di Massimo Maugeri
In occasione delle elezioni politiche del febbraio 2013 il “forum del libro” (www.forumdellibro.org) aveva proposto l’iniziativa “E/leggiamo” basata, tra l’altro, sull’invio di una lettera aperta ai candidati al Parlamento. Nella premessa del testo si evidenziava che «dove la lettura è abitudine più diffusa, in molti casi è anche più alto il reddito, è migliore la qualità della vita, la società è più coesa, sono maggiori la capacità di innovazione e la propensione alla crescita». Oggi il principale referente di quella iniziativa è l’attuale ministro per i Beni e le Attività Culturali (persona degna, preparata e rispettabile), il quale – peraltro – dovrà tener conto degli esiti del più recente report dell’Istat. In Italia, anche chi legge, legge poco: tra i lettori il 46% ha letto al massimo tre libri in 12 mesi, mentre i “lettori forti”, con 12 o più libri letti nello stesso lasso di tempo, sono soltanto il 14,5% del totale. Dati poco confortanti, come sempre. E come sempre può sembrare vano ribadire la necessità di incrementare gli incentivi alla lettura e gli investimenti in cultura. Eppure bisogna continuare a farlo, come fanno benissimo Bruno Arpaia e Pietro Greco nel loro pamphlet “La cultura si mangia” (Guanda, € 12, p. 174). Il titolo del volume fa il verso all’infelice frase dell’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti pronunciata il 14 ottobre 2010: «con la cultura non si mangia. Di cultura non si vive, vado alla buvette a farmi un panino alla cultura, e comincio dalla Divina Commedia». Arpaia e Greco, dati alla mano, dimostrano invece che la cultura non è un bene di lusso. Anzi, ovunque è considerata come il motore dello sviluppo, tranne nel Paese che vanta il “patrimonio artistico” più ricco del mondo e che pensa ancora di poter vivere di passato. Attenzione! Il numero totale dei siti artistico/culturali riconosciuti dall’Unesco assommava nel 2010 a 942, distribuiti in 152 stati. È vero che l’Italia è in testa alla classifica, ma solo con 45 siti: 3 in più della Spagna e 5 in più della Cina, con una percentuale del 4,78% del totale. Chi dice che il 90% del patrimonio artistico del mondo risiede in Italia, racconta balle. Non culliamoci sugli “allori” e guardiamo avanti. E che serva da stimolo il seguente dato: dal 2007, in piena crisi, l’occupazione nelle industrie culturali italiane è cresciuta in media dello 0,8% l’anno. Con la cultura si lavora, dunque. E si mangia.
Ecco, questo è uno dei possibili spunti che il già citato Ministero per i Beni e le Attività Culturali può utilizzare per esercitare pressioni sul Ministero dell’Economia. Bisogna investire in cultura con convinzione. E bisogna farlo in fretta, prima che il divario con gli altri Paesi più lungimiranti del nostro diventi irrecuperabile.
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