoi familiari abitano, così che è gioco forza adattarsi a un alloggio comune. Si tratta di esseri umani che non sono protagonisti della storia, ma che la subiscono ogni giorno, anche con le inquietudini che caratterizzano il dopo guerra, e senza dimenticare che, ricchi o poveri, ci si può ammalare, ma che per i poveri non ci sono l’assistenza e le medicine riservate ai ricchi.
La trama, tutto sommato, potrebbe sembrare poca cosa, ma è l’abilità di chi scrive, la sua capacità di ricreare ambienti, atmosfere e di suscitare emozioni che nobilitano le pagine, che fanno di una storia la storia di tutti, di tutti quelli che patiscono le decisioni di chi conta, loro che sono numericamente assai più numerosi, ma che non hanno nessuna voce in capitolo, loro che comunque vada a finire la storia in cui sono semplici comparse non avranno né prebende, né vantaggi, ma, solo nella migliore delle ipotesi, una sofferenza minore di quella che di solito patiscono.
Ci sono pagine che mi hanno commosso, mi hanno inumidito gli occhi, perché una donna mite come Ida avrà tanto ancora da subire, come la morte del primo figlio, che scompare in circostanze drammatiche, e le condizioni di salute di Useppe, nato sottopeso, minato da una malattia poco conosciuta clinicamente all’epoca (l’epilessia) che lo isola dagli altri bimbi, ma non gli toglie quel desiderio di afferrare una vita che giorno dopo giorno gli sfugge di mano. La povera donna darà i primi segni di cedimento della sua mente con la morte di Ninnuzzu, per poi avere il colpo di grazia con la scomparsa di Useppe, a cui sopravviverà per alcuni anni, ma ormai vinta, un povero essere che tanto ha combattuto per i suoi figli e che senza di essi non è più nulla, è svuotata del tutto, senza più volontà, solo un cuore che batte sempre più piano.
La storia è un romanzo stupendo, uno di quelli che restano per sempre nel cuore di chi legge.
Titolo: La storia
Autore: Elsa Morante
Prezzo copertina: € 16.00
Editore:Einaudi
Collana:Super ET
Edizione:2
Data di Pubblicazione:febbraio 2014
EAN:9788806219642
ISBN:8806219642
Pagine:XXXII-672
Elsa Morante è stata una scrittrice, saggista, poetessa e traduttrice. Figlia di una maestra, Elsa Morante non frequentò la scuola elementare e imparò da sola a leggere e scrivere. Iniziò giovanissima a scrivere filastrocche, favole per bambini, poesie e racconti brevi, e a pubblicare su svariati giornaletti per ragazzi. Nel 1942 i suoi scritti per ragazzi vennero raccolti in un volume da lei stessa illustrato e pubblicati da Einaudi con il titolo Le bellissime avventure di Caterì dalla trecciolina (poi riscritto nel 1959 con il titolo Le straordinarie avventure di Caterina). Tra il 1935 e il 1940 scrive eleganti cronache di costume per riviste culturali. Da quell’esercizio giornalistico nacque il primo volume di racconti, Il gioco segreto, che uscì nel 1941. Ma l’opera che l’ha imposta all’attenzione della critica è Menzogna e sortilegio (1948, premio Viareggio), la cui vicenda (la decadenza di una famiglia gentilizia del sud, attraverso la ricostruzione allucinata che ne fa una giovane donna sempre rinchiusa nella sua stanza) precisa la vocazione favolosa e magica della Morante nei suoi termini di angosciosa separazione dalla realtà.
E, in forme più turbate e assillanti, il tema della solitudine, nutrita di miti ambigui e funesti, torna nel romanzo L’isola di Arturo (1957), storia della difficile maturazione di un ragazzo che vive come segregato nel paesaggio immobile dell’isola di Procida, all’ombra del grande penitenziario.
Dopo la raccolta di versi Alibi (1958) e i racconti dello Scialle andaluso (raccolti in volume nel 1963), il libro che ha segnato una svolta nella poetica della scrittrice è Il mondo salvato dai ragazzini (1968).
Articolato in testi dalla forma prevalentemente poematica (con strutture strofiche che ricordano gli esperimenti della neoavanguardia), in realtà esso accosta organismi letterari di segno diverso, dal dramma alla satira, dal «manifesto» al documento ideologico; ma l’elemento unificante di tanta disparità espressiva è una sorta di tensione vitalistica che libera i fantasmi della sofferenza claustrale nel credo quasi gioioso dell’anarchismo e del pauperismo, nella fiducia accordata ai «ragazzetti celesti», ingenui portatori dell’unica possibile felicità, quella dell’innocenza astorica e divinamente barbarica.
Tale visione utopica è anche alla base del più discusso romanzo della Morante: quel vasto affresco intitolato La storia (1974) che racconta l’odissea bellica dell’Italia e del mondo (1941-47) riflessa nell’umile microcosmo d’una famigliola romana, composta da una donna spaurita e immatura, da un ragazzotto, da un bambino e da un paio di cani. Accusato di ripristinare anacronisticamente messaggi poetico-consolatori, il romanzo esplicita invece uno «scandaloso» rifiuto della storia, opponendo problematicamente il mondo «fanciullo» e «povero» a un mondo fittizio, generatore di morte e di scempi. Un’ulteriore prova di forte intensità è il romanzo Aracœli (1982), dove l’autrice disegna il ritratto dolente di un personaggio «diverso», disperatamente proteso a ricostruire – attraverso un viaggio che non è solo della memoria – l’amata figura materna, perduta e irraggiungibile. Anche in quest’opera, ma con tratti più angosciati e sconvolti, la prosa della Morante conferma il carattere fondamentale del suo fascino sottile: un equilibrio miracoloso tra il candore magico-evocativo (una sorta di attitudine naturale al simbolo) e la sinuosa, febbrile capacità di penetrazione psicologica.