DON TONINO FRATELLO VESCOVO
RECITAL DI AUGUSTO BENEMEGLIO
1. UN DIALOGO
La prima volta che t’incontrai , io avevo nel cuore un coltello rovente, ti ricordi? L’aria era dura e aspra. E la luna di sangue. Mi stavo perdendo nella cenere della disperazione. Ero come pazza. Avevo la mente sconvolta. Fu allora che tu mi parlasti. Per ore e ore. E in quella tua voce piena di calore, entusiasmo, fede,
voglia di vivere, voglia di eterno, io ritrovai la speranza. Io ripresi a vivere.
Tu dovevi riscoprire il senso della vita.
Molti l’hanno perduto e s’aggirano
come larve nei sotterranei della droga.
O consumandosi in una sfrenata
libidine di distruzione.
Sì. E’ così. E mentre tu parlavi, io vidi la notte illuminarsi. Là, intorno a noi, erano i prati verdi , i papaveri, le margherite. Che correvano per i campi. E i cieli erano più chiari. Tutto si era rivestito di nuovo e di diverso. Nuovi gli alberi. Che ora mi venivano incontro come persone che camminano. Nuova la terra , che sembrava cantasse. E poi i mari delle due riviere erano più azzurri. Gli ormeggi delle barche del Canneto più saldi. Le vele di San Giorgio issate al vento dello spirito. Tutto era rinato….Io ti ascoltavo stupita e rapita, come in un sogno. Io ero triste fino alla morte e tu mi ridonasti la fiducia in me stessa, la speranza del domani, la serenità perduta. Tu mi offristi la tua ala di riserva, perché io riprendessi a volare.
La tristezza non può prendere
il sopravvento. Non ha diritto
di cittadinanza in una comunità di risorti.
Sì, questo mi dicesti. E io ripresi finalmente il mio volo interrotto. Dopo quel giorno t’incontrai di nuovo. Sapevo che sarei restata con te, in volo. Per sempre. Fino alla tua croce, che non tardò a venire.
Se noi dovessimo lasciare
la croce su cui siamo confitti
( ma non sconfitti),
il mondo si scompenserebbe.
E’ come se venisse a mancare
l’ossigeno nell’aria,
il sangue nelle vene,
il sogno nella notte.
E’ la sofferenza
che tiene spiritualmente
in piedi il mondo.
Oh, non è stato facile restarti d’accanto, in tutte quelle tue battaglie impossibili. Non è stato facile seguirti, ma io lo sapevo che il tuo cammino era quello definitivo, quello della luce, della verità, dell’eternità. Mi ricordo nel viaggio a Sarajevo, sulla nave. Con il medico che ti straziava le vene , per iniettarti il veleno, ti venivo dietro, come la Maddalena. Tu , pallido, spettrale, debolissimo per la chemio, ma sempre dolcissimo e forte nella tua fede. Seminavi serenità e speranza nei 500 della marcia della pace. C’erano tanti cristiani stupidi e infingardi, come me, tanti preti che fanno la pratica , ovvi, scontati, mondani , anche quando si propongono per le grandi imprese sociali , sempre attenti alle televisioni . E poi c’eri tu, che dicevi col quel tuo sorriso dolcissimo e infinito: “ amare è voce del verbo morire, amare è soffrire per far cadere le squame dell’egosimo… Voler bene a te , uomo povero, dal pudore verginale, uomo tutto evangelico, è stata la cosa più bella che mi sia capitata nella vita. E’ stato uno stupore continuo , un’esaltazione dello spirito, un momento di grazia….Oh, tu sapevi amare davvero col cuore di Dio, in ogni momento!. E anch’io ho cercato di amarti così, col cuore di Cristo. Con te ho gustato la carità, la tenerezza, il silenzio, la poesia dello spirito.
Non io, non io.
Infima particella
dell’Amore Infinito.
Ma una scheggia di luce
precipitata sulla terra,
il cuore del crocifisso
ti indicò la via.
Tu, poeta del Signore, torna fra di noi. Noi tutti ti aspettiamo. Abbiamo bisogno della tua poesia, perché è la poesia della pace, della speranza, della giustizia, della bellezza, della fede e dell’amore. E tutti , tutti siamo assetati , affamati d’amore.
2. Chi era don Tonino?
Quello che avete ascoltato è uno dei “dialoghi” con Don Tonino Bello, il fratello vescovo, il profeta della chiesa del grembiule, l’uomo tutto evangelico, le cui spoglie mortali si trovano nel cimitero di Alessano, nella sua piccola patria natìa, in quel recinto della febbre e della polvere dove per mille anni il nascere fu spento, e del perire non ci fu traccia; ora c’è lui, Tonino riposa lì, dove suo fratello Trifone ha piantato un ulivo che fa ombra e musica sulla pietra tombale, e poi ha costruito un arco di pace, in pietra viva, che guarda a oriente. E tutt’intorno ha disposto i bianchi gradini, che sanno di eternità silenzio e preghiera; un piccolo sacrario dove molte persone s’adunano per un saluto, un’orazione, una meditazione, un lieve bacio un sospiro nell’orlo della luce, spargendo profumi di nostalgiche memorie.
E’ stato il vescovo più straordinario e popolare che la chiesa italiana abbia avuto dopo il Concilio Vaticano II°, uno di quegli uomini che arricchiscono la storia dell’Umanità… Nessuno ha saputo incarnare come lui quell’anelito supremo di speranza di pace nel mondo. Ed è per questo che molti lo hanno definito Profeta della Pace e della Non-Violenza, Testimone della Speranza, ma anche il fratello vescovo, il profeta della Chiesa del Grembiule , una Chiesa al Servizio degli umili, un pastore autentico , che ha rifiutato onori e titoli per servire gli ultimi, con gesti coraggiosi e il dono carismatico della parola, un uomo che ha sfidato le convenzioni e ha dimostrato fino all’ultimo suo respiro, anche nelle incomprensioni all’interno della stessa Chiesa, l’adesione totale al Vangelo nell’amore del prossimo. Monsignor Mincuzzi gli aveva profetizzato, nell’omelia della sua consacrazione a vescovo: “Tu farai cose nuove” , ed è stato facile profeta. “Bastava conoscerlo appena, Tonino, per capire che non era un uomo che s’incontra tutti i giorni. I suoi occhi, il suo volto luminoso proteso verso i suoi interlocutori, le sue parole, tutto rivelava la presenza di un uomo eccezionale, di un santo, di un profeta. . Per incontrare una figura carismatica come don Tonino bisogna risalire ai tempi di san Francesco di Paola per la straordinarietà della sua vita, per le sue imprese, per l’amore alla gente, alla terra, per il coraggio nell’affrontare i potenti…”
Se Don Tonino fosse nato e vissuto in uno dei paesi del centro o del sud America, state pur certi che sarebbe stato un martire come Oscar Romero, un vescovo fatto popolo. Se fosse nato e vissuto in Oriente, in India , ad esempio, sarebbe stato un altro Mathama Gandhi, non solo perchè profeta della non-violenza, ma per il suo ecumenismo. Ma per fortuna nostra, e forse non a caso, è nato e vissuto nel Salento, il Salento povero e contadino della sua infanzia e adolescenza, il Salento custode di antichi e inalienabili valori, la famiglia, il rispetto per gli altri, la cultura profondamente cristiana, il Salento dei martiri di Otranto, croce del Sud, il Salento arca di pace.
Su Don Tonino sono già stati versati fiumi d’inchiostro e molti altri scriveranno su di lui. Prima o poi , ha detto qualcuno, si scriveranno I fioretti di don Tonino. Ma lui stesso è uno straordinario e illuminato scrittore, autore di numerosi libri che troviamo in tutte le librerie delle edizioni Paoline. Tutto nei suoi scritti, nei suoi discorsi gronda umanità vera, toccata con mano, c’è il suo grande cuore, l’entusiasmo, la passione, la condivisione ;c’è il miracolo della poesia e della bellezza del creato, la gioia di vivere nella disponibilità totale per “l’altro” – In principio era l’Altro – ma sopra ogni cosa l’accettazione totale della volontà di Dio, anche nella sua personale esperienza del dolore, della sofferenza che affronta da vero uomo di Dio. Quando i dolori del cancro sono diventati ormai atroci e la morte è vicina, dirà:”Grazie del privilegio che mi dai, Signore “
3.IL CIOCIARO
Il ciclo di chemioterapia lo aveva distrutto , anche psicologicamente. L’uomo bellissimo , forte e robusto che era solo pochi mesi prima, era diventato irriconoscibile: smagrito nel viso e nel corpo, il sorriso affaticato , era devastato dalla malattia, ma guai a chiedergli di parlarne, come testimonia un suo amico della ciociaria.
“ Quanno je chiedevano come stai? se metteva in imbarazzo. Me disse: Me vergogno a parlà de questo, potrebbe sembrà che ne faccia uno show ascetico-spirituale, come se la sofferenza de un vescovo fosse più interessante, più “aristocratica”, de l’artre sofferenze. Io nun faccio artro che partecipà alle sofferenze de Cristo , ma anche alle sofferenze de la ggente. C’è tanta ggente che soffre, come me, e nun c’ha li aiuti che c’ho io. Ppe’ tutta la vita , Tonino ha sempre cercato l’Altro: “Il tuo volto, fratello, io cerco. Non me nasconne il tuo viso che è come ‘no scrigno de tenerezze e de paure, de solitudine e de sofferenze… Lui sapeva annà sempre ar nocciolo de le cose; era uno illuminato dar padreterno, era ‘no scopritore de stelle , uno che sapeva vedè le stelle pure quanno er cielo è nuvoloso , oppure non brillano perché se nasconneno , ma lui riusciva a scoprille nei luoghi più impenzati , là dove nissuno de noi le potrà mai trovà ; ‘nzomma uno che sapeva scoprì e stelle anche qua su la tera , in mezzo ar fango, tra l’imbriaconi e le mignotte, i ladri , i paraculi, i mascarzoni, i drogati , i barboni e l’avanzi de galera … e poi la Messa , ma ce sete mai annati a le messe sue? ” Io dico er Padrenostro e dicenno er Padrenostro vojo di’ tutta la mia libertà!!! Mitico! – Tonino lo gridava er Padre Nostro e si commoveva , ed era come ‘no stendardo de libertà .
Che la messa sia danza
e concerto di campane.
Che sia una liberazione
di speranze prigioniere.
Che sia una festa dell’anima
sospesa tra la notte e l’aurora
Gente del sud,
di tutti i sud martoriati
della terra,
aprite la finestra alla speranza.
E che la strada
vi venga sempre dinanzi
e il vento vi soffi alle spalle.
Che la rugiada bagni
sempre l’erba
su cui poggiate i passi
e il sorriso brilli sul vostro volto…
“Lui sì che ch’aveva coraggio, un grande, immenso , infinito coraggio. Era un pugliese, un salentino povero, un figlio purissimo de quer popolo de formiche , ggente bbbona, ggente umile che se dava da fa’ , è ggente orgogliosa e fiera…io l’ho conosciuti, so stato in mezzo a loro, assomijano a li ciociari che me ricordo io , quann’ero regazzino; facevano a botte la domenica nei cortili fumanti de passione. Se menavano magari ppe’ ‘no sguardo che s’apriva ar cortello , e così se giocavano ‘na morra e ‘n bicchiere de fiele…Tu non sei Caino e non sei nissuno, -diceva l’uno all’artro, – e nun diventi neanche Abbele , se sopra i muri nun scrivi la Giustizzia e la libbertà, ne la lingua tua che sa de stornello antico. Ricordate questo, amico, la pace è un segreto delicato che Abbele s’è portato via cco’ la morte!…Eppure io so che Abbele è ancora in mezzo a noi, dove er dolore ppe secoli e secoli è stato ‘na lunga nottata che nun passava mai , ‘na staggione de le piogge senza fine che scoreva , continuamente, senza interruzione, come oggi score in tutte le popolazzioni der terzo quarto o quinto monno…Caro Tonino , quanto ce manchi! Torna qui da noi pe’ tenè in piedi ‘sta nostra bacheca de fede che nun fa artro che vacillà ad ogni momento, ad ogni soffio de vento, ridacce quer senso de la libbertà che solo tu sapevi dà”.
4. Siamo a corto di speranza
Chi l’ha conosciuto ricorda questa sua umiltà, la sua infinita tenerezza , la condivisione per tutte le creature, in specie i poveri, i diseredati, gli emarginati, i reietti, gli “ultimi” che, diceva lui, sono icone di santità. Ma ci sono anche persone che l’hanno conosciuto in un’aula di un Liceo, a Tricase, quando ancora era solo un insegnante di religione, totalmente sconosciuto , una materia che a lui non interessava essendo ateo, e tuttavia una volta, in classe, don Tonino lesse La Giara di Pirandello ed il fumo della pipa di Zi’ Dima rimase per sempre sospeso in aria. Parlo di Abele Longo, che è venuto apposta da Londra per rendere testimonianza del suo grande conterraneo. Possiamo ora davvero dire che Abele è tornato tra noi, con un vessillo di pace.“Ecco la carezza perpetua di don Tonino, e le sue parole che ardono, che palpitano ancora negli universi che si sgranano, i suoi battiti nell’ombra, gli spazi che si animano e diventano anima mundi, madre di tutte le razze erranti che si trovano insieme sulla cima, sul pinnacolo, nell’empireo e carezzano i cieli, le galassie, e si carezzano tra loro, e ogni carezza dura un secolo, mille anni per dio e per l’uomo, un tempo identico, un identico volare, un identico franare”.
Un tempo bastava
un nonnulla per farci
trasalire di gioia,
l’arrivo di un amico
lontano, il rosso di sera
dopo un temporale,
il crepitare del ceppo
che d’inverno
sorvegliava i rientri in casa,
le campane a stormo
nei giorni di festa,
il sopraggiungere
delle rondini in primavera,
l’acre odore
che si sprigionava
dalla stretta dei frantoi,
le cantilene autunnali
che giungevano dai palmenti,
l’incurvarsi tenero
e misterioso del grembo materno,
il profumo di spigo
che irrompeva
quando si preparava una culla.
Se oggi non sappiamo
attendere più ,
è perché siamo
a corto di speranza.
“Oggi si muore
per anemia cronica di gioia.
Si moltiplicano le feste,
ma manca la festa.
E le letizie diventano sbornie,
gli incontri frastuoni;
e i rapporti umani,
orge da lupanari…
E si ha paura di tutto,
di non essere capiti,
della cattiveria
degli uomini,
paura di non farcela,
paura per la salute
che declina,
paura della vecchiaia,
paura di rimanere soli,
paura della morte”
5.Capo di Leuca
Dai numeri alterni, dalla danza perenne di nascite e morti, da celesti città di sabbia o infernali città di fuoco, da imperio e servitù, da inedia e opulenza, da grazia e venustà, da asprezza e calma, dalle dominazioni di secoli su una terra che vomita morti, dal profondo Salento, quello del Capo, a poche miglia da Leuca finibus terrae, era nato , NELL’ANNO DOMINI 1935 , lui, Antonio (Tonino) Bello, terzo figlio di una famiglia poverissima. Lui era miele di miele, sostanza di sostanza, essenza di essenza, l’amore che aiuta a vivere e a sperare, ma anche un prigioniero nella sfera delle nostre piccolezze, abitudini, indifferenze, grigiore; era venuto a scuotere, a far crollare le nostre sicurezze, le nostre certezze con le parole del Vangelo, parole che fanno sempre male , che feriscono per chi non conosce l’umiltà di cuore. Tra fuori e dentro, tra l’altro e noi, tra l’istinto animale e il collegamento divino, s’infiltrava lui come una passione senza limiti, senza confini, senza spazi, ed era accettato da giovani, dai poveri, dai diseredati, dai drop out, dagli ultimi, combattuto dagli altri, dai potenti, dai benpensanti, dalle istituzioni, e, talora, dai suoi stessi confratelli. Lui era l’altrove.
Ecco d’improvviso una radura di memorie, verdi esclamazioni, in cui fischia il vento tra i rami di mare. Ecco Leuca, il mare che lui amava, con le sue grotte, con le sue sirene, e ci andava a nuotare, possente, il giovane Tonino, con le sue braccia ampie, tra due palme e una fanciulla scalza, e levava in alto il suo sguardo infinito, quel suo guardare senza tempo. Ecco risalire l’istante, su, su, in cima a una colonna di stilita, nelle campagne di Ugento, dove Lui tornò al tempo della malattia e per un attimo riuscì ad issarsi lassù, come un vecchio anacoreta , uno stilita dell’Asia Minore che disfiora ancora, con la mano scheletrica, quel tempo lontano del Seminario, dove entrò a soli dieci anni e vi rimase fino al Ginnasio; poi vi tornò come vice rettore e poi rettore per restarvi ancora molti anni.
6. Era un poeta
Era anche un poeta, ma l’essere scrittore era certamente la cosa che meno interessava don Tonino e tuttavia questo dono della parola, questa illuminazione, questa, oserei dire, unzione, è importante per noi. Scrive David Maria Turoldo, grande poeta e suo grande amico, nella prefazione del suo primo libro: “Alla finestra la Speranza”:
“Ti scrivo anch’io una lettera, caro fratello vescovo. E magari fossi capace di ricambiarti con il fuoco delle lettere di cui è composto questo tuo libro. Un libro che vorrei diventasse un rogo, almeno un piccolo rogo che si accenda nel cuore di molti lettori e che irrompa dal cuore della Chiesa…
Chi era don Tonino? , un profeta, un santo, un eroe del nostro tempo?
Forse era tutte queste cose insieme. Egli era uno di quegli uomini straordinari che segnano un’ epoca, che tracciano un solco profondo nella storia, che incidono profondamente nelle coscienze, che lasciano sulla terra segni duraturi, incancellabili della loro presenza, ma anche un vuoto incolmabile, perchè è raro il caso in cui ci sia qualcuno in grado di proseguire la loro opera, il loro vivo esempio, la insopprimibile vocazione a vivere per gli altri. Una cosa però è certa. Noi oggi più che mai abbiamo bisogno di solidarietà, di tenerezza, di fratellanza, di amore, ma anche di fede, di coraggio, di speranza , di pace. …Don Tonino era la purezza della vita librata sul mondo, uno di quei doni che il Padre Eterno elargisce una volta ogni secolo, e che noi spesso non ce ne accorgiamo, non vediamo, non ascoltiamo, rimanendo prigionieri nella sfera angosciosa del nostro nulla (il posto al sole, la casa, i soldi in banca, le cose da esibire, la nostra falsa tranquillità, la nostra falsa sicurezza, sempre ben chiusi nel bunker che è il nostro cuore, un lago di indifferenza). Don Tonino era stato ed era ancora lì dove si raccolgono tutte le ansie le pene le ingiustizie le umiliazioni, le sconfitte, le macerazioni, le disperazioni, dove tutte le passioni della terra si uniscono per far trionfare la giustizia, la pace, la solidarietà, il bene comune, e diventano carezza di voce, tenerezza, rinascita. Lui era il vero grande cuore, la grande anima, la speranza , da lui bisognava iniziare ogni progetto, ogni costruzione. Tonino – disse il vescovo di Acerra , Riboldi – è già santo, non c‘è bisogno di alcun processo, di alcuna causa di beatificazione per averne conferma. Ma Lui si sentiva indegno:
Non fate di me un santino.
Io sono un impasto
di mansuetudine
e di ira,
di superbia e di modestia,
di bontà e di durezza.
Sono un intruglio
di fervore e di frigidezza,
di dissipazione e di raccoglimento,
di slanci impetuosi
e di apatica immobilità
Sono un polpettone di carne
e di spirito,
di passioni indomite
e di mistiche elevazioni,
di ardimenti coraggiosi
e di depressioni
senza conforto,
come tutti gli altri uomini della terra.
7. Quante carezze
A leggere e rileggere le parole profetiche di don Tonino corri il rischio che ti scoppia nel cranio una sorta di esplosione silenziosa, che non sai bene che cos’è, uno zac, un crack, un click che è illuminazione e cecità insieme, ed è difficile da risalire. Tu ti trovi solo e disperato, ai margini del dubbio (si dice che la vera fede è sempre dubbiosa), con specchi infranti, fantasmi nell’armadio e i barlumi viola della disperazione, sei arrivato “al muro/ che vien detto futuro”, e t’arresti di botto: ti senti estraneo, in permanente esilio. Esiliato dallo spazio , esiliato dal tempo passato esiliato dalla vita ti senti come l’ultima rondine, l’ultima lucciola, l’ultimo pipistrello. E allora eccoti con la sfera di cristallo a scrutare il futuro (che è un muro alto e duro), rivisitando il passato, che è memoria di memoria, quando conoscemmo quest’uomo nobile e sublime, un maestro, un mito, un profeta, un santo, un amico, che, aveva lo sguardo di un falegname antico, lo sguardo di Giuseppe, che sapeva accarezzare le cose fatte con la sua mano, la mano dell’uomo….
Quante carezze:
con le palme della mano,
con i pannelli,
con le spatole,
con gli occhi.
Sì, anche con gli occhi,
perché,
ora che hai finito una culla,
sei tu che non ti stanchi
di cullarla con lo sguardo.
8. LA SCAREZZA
Eppure la lezione di Tonino, uomo di fede, uomo evangelico, che assunse su di sé tutto il “nero della vita”, oggi viene ribaltata. La sua carezza diventa “scarezza”!
I molfettesi ricordano bene quel vescovo strano e folle, andarsene, di notte, con la sua scassatissima cinquecento per le strade della città, – non con la lanterna di Diogene, ma con la croce di Cristo sul petto, – in cerca dell’uomo: del barbone, dell’alcolizzato, del drogato, del disperato e portarselo al vescovado, ripulirlo, lavarlo, rifocillarlo, e mettendolo nel suo letto, per andargli a scoprire le ali (anzi un’ala soltanto) d’angelo sceso sulla terra.
Voglio ringraziarti,
Signore, per il dono della vita.
Ho letto da qualche parte
che gli uomini sono angeli
con un’ala soltanto.
Possono volare
solo rimanendo abbracciati.
A volte, nei momenti di confidenza,
oso pensare ,
Signore,
che anche tu
abbia un’ala soltanto.
L’altra la tieni nascosta:
forse per farmi capire
che tu non vuoi volare senza di me.
Per questo mi hai dato la vita:
perché fossi tuo compagno di volo.
Insegnami , allora, a librarmi con te.
Perché vivere
non è trascinare la vita
Non è strappare la vita
Non è rosicchiare la vita
Vivere è abbandonarsi ,
come un gabbiano,
all’ebbrezza del vento
Vivere è stendere l’ala,
l’unica ala ,
con la fiducia di chi sa di avere
Nel volo
un partner grande come te!
Perché questa “scarezza”? Non è forse lo stesso Dio di Tonino ? , il Dio degli umili, il Dio tra gli uomini, che soffre, che è privato di tutto, che è messo mille volte alla prova, che viene torturato e ucciso in modo infame (la croce) come il peggiore dei delinquenti? . Non è forse lo stesso Dio che apre la porta ai pubblicani e alle prostitute , sempre schierato con gli ultimi, il Dio del popolo? E don Tonino è sceso – come pochi esseri al mondo – negli abissi dell’anima popolare, lui stesso era schietto figlio di popolo, era per la grandezza di un Sancho Panza, dell’everyman che è in ciascuno di noi. E allora perché questa “scarezza”? ”
La scarezza è l’abisso che un ateo si trova ad affrontare: la morte, il nulla. Per un credente rimane una porta aperta, forse . Ma la verità è che brancoliamo un po’ tutti nel buio, siamo tutti un po’ naufraghi su una zattera di dannati, e ci sembra difficile l’approdo. Ma il bisogno di Dio – come diceva Caproni – “non è mio, ma dell’Umanità”, è soprattutto il bisogno di un poco di giustizia, di un poco di luce, di un poco d’anima, in tanta massa condizionata dai potenti mezzi di diffusione (e di educazione alla rovescia), dove le parole sono “stracci o frecce di sole”, dove per risolvere la questione della vita basta “il sesso e la partita/ A noi resta (miseria di una sorte)/ da risolver la morte”. E allora la “scarezza” di Dio potrebbe essere la sua assenza, il suo esilio, che significa esilio dell’uomo da Dio, cioè da ogni cosa e da ogni luogo.
9.LA PACE
Ma forse l’unico pensiero che ha attraversato Abele nel proporre quest’iniziativa, è stato quello di ricuperare, del grande maestro e amico, “almeno” la poesia (Ah, poesia, poesia, / tristissima copia/di parole, e fuga/ dell’anima mia”). Ed allora ecco prendere forma “ poeti per Don Tonino”, uno che aveva il dono carismatico della poesia, e credeva nella sua forza rinnovatrice, trasformatrice (“Chi sa che qualcuno, complice la poesia, non venga più facilmente indotto a cambiare genere di vita”). Questo il motivo vero, il senso vivo e vitale che lo ha ispirato e convinto tanti poeti di tutta Italia ad aderire a questa iniziativa? Forse. Ma soprattutto l’umanità di don Tonino e il suo lottare da vero eroe cristiano e civile per la pace.
La pace è insonnia
La pace è condividere
col fratello
gioie e dolori,
progetti e speranze
La pace è portare
gli uni i pesi degli altri,
con la tenerezza del dono
La pace è attesa
irresistibile di incontri festivi ,
ansia di sabati senza tramonti,
da vivere insieme
sul cuore della terra.
C’è una moltitudine immensa
che nessuno può contare,
di ogni nazione,
razza, popolo, lingua,
che la pace la costruisce
sul letto di un ospedale
O nel nascondimento
di un chiostro
Negli uffici ,
nelle scuole ,
nelle caserme…
dovunque…
E’ un popolo sterminato
che sta in piedi
Perché il popolo della pace
non è un popolo di rassegnati.
A questo popolo invisibile
della pace giunga la nostra
solidarietà,
ma anche il nostro incoraggiamento.
In piedi, costruttori di pace
Sarete chiamati figli di Dio
10.Il vescovo
Tonino diventa parroco della chiesa della Natività di Maria Vergine di Tricase nel 1979 e vi rimane meno di tre anni , fino al 10 agosto 1982, quando viene nominato vescovo della diocesi di Molfetta, Giovinazzo, Terlizzi e Ruvo. Per due volte aveva rifiutato la proposta di nomina, ma la terza non potè farlo. Pianse di commozione e di rimpianto e scrisse una preghiera per i suoi fedeli di Tricase:
Signore, fa provare
a questa mia gente che lascio
l’ebbrezza di camminare insieme.
Donale una solidarietà nuova,
una comunione profonda,
una cospirazione tenace.
Falle sentire che per crescere insieme
occorre spalancare la finestra del futuro
progettando insieme, osando insieme ,
sacrificandosi insieme…
Concedi, Signore,
a questo popolo che cammina
l’onore di scorgere
chi si è fermato lungo la strada
e di essere pronto a dargli una mano
e rimetterlo in viaggio…
Durante gli anni di don Tonino Vescovo (questa la sua sigla di riconoscimento, rifiuterà sempre di usare i titoli di monsignore, o eccellenza), accadranno tante cose strane, il vescovo che se ne va in giro di notte con la sua cinquecento a caricarsi i barboni, gli alcolizzati, i disperati, alla stazione, e portarli nelle stanze dell’episcopio, dove alloggerà anche diverse famiglie di sfrattati, progetta strutture per la devianza giovanile e per il ricupero dei tossicodipendenti, nasce la Chiesa del Grembiule, l’unico paramento sacerdotale – dice don Tonino – registrato nel Vangelo. “Se la chiesa, il vescovo, i presbiteri, gli istituti religiosi sono ricchi; se amano il lusso, il denaro, i conti in banca, le comodità, lo sperpero, il consumo; se sono attaccati ai guadagni, alle tariffe, ai posti, al possesso; se i beni propri della istituzione, invece di tenerli inutilizzati e proteggerli per il futuro con prudenziali furbizie del “non si sa mai”…un domani…”, non si mettono in circolo di condivisione; se le istituzioni più ricche non vengono incontro a quelle più povere; se tutto questo non avviene, come potremo dire che ci siamo fatti ultimi? Avremo giocato agli ultimi: avremo fatto gli “attori ultimi”. Ma ingannando, come a teatro, la povera gente” .
11.I POETI DI DON TONINO
Mi ricordo il flautista di Ruvo di Puglia, che ha visto “uccidere i morti” e la giovane matematica dolomitica che confida nel “fiato della neve”; una napoletana metafisica che argomenta sui “porcili d’oro” e sullo “stupore dello spazio”; e poi il ciociaro informatico,“raddrizzatore di nuvole”; la ragazza veneta innamorata del filo d’erba whitmaniano, il fisico lombardo del “mutamento perenne delle cose”; il pessimista di Terlizzi della “poesia che non avanza” in un mondo “impoetico e mafioso”. e l’italiana di Lipsia che vede i poeti come “piccoli falegnami dell’idea”; e la romana che non ama le maiuscole, ma le usa quando parla di Dio ,e sa tutto delle “cose che soffrono”. E c’è ancora “quello dell’ultimo pianeta” e delle ultime braci, alla Marai, e della decomposizione poetica. E poi il salernitano del “primo amore”, delle farfalle e del “bisogno di tenerezza” . Infine, ecco il sardo delle carezze trattenute, e del “fragile ponte che sono le parole”, E c’è chi come Doris Emilia Bragagnini, si è ricreata la figura mitica di don Tonino come “ un piccolo suono/rimasto a danzare nel tempo/mai del tutto compiuto/…un sole che vive, nutre il silenzio/…profumava d’infinito…
Nel novembre del 1985 è eletto Presidente nazionale di Pax Christi, e di fronte ai parlamentari che parlavano di armi, disse: ”Il problema non è tanto quello di vendere armi ai pazzi più furiosi del manicomio internazionale…Il problema è di non venderne affatto ad alcuno e quindi di non fabbricarne…
12.IL DIARIO DI SARAJEVO
Il 7 dicembre 1992, ormai malato terminale per un cancro allo stomaco, don Tonino partecipa alla marcia della pace a Sarajevo, un esercito disarmato di pellegrini che partono da Ancona per recarsi a Spalato, un’attraversata infernale sulla motonave Liburnia , con un mare in burrasca , che dura 24 ore, anziché le dodici previste. Di quel viaggio avventuroso e un po’ folle a inseguire l’utopia della pace, Antonella Montagna scrive: ” Sono qui, a Sarajevo, /solo, / solo i pazzi, solo i pazzi/ si trascinano /tra le onde tumultuose/ Siamo qui, /corpi di pace, / per la pace, / nel paese di Pacendia …/ Siamo tornati insieme, / 501 persone, / a Pacendia è Uno/ il battito del Cuore.
Don Tonino ha lasciato un Diario, Il diario di Sarajevo , che è stato pubblicato dal Manifesto e dalla Rivista di Pax Christi Mosaico di Pace. Ecco l’ultima pagina:
Domenica, 13 dicembre 1992. …Quando giungiamo sul porto di Ancona , una folla ci attende con fiaccole e striscioni. Baci, abbracci. Arrivederci, . Addio! Poi rimango solo e sento per la prima volta una grande voglia di piangere. Tenerezza, rimorso e percezione del poco che si è potuto seminare e della lunga strada che rimane da compiere. Attecchirà davvero la semente della nonviolenza? Sarà davvero questa la strategia di domani? E’ possibile cambiare il mondo col gesto semplice dei disarmati? E’ davvero possibile che, quando le istituzioni non si muovono, il popolo si possa organizzare per conto suo e collocare spine nel fianco a chi gestisce il potere? Questa impresa contribuirà davvero a produrre inversioni di marcia? Ma in questa guerra allucinante chi ha veramente torto e chi ha ragione? E quale è il tasso delle nostre colpe di esportatori di armi in questa delirante barbarie che si consuma sul popolo della Bosnia? Sono troppo stanco per rispondere stasera. Per ora mi lascio cullare da una incontenibile speranza: le cose cambieranno, se i poveri lo vogliono.
13.Dov’è oggi, Tonino?
Riusciamo a ritrovarlo in quel mondo ormai imprescindibile che è internet (you tube), rivederne il bel viso, lo sguardo intenso e profondo, le sue infiammate proteste, la sua indignazione. Gli autori (quasi tutti in crisi, quasi tutti disperati, come lo sono di solito i poeti) e don Tonino s’incontrano in quella terra di nessuno, che è la disperata-speranza, fanno sodalizio, alleanza là dove le istanze e i desideri di pace e giustizia, di libertà e fratellanza universale (la convivialità delle differenze), hanno una loro patria ideale. E sono indignati per i diritti umani violati, calpestati, le sopraffazioni sistematiche, endemiche, per la continua guerra in tutte le latitudini, che ingrassa i commercianti d’armi e loro indotti (“Bisogna pagare monete di lacrime, incomprensioni e sangue per raggiungere la pace”), per la dittatura finanziaria, la disumana discriminazione tra tutti i nord e i sud del mondo, la svendita del patrimonio d’idee e di valori, ect… tutte cose che don Tonino ha denunciato, detto, ridetto, messo per iscritto, trent’anni prima che il vecchio ex ambasciatore francese Stéphane Hessel pubblicasse il suo bestseller (un milione di copie vendute) “ Indigne-vous”, indignatevi!…
Oggi registriamo un diffuso pessimismo sul futuro dell’umanità, un disagio esistenziale e una discreta disperazione. Ci troviamo in compagnia del dubbio, dell’incertezza, il senso della caduta, della liquidazione, ma anche la piroetta, il lampo, il grottesco della vita, il delirio, lo sbalordimento, il sogno, la speranza che non muore mai.
14. I GIOVANI
E’ vero che forse “non c’è più tempo per la carezza”, ma bisogna ugualmente sperare, riprendere la strada dell’utopia, che è estasi e agonia. E’ l’unica via possibile da percorrere, – c’è il buio, la polvere, lacrime e il sangue –,se vogliamo davvero (ri) trovare don Tonino. Dobbiamo negare noi stessi in un costante corale “abbraccio empatico verso l’altro” , e verso il futuro rappresentato dai giovani ai quali il fratello vescovo indirizza la sua ultima lettera.
Abbiate speranza.
Speranza significa
forza di rinnovare il mondo,
di cambiare le cose,
nonostante tutto.
Mordete la vita!
Non abbiate paura,
non preoccupatevi.
Se voi lo volete,
se avete un briciolo di speranza
e una grande passione
per gli anni che avete..
.voi cambierete il mondo
e non lo lascerete cambiare agli altri.
Coltivate gli interessi della pace,
della giustizia,
della solidarietà,
della salvaguardia dell’ambiente.
Il mondo ha bisogno di voi
per cambiare,
per ribaltare la logica corrente
che è logica di violenza,
di guerra, di dominio, di sopraffazione.
Diventate voi
la coscienza critica del mondo.
La domenica, la sua ultima domenica, come un patriarca in procinto di partire chiamò a raccolta tutti i suoi amici e parenti. Ascoltò la messa dal letto mentre i nipoti intonavano il suo canto preferito, Freedom, . A tutti, con un filo di voce volle dire una parola di affetto e di saluto. Ai suoi preti della Curia disse: Vi voglio bene, ma non fate confronti con chi verrà dopo di me…Due giorni dopo si aggravò irreparabilmente, e si spense quel giorno stesso ,alle 15,26 del 20 aprile 1993. Allora Don Gigi andò al telefono, chiamò Alessano, il suo paese natio, e disse: “Don Tonino è nella pace del Signore. Suonate le campane”.
Le campane suonarono a festa.
Roma, 10 giugno 2014 augusto Benemeglio
Non ho sentito parlare di quest’uomo finchè la mia compagna che è pugliese e lo ha conosciuto non mi ha raccontato della sua forza, della sua morale e la capacità straordinaria di stare e parlare con il prossimo non da “prete” ma da amico.
Non sono cattolico e ho una mia idea della religione ma don Tonino Bello aveva doti che in pochi posseggono.
E’ proprio così, Frank. Io l’ho solo intravisto, ma l’eco delle sue opere e della sua grandezza umana, mi
ha dapprima affascinato e poi travolto. Pensa che ci
ho scritto una commedia, ASPETTANDO DON TONINO, che fu rappresentata in diversi centri del Salento, in primis nella sua piccola patria, ALESSANO, e della Puglia. Con una compagnia amatoriale costituita al novanta per cento da bambini. Ormai son passati vent’anni, ma lo ricordo con infinita nostalgia.