Il prima e il dopo<
Il titolo di questa silloge fa pensare immediatamente al regno degli Inferi, proprio della mitologia latina, ma è una supposizione errata, perché non si parla di un viaggio nell’oltretomba; secondo me il vero significato è quello di inferno, l’inferno che deve passare in vita una persona la cui morte è annunciata e quella persona è il padre della poetessa. E’ così che abbiamo un diario in versi dell’ultimo periodo su questa terra di un essere umano, con le sensazioni, il timore l’angoscia di chi è presente e lo assiste, vale a dire Daniela Raimondi e gli altri familiari stretti. E’ una forma originale di raccontare, scandita dagli eventi, dalle fasi, fino al momento fatale, ma c’è anche il dopo, c’è quel ripensare a chi ci ha lasciato nella lenta attenuazione del dolore per la scomparsa di una persona cara.
Il vero lutto non fu la sua morte. Non fu nemmeno la sua / assenza. Fu sapere che la sua vita finiva: vivere i giorni del corpo / malato, condividere l’agonia. /…
E’ questa parte della prima poesia di questa raccolta e credo non ci sia bisogno di spiegazioni, anche perché molti di noi hanno vissuto questi periodi angoscianti, attoniti per l’impossibilità di porre rimedio e per poter lenire le sofferenze. Daniela Raimondi l’ha provato con il padre, io con mia madre. Dalla scoperta della malattia alla morte i versi scandiscono questa fase (…/ “Cos’ha, Dottore?” / Mi ha detto del tumore. L’impossibilità di operare o di curare. / “Quanto tempo gli resta?” – La mia voce era ferma. 7 “Bisognerà fare altri esami, ancora non sappiamo.” – Ha risposto. / Me lo ha detto a occhi bassi. Sapevo che mentiva.) (…/ Passo la notte seduta accanto a te nel Reparto Geriatria. / Sento le battaglie di chi lotta per raggiungere la fine: / l’eco dei lamenti, il pianto di un vecchio, i passi di un’infermiera. / Un malato bestemmia. / Un telefono squilla. /…) (…/ C’era un letto. / Disteso nel bianco il corpo di uno scon0sciuto. / Un involucro di carne. / Il faraone con le mani incrociate sul petto. / Immobile. / …).
Non tutto finisce con la morte, anzi comincia per chi resta. Nell’inconscio tentativo di assimilare il dolore ciò che si nota è quello che non c’é, è l’assenza, ma si deve tornare a vivere (Poi è tornata la calma, la fame, la noia. / Si è dovuto vivere. Si è dovuto tornare a camminare nel mondo. / Dimenticare la nebbia. Muoversi di nuovo insieme ai vivi, ai cani, / le formiche, i motorini rossi).
Se nel periodo dell’agonia il dolore di chi assiste impotente è angoscia senza fine, dopo c’è la sofferenza per l’assenza e per la memoria dei giorni dei giorni di attesa per un evento irrimediabile; sono segni incisi nell’anima che con la quotidianità si cerca di celare, ma sono lì, sempre pronti a uscire, a reclamare la tua attenzione, e così basta una data, un ricordo, un’immagine e, benché non più così violento, riaffiora il dolore.
Si cerca di porre rimedio pensando ai momenti che furono lieti, ma molto più spesso prepotenti ritornano le ore d’angoscia, l’impossibilità di portare un concreto aiuto, le menzogne anche che sono state necessarie per cercare di dare un po’ di sollievo al malato.
Il ricordo è uno sfogo, ma anche la condanna di chi resta.
Titolo: Avernus
Autore: Daniela Raimondi
Prefazione di Enrico Di Palma
Nota di lettura di Ivan Fedeli
CFR Edizioni
Poesia
Pagg. 63
ISBN 9788898677184
Prezzo Euro 9,00
Daniela Raimondi è nata in provincia di Mantova e ha trascorso la maggior parte della sua vita in Inghilterra. Ora si divide tra Londra e la Sardegna.
Ha pubblicato dieci libri di poesia che hanno ottenuto importanti riconoscimenti nazionali. Suoi racconti sono presenti in antologie e riviste letterarie. La casa sull’argine, edito da Nord, è il suo primo e, al momento, unico romanzo.
Grazie a Renzo Montagnoli per la sua attenta e sensibile lettura del mio libro, e grazie a LiberoLibro per l’ospitalità.
Daniela