Recensione: Docufilm Tutankhamon-L’ultima mostra 1


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Alzi la mano chi non è stato da bambino appassionato di Antico Egitto? Una fascinazione che, a ben vedere, prosegue sempre. Sono ormai trascorsi cento anni dalla scoperta della tomba di Tutankhamon, faraone dal corredo funerario senza pari, morto diciannovenne e rimasto sepolto nella Valle dei Re prima che Howard Carter ne scoperchiasse il segreto oltre tremila anni dopo.
Il docufilm Tutankhamon-L’ultima mostra, prodotto da Laboratoriorosso Srl e distribuito da Nexo Digital, ne celebra il mito. Nelle sale italiane dal 9 all’11 maggio questa scintillante pellicola farà rivivere storia e leggenda del giovane sovrano dell’Alto e del Basso Egitto. Con la preziosa regia di Ernesto Pagano, che ha scritto anche il soggetto, la sapiente e artistica fotografia di Sandro Vannini – mago del digitale, occhio artistico, espertissimo di Egitto, uno degli dei ex machina del film –, le musiche di Marco Mirk, la voce narrante di Manuel Agnelli e un ricco cast di figure professionali di elevatissimo livello – archeologi, direttori di musei, curatori di mostre et cetera – si svolgono i fotogrammi, navigando fra foto e filmati d’epoca, ricostruzioni, interviste e immagini dei preziosi manufatti… “Fra il profondo silenzio, la pesante lastra si sollevò. La luce brillò nel sarcofago. Ci sfuggì dalle labbra un grido di meraviglia, tanto splendida era la vista che si presentò ai nostri occhi: l’effige d’oro del giovane re fanciullo”, Howard Carter l’egittologo dixit il 26 novembre 1922 osservando un’inusitata scena attraverso un piccolo foro praticato in un muro oltre il quale si apriva la camera sepolcrale di Tutankhamon, magnificamente ingombra, oltre che del sarcofago e della mummia di Tutankhamon, di preziosissimi oggetti che dovevano accompagnare il faraone nella sua nuova vita dopo la morte. “Vedete qualcosa?”  – gli chiede Lord Carnarvon, archeologo dilettante e finanziatore della spedizione. “Sì, vedo cose meravigliose” – risponde Carter.
L’ultima mostra, itinerante, dedicata a Tutankhamon si è chiusa nel 2020 a causa del Covid e il governo egiziano ha preso la decisione di non spostare più gli oggetti dalla loro sede naturale nel Paese del Nilo. Attraverso la movimentazione degli oggetti del tesoro di Tutankhamon si scoprono ulteriori aspetti della civiltà egizia, della vita quotidiana del popolo e del faraone giovinetto. La maschera d’oro è qualcosa di incredibile: il cobra (Uadjet) e l’avvoltoio (Nekhbet) che ne sporgono, simbolo del potere, le sopracciglia di pasta vitrea, i ritocchi di lapislazzuli, le pupille di ossidiana, le incisioni dal Libro dei morti, la barba trattenuta dal classico cilindro-treccia, e turchesi e pietre e gemme in una composizione di armonia e bellezza assoluta.
“Tutankhamon è un nome ormai entrato nell’immaginario collettivo mondiale: per tutti racchiude quanto di più imponente e misterioso possano evocare l’Antico Egitto, le sue piramidi, la leggenda della maledizione del faraone. Pochi, però, associano la sua celebrità a una convergenza di fatti unici e soprattutto all’ostinazione di quell’archeologo inglese che ne scoprì la tomba proprio negli anni in cui mezzi di comunicazione di massa cominciavano a rivoluzionare completamente le nostre vite”.
Con il docufilm si viaggia nell’Egitto di tremila anni fa e in quello del presente, si ammirano la perizia dei restauratori e la cura con cui vengono conservati questi reperti, dei quali vengono mostrati anche i più reconditi particolari, si ascoltano le spiegazioni storiche e scientifiche intorno all’argomento, Una visione davvero a 360°.
Aggiungiamo un particolare curioso: i record delle mostre maggiormente viste nella storia appartengono a Tutankhamon, un destino imprevedibile per quello che per certi versi fu un sovrano minore, ma il cui nome è ancora pronunciato a distanza di tanto tempo, quindi con un crisma di immortalità. E che dire della presunta maledizione che ha ispirato la serie delle celebri mummie cinematografiche? Quanto il nostro Tut è entrato nell’immaginario collettivo suggerendo mode, la creazione di brand e opere disparate?
Dalle note di regia di Ernesto Pagano: “Abbiamo voluto aprire il film mostrando in presa diretta le operazioni di preparazione al viaggio degli oggetti del tesoro di Tutankhamon per la sua ultima tournée internazionale, organizzata per la mostra “KING TUT. Treasures of the Golden Pharaoh”. Abbiamo così esplorato le sale del chiassoso Museo di Tahrir del Cairo e i dipartimenti asettici dell’area restauro del nuovo Grand Egyptian Museum, ancora parzialmente in costruzione e chiuso al pubblico. Abbiamo raccontato i passaggi più impegnativi e poco noti del backstage della mostra, come lo spostamento dell’imponente Statua del Guardiano del Re in legno dipinto e dorato (mai più mossa da quando Carter l’aveva inviata da Luxor al Cairo alla fine degli anni ’20) e quello di una statua colossale, un macigno di quasi tre tonnellate movimentato grazie al sapiente intervento di esperti operai del Museo Egizio. Abbiamo poi seguito l’allestimento nelle location di Los Angeles, Parigi e Londra, rivedendo quegli stessi oggetti in una veste nuova: al centro di sale espositive pensate per esaltarne ogni dettaglio, celebrando una potenza evocativa e artistica capace di attraversare intatta i millenni. Come in una macchina del tempo, abbiamo poi fatto un salto indietro a 100 anni fa, raccontando – grazie a preziosi materiali d’archivio, interviste agli esperti e letture drammatizzate dei diari di Carter – la storia dell’epocale scoperta della tomba di Tutankhamon nel 1922. Abbiamo così potuto indagare il fenomeno culturale “Tutankhamon”, che rese Carter e il suo finanziatore, Lord Carnarvon, due star mediatiche tanto da far nascere nell’Europa degli anni ’20 un’ondata inarrestabile di Tutmania. Nel 1924, mentre Billy Jones & Ernest Hare suonavano il primo pezzo ballabile di successo intitolato “Old King Tut”, alla British Empire Exhibition di Wembley venne aperta al pubblico una ricostruzione della tomba di Tutankhamon capace di attirare folle oceaniche di visitatori. Con la morte di Lord Carnarvon, nel 1923, si era intanto diffusa la leggenda della maledizione di Tutankhamon, che si è trascinata fino ai giorni nostri e che forse fu tra le ragioni del successo della mostra itinerante degli anni ’70, con code chilometriche che si snodavano attorno al British Museum di Londra e al Metropolitan di New York”.
Ma questo è solo uno degli assi in cui si sviluppa e snoda la pellicola. Rimangono la magia e il mistero, la contemplazione estatica di tanta bellezza – 5398 oggetti erano nella tomba. “Per gli antichi Egizi la morte non rappresentava la fine di tutto, ma costituiva il momento di passaggio verso un’altra forma di vita. Perché il corpo del defunto potesse continuare a vivere nell’aldilà, era necessario che fosse preservato integro attraverso la mummificazione. La mummia di Tutankhamon era conservata nel suo celebre sarcofago, custodito in santuari di legno dorato, arricchiti dalle incisioni della mappa del viaggio che lo attendeva e della mappa dei ricordi della sua vita terrena. Sulle porte del secondo santuario in legno laminato d’oro furono impresse le scene che raccontavano questo ciclico peregrinare: Iside, dea della maternità e della magia, presenta Tutankhamon ad Osiride, dio dell’Oltretomba. In maniera speculare, Maat, dea dell’Ordine, conduce Tutankhamon dal dio solare, il raggiante Ra Orakhti. Tra la luce e il buio, in moto ciclico e perpetuo, ricalcando il moto della terra che produce il giorno e la notte, c’è lui, il re, testimone e artefice del miracolo della luce del sole, che a ogni alba risorge sulla sabbia del deserto, sui campi, sul fiume Nilo. Ancor oggi le pitture murarie della tomba del faraone ci raccontano il corteo funebre che accompagnò Tutankhamon al suo sepolcro, mentre gli ornamenti posti sul corpo ci parlano della sua metamorfosi da creatura organica a creatura divina e dorata, perché è d’oro, il metallo eterno, la carne degli dei. Sulle dita di mani e piedi sono posti ditali d’oro, sul suo corpo ricadono centinaia di gioielli e amuleti protettivi. Il suo volto, coperto da una maschera d’oro di dieci chili, diventa il volto di Osiride, dio dell’Oltretomba. E così ogni volto, forgiato sui sarcofagi che lo racchiudono è sempre quello del dio dei morti, raffigurato con la tipica barba raccolta in una treccia”. Sorprendenti anche i contenitori per il cibo che si trovavano in grande quantità sotto un letto.
Come fu la breve vita di Tutankhamon, faraone per dieci anni, dai nove ai diciannove? Soffriva di zoppia al piede sinistro, cui cercava di ovviare con i bastoni ritrovati a decine e decine nella sua tomba, era stato toccato dalla malaria, era innamoratissimo con ogni probabilità della sua sposa  Ankhesenamon, delicatamente tratteggiata nel suo percorso nei giorni con il re. Toccante. Tut, uno di noi.

Alberto Figliolia

 

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