Ciaikovskij e la Baronessa Von Meck


A cura di Augusto Benemeglio

1.Un russo incline alla malinconia e ai sogni
A chi gli diceva che era il più occidentale dei compositori russi, che i suoi modelli erano più italiani e francesi, e che nella sua musica non si avverte quella ricerca dell’anima del contadino russo , come avevano fatto Mussorgsky e gli altri nazionalisti, l’elegante, aristocratico, fine, bellissimo Piotr Illic Ciaikovskij, artista geniale, angosciato dal “ fato”, dominato da una sensibilità morbosa, che cercava di trasfigurare in un sinfonismo eroico, rispondeva di sentirsi russo “fin nel midollo delle ossa”. Ma era “ diverso”, come disse Stravinskij, un russo incline alla malinconia e ai sogni, che incarna la fine secolo con una morbida sensualità, a tratti femminea, posto nella condizione panica del predestinato, un russo che sposa il canto popolare, ma lo sottopone alle più sfrenate sollecitazioni, lo deforma, trascinando l’ascoltatore nell’ebbrezza della sensualità liricamente più accesa, fino a raggiungere effetti plateali.

2. Un musicista che crea strutture d’aria
Un musicista che crea strutture d’aria – dirà la baronessa Nadezda von Meck, sua viscerale estimatrice e mecenate , – ed esprime un diverso grado di malinconia , quella malinconia nostalgica che ci assale di sera, assieme a un’ondata di profumi e di ricordi, in cui l’oboe racconta il volo lirico della lontananza, con una dolcezza straziante che lenisce le ferite ancora aperte della nostra esistenza. Un musicista che – sebbene schiacciato dal fato – cerca la melodia rasserenante e chiara , cantata dai clarinetti e dai fagotti , assieme agli archi, che cerca la frase dell’eloquio caldo e partecipe , sino al ritorno scorciato con fiorite divagazioni “sognanti”, alla Ciaikovskij . Il suo è un altro modo di sognare, fantastico, fiabesco, che somiglia al Mendelssohn del “Sogno di una notte di mezza estate”, al Berlioz dello “Scherzo della regina di Mab”, ma che in realtà è solo suo.

3. Il tema apocalittico del fato
Si scrissero tante lettere , oltre mille e trecento , un rapporto epistolario fitto , intenso, che avrebbe mandato in visibilio un Oscar Wilde, considerato che per tutta la vita Piotr e Nadezda non si incontrarono mai, preferendo frequentare i luoghi segnati e “ profumati “ dalla presenza dell’altro. Lo racconta , immaginosamente , il regista Ken Russel nel film-biografia di Ciaikovskij “L’altra faccia dell’amore” Piotr dedicherà a Nadezda opere importanti come Eugene Oneghin e la Quarta Sinfonia , in cui viene ribadita la sua idea principale e ossessiva, il tema apocalittico del fato, “nefasta potenza – scrive a Nadezda – che si oppone alla conquista della nostra felicità e malignamente s’adopera perché il benessere e la pace non siano mai privi di nubi “. E il fato è rappresentato, in questo caso, dall’incalzante, ostinata fanfara di ottoni e fagotti in “fortissimo” che apre il lavoro: gesto sonoro e teatrale che tornerà per tutta la sinfonia, schiacciata, appunto, sotto il peso del fato”. Ma ci sono anche motivi popolareschi, melodici e rasserenanti: “Se non riesci a trovare dentro di te un’atmosfera di gioia, guardati intorno ed esci, Nadezda, va in mezzo alla gente, confonditi con loro. Ed ecco così un vorticoso, rutilante andamento di festa popolare , che ti trascina, ti avvolge, ti stordisce, ma alla fine – cara Nadezda, il fato tornerà a schiacciarti.”

4. Era bellissimo, ammirato, desiderato e amato…
Durò quindici anni il loro rapporto e Ciaikovskij potè vivere agiatamente, senza alcuna preoccupazione di dover fare altro che scrivere musica, l’unica cosa che veramente lo interessasse. Nadiezda era la prima a cui Piotr sottoponeva le sue opere e andò in delirio – occultata fra il pubblico – alla prima del Concerto n.1, in cui quell’introduzione che ha quasi le dimensioni di un movimento a sé stante , sembra non finire mai e quel finale allegro con fuoco diviso tra la danza popolare e il balletto classico , tra il canto ucraino e le atmosfere da “Bella addormentata “, ti strappa le viscere. Era bellissimo, alto, con gli occhi azzurri, e le donne della buona borghesia russa deliravano per lui, ma Piotr sembrava non degnarle affatto. Si sottraeva a tutte le occasioni mondane. Evitava di rimanere a lungo da solo con una delle splendide creature che lo attorniavano, lo ammiravano, lo desideravano, volevano essere da lui guardate, desiderate, amate. Ma non poteva. Cominciarono così a circolare dicerie insistenti sulla sua anormalità . Per tacitarle, Piotr fece la cosa peggiore, sposò nel 1877, all’età di trentasette anni, una delle sue ammiratrici, quella più insignificante , Antonina Miljukova, che sembrava essere la meno passionale, la meno esigente, la più quieta. Invece fu un’esperienza disastrosa, troncata dopo soli tre mesi, che gli generò una grave depressione nervosa. Numerosi viaggi gli fecero poi ritrovare l’equilibrio psichico e un’apparente serenità, ma tutto fu incrinato, al suo ritorno , dall’improvvisa fine della relazione con la Von Meck.

5. Per quindici anni non si incontrarono, poi…
Per tre lustri Ciaikovskij era stato l’idolo di Nadiezda, che non aveva mai voluto vederlo, anzi , che aveva condizionato il suo munifico sussidio all’impegno formale da parte di Piotr di non cercar mai di conoscerla. Per quindici anni non si erano mai incontrati , anche se Nadiezda si sentiva al centro delle sue composizioni , era la regina del lago dei cigni , la piccola Clara che s’addormenta sotto l’albero di Natale e sogna lo Schiaccianoci, il re dei topi divenuto un meraviglioso principe, e poi una ballerina della danza dei fiori, o quella araba , o la danza della fata confetto; era in tutti quei capolavori di un arte difficile come il balletto che Ciaikovskij portò ai massimi livelli , grazie all’altezza della sua musica sinfonica. Per quindici anni non si erano mai incontrati , anche se la ricca vedova tutte le mattine andava a poggiare la sua testa sui divani e poltrone, o si sdraiava sui cuscini e sui letti dove Piotr aveva sostato, pensato, fumato , respirato, lasciando i suoi odori. Per quindici anni non si erano mai incontrati, ma una sera d’ottobre , uscendo dal teatro di Pietroburgo , non poterono evitare di farlo. E fu la fine. Fu Piotr che le andò incontrò per salutarla , aveva un disperato bisogno di vedere un volto amico, dopo la sua disgraziata esperienza matrimoniale , ma lei gli voltò le spalle sdegnata. E dal giorno dopo cessarono i sussidi e le lettere . Si disse che la sua benefattrice aveva avuto un rovescio finanziario, ma forse era solo una scusa. I loro rapporti cessarono del tutto, definitivamente.

6. Gli ultimi fuochi romantici e la “Patetica”, una tragedia omosessuale…
Per Piotr fu un colpo tremendo e non solo perché veniva meno la sua principale fonte di reddito, ma anche perché Nadiezda era diventata una vecchia amica e ora gli mancava. Scoprì d’un tratto che non aveva amici e che in fondo era colpa sua, era un misantropo che passava il suo tempo libero a fare i solitari con le carte e a bere vodka, che gli procurava , però, terribili emicranie. Divenuto ormai famoso sia come musicista che come direttore d’orchestra, Piotr s’allontanò sempre più dalla Russia, e girò un po’ tutto il mondo, da Parigi a Londra, da Roma a New York, diresse concerti, ma sempre controvoglia e con una sorta d’angoscia, continuò a comporre fino agli ultimi giorni della sua vita. Le sue sei sinfonie, i concerti, i balletti, le ouverture, riproducono la sua storia personale, la sua tortura creatica, fatta di ultimi fuochi romantici, gli echi del grande romanticismo, l’estremo romanticismo che diviene ormai una finestra spalancata sul decadentismo: niente più eroismi, niente più certezze, tanto da dire molto umilmente di sé stesso:“Rimpiangere il passato e sperare nel futuro senza mai essere soddisfatto del presente: così ho passato la mia vita e la mia vita è stata una tragedia”, una tragedia omosessuale in musica, dirà qualcuno riferendosi alla sesta sinfonia, La patetica.E fu nove giorni dopo aver diretto questa sua ultima sinfonia, – che contrappone toni di gioia barbarica e di raffinata eleganza alla più cupa e conclusiva desolazione, una sorta di requiem struggente, con i suoi violini, forse quella più amata da posteri , la sinfonia che il musicista confessò di aver scritto solo per se stesso, – che Piotr Illic Ciaikovskij si tolse la vita . Aveva 53 anni, e forse,un attimo prima dell’insano gesto rivide i suoi genitori (il padre, un ingegnere minerario profondo russo, collerico, tutto fuoco passione e vodka; la madre , timida, raffinata, sensibilissima, nevrotica gentildonna di origine francese), che lo avevano destinato alla carriera di magistrato, se stesso bambino di sei anni con i primi esercizi al pianoforte e i quaderni con le fiabe e le poesie in russo, tedesco e francese, scritte con la propria mano infantile. E poi l’università di Pietroburgo , dove si era laureato in giurisprudenza a soli vent’anni, il Ministero della Giustizia, dove aveva lavorato come funzionario di prima classe, il conservatorio di Pietroburgo , ove aveva studiato orchestrazione con Rubinstein , che aveva scoperto il suo talento ed era divenuto suo amico, e la prima volta che si trovò davanti ad un’orchestra , colto da un tale panico che dovette deporre la bacchetta:“Era come se la testa mi si svitasse, staccandosi dal collo”. E poi si rivide insegnante al conservatorio di Mosca , con pochi soldi in tasca e molte aspirazioni di grandezza, o lungo la Senna a inseguire il giovane bellissimo polacco , e gli incontri a Parigi con Liszt, Saint-Saens, Bizet e Massenet. E quello mancato con Wagner, che alla fine non amò. E la sua predilezione per Mozart , che considerava il vero Cristo della Musica. Forse chiese a sé stesso quale sarebbe stato il suo posto nella storia della musica. “Tu sei stato il primo , caro Piotr, – gli disse Stravinskij, – ad aver gettato un ponte musicale fra oriente e occidente , fondendo le anime di questi due mondi. Alla sua morte lo Zar di tutte le Russie gli fece il più bell’elogio funerario: “Abbiamo molti duchi e baroni , – disse – ma avevamo un solo Ciaikovsky e ora non c’è più”.

Augusto Benemeglio

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