– Il nostro era un vero matrimonio d’amore; ci siamo sposati perche ci desideravamo. Avevo messo gli occhi a Carmela fin dalle elementari. Sì, perché già allora mi attiravano quegli occhi neri così vivaci, poi mano a mano che diventavamo grandi ho cominciato ad apprezzare altre caratteristiche: i seni, prima abbozzati, e che poi sembravano tendere allo spasimo i bottoni della camiciola, per non parlare delle gambe, belle dritte, e i fianchi…i fianchi erano la cornice di un quadro di un’espressione tale che non riuscivo a guardare senza avvertire una sensazione di affanno.
E poi lei è sempre stata una civetta, sa come sono, una volta si offre, ma subito si ritrae, ti mostra qualche cosa che copre immediatamente. Non dormivo più la notte, perché sempre avevo lei davanti agli occhi, lei con quella sua bocca vogliosa, con quel suo naso impertinente, e poi tutto il resto, tutto quel ben di Dio. Sì, non nascondo che sia sempre stata un po’ in carne, ma meglio la sostanza, un corpo burroso che certe femmine secche, piatte da sembrare assi per la pasta, mi dica che gusto ci può essere a toccarle?
– Non divaghi, ma venga al dunque.
– Ha ragione, ma lei deve capire perché è accaduto, deve cercare di comprendere tutto l’antefatto. Alla fine, dopo una corte insistente, dopo notti insonni, sono riuscito a far breccia e nel giro di tra mesi ci siamo sposati. Una cerimonia semplice, perché soldi non ne abbiamo mai avuti, quindi niente pranzi e niente viaggio, ma eravamo felici lo stesso, perché ci amavamo.
Io lavoravo quando capitava e queste occasioni purtroppo non sono ancora frequenti; ho studiato, sono maestro elementare, ma in un paese con solo cinque classi e cinquanta possibili insegnanti il lavoro non abbonda e sono costretto ad arrangiarmi, a fare un po’ di tutto, dal manovale al bracciante. Guardi i calli di queste mani: le sembrano quelle di un diplomato?
– Le ripeto di non divagare.
– Ha ragione, cercherò di essere più breve. Per dirla in parole semplici eravamo tanto poveri che la nostra unica ricchezza era la miseria. Lei non può sapere cosa vuol dire alzarsi la mattina, aprire la madia e trovarla vuota, ben sapendo che non c’era mezzo di riempirla.
Non le nascondo che ci sono stati dei periodi che facevamo la fame, tanto che lei era dimagrita, le si erano stretti i fianchi, la pelle si tirava sul viso. Che giorni, quelli! Se fosse stato possibile, avremmo mangiato perfino la fame, e il lavoro sempre che non si trovava; uscivo presto, chiedevo al capomastro, ai fattori, ma c’erano già troppi disgraziati come me e poco lavoro.
Poi…
– Poi?
– Poi un giorno è accaduto l’incredibile. Al macellaio del paese è morta la moglie, che l’aiutava anche sempre in negozio, e lui ha cercato subito una nuova commessa.
Di pretendenti ce n’erano tante, ma ha finito per scegliere Carmela, perché sapeva far di conto, era precisa e poi era un vecchio amico di famiglia.
La paga non era gran cosa, ma era sicura e soprattutto scacciava la fame. Mi creda, niente di particolare: un piatto di pasta a mezzogiorno e uno alla sera, ma insomma lo stomaco non brontolava più.
Dopo nemmeno tre mesi, una sera Carmela venne a casa con un pacco, lo aprì e dentro c’erano delle belle bistecche.
Le dissi subito che non potevamo permetterci un cibo così costoso, ma lei mi ribatté che era un modo che il padrone aveva studiato per pagare in nero gli straordinari.
Eh sì, perché di straordinari Carmela ne faceva tanti, anche dopo l’orario di bottega e a volte mi arrivava a casa quasi a mezzanotte, con sotto il braccio un chilo di costate, oppure un bel pezzo per il bollito.
E io mangiavo e pure lei e così si rimpolpò, anzi si arrotondò non poco. L’idea non mi dispiaceva, ma qualche cosa stava cambiando: non mi si concedeva più, motivando il fatto con il troppo lavoro, con quegli straordinari da bistecche.
Ci rimasi male, ma restai ancor peggio quando andando il giro per il paese la gente mi guardava e parlava a bassa voce; non capivo cosa dicevano, ma ogni tanto percepivo una risatina soffocata, sa quella che viene smorzata apposta di modo che l’interessato se ne accorga. Non ci sono arrivato subito, ma dentro di me si è accesa una lampada, prima di luce debole, poi sempre più forte e devastante, e ho capito.
Ho cominciato a odiare la carne, a esser preso dal disgusto solo a pensare ai quarti di manzo, appesi per gli uncini nella cella frigorifera e più la rabbia cresceva più questa immagine sì imprimeva nella mente, scavava un solco che dovevo riempire.
– E allora?
– E allora una giornata ho atteso che il macellaio chiudesse la bottega, poi sono entrato dal retro, sono passato di fianco alla cella frigorifera con appesi quei quarti, e ho proseguito, accompagnato da un suono che passo dopo passo aumentava d’intensità. Quando sono entrato le locale di vendita ho capito che cos’era quel suono: un brusio, un coro di gemiti, di respiri affannosi, di grida strozzate. La luce era spenta, ma il chiarore della luna, attraverso le imposte socchiuse, mi ha fatto intravvedere due corpi nudi che si rotolavano sul bancone di marmo.
Mi creda, ma per me non erano più due corpi, erano quarti di manzo esposti per la vendita e che con le temperature torride delle nostre parti correvano il rischio di andar male. Non ricordo poi così bene, mi sono trovato un coltellaccio la lavoro in mano, l’ho calato di forza, c’è stato un urlo più forte, poi singhiozzi e io che continuavo ad alzare il braccio e a menar fendenti, fino a quando è ritornato il silenzio.
– E’ venuto a dirmi che ha ucciso sua moglie e il macellaio?
– Sì, maresciallo, e poi li ho appesi insieme ai quarti.
– Piantone, presto, c’è stato un duplice omicidio Io corro con il brigadiere e tu sorveglia quest’uomo, che è l’assassino.
– So che andrò in cella e chissà per quanto, ma non m’importa, purché là il menù sia vegetariano. Vero che là di carne ne passano poca? Vero, mi dica che è vero!
Un duplice è pur sempre un duplice, anche senza premeditazione, anche con tutte le attenuanti del caso e la compartecipazione emotiva di commissari, marescialli, piantoni, giudici e pubblici ministeri.
Forse servirà di più, per attenuare la pena ai minimi edittali, la profonda compartecipazione dei tuoi lettori, caro Renzo, in particolare di quelli che – come il protagonista della storia – sono ormai votati, anima e corpo, ad una ferrea dieta vegetariana.
Una piccola perla da memorizzare. Complimenti.