A cura di Gordiano Lupi
Marco Ferreri (Milano, 1928 – Parigi, 1997) è un regista colto e raffinato, più amato in Francia che in Italia, dove è stato quasi dimenticato dopo la sua morte. Ripercorrendo la sua carriera – con l’ausilio dell’indispensabile manuale di Roberto Poppi – scopriamo che si avvicina al cinema dopo un’esperienza come rappresentante di liquori, comincia dalla pubblicità e dalla produzione (con Zavattini), conosce il giovane umorista Rafael Azcona e grazie a lui dà un svolta alla sua carriera. I suoi tre film di esordio sono realizzati in Spagna con la collaborazione di Azcona e segnano i tratti fondamentali della sua vena autoriale: il sarcasmo e il grottesco. Ricordiamo i titoli: El pisito, Los chicos, El cochecito (1958 – 60), che sconvolgono e rinnovano il cinema europeo. In Italia segnaliamo, in piena sintonia con l’esordio iberico: L’ape regina (1962) , La donna scimmia (1963), Il professore (in Controsesso) (1964). Ferreri realizza le cose migliori quando usa sarcasmo, metafora e paradosso, gira film dissacranti basati sul pessimismo nei confronti di uomo e società, polemizza contro le istituzioni e attacca un sistema che non condivide. Roberto Poppi definisce Ferreri: “Autore fondamentale del cinema degli ultimi trent’anni”. Tra i suoi film memorabili citiamo: La cagna (1971), L’udienza (1971) – in corso di restauro -, La grande abbuffata (1973), Non toccare la donna bianca (1974), L’ultima donna (1975), Dillinger è morto (1968), Ciao maschio (1977), Storie di ordinaria follia (1981), Storia di Piera (1982), Il futuro è donna (1986), Come sono buoni i bianchi (1986), La carne (1991). Trenta film in carriera, l’ultimo – mai visto – Nitrato d’argento (1995), lavoro – testamento dedicato a un cinema che non esiste più.
Abbiamo rivisto Chiedo asilo (1979), interpretato da un Roberto Benigni prima maniera proveniente dal dissacrante Berlinguer ti voglio bene (1976) e da esperienze televisive come Televacca e L’altra domenica, mentre dovevano ancora arrivare Il Pap’occhio e FFSS. Ferreri utilizza il comico toscano non in funzione dissacrante e provocatoria, ma lo convince ad abbandonare la maschera del contadino fiorentino (Cioni Mario) che l’aveva avvicinato a un certo tipo di pubblico. Ferreri utilizza Benigni in funzione poetica e lunare, anticipando una fertile vena successiva sfruttata fino in fondo grazie a Vincenzo Cerami. Ferreri non è regista da prendere un attore e assecondarlo, ma – come Pasolini con Totò e con Franchi e Ingrassia – utilizza Benigni in funzione di un progetto intellettuale.
Vediamo la trama, per quel poco che c’è da raccontare di un film che fa del grottesco e dell’apologo morale la sua arma migliore. Siamo nella scuola materna del quartiere bolognese di Corticella, dove Roberto viene nominato maestro – novità rispetto ai tempi in cui nelle scuole materne il maestro doveva essere di sesso femminile – e stabilisce un ottimo rapporto con i bambini. Roberto è un educatore non convenzionale, come il suo personaggio prevede e come la poetica di Ferreri esige, ma gli alunni sono molto legati al loro insegnante. Il maestro instaura una relazione affettiva con Isabella (Laffin), madre di un’alunna, che resta incinta e mette in crisi il maestro di fronte alla prossima paternità. Un altro rapporto complesso lega Roberto a Gianluigi, bambino affetto da disturbi comportamentali, ricoverato in una clinica specializzata. Il finale della pellicola vede Roberto e Isabella trasferirsi in Sardegna per vivere la maternità in una grande casa sul mare, vecchio cinema dismesso. Insieme a loro si recano in vacanza alcuni bambini, tra questi Gianluigi che proprio mentre Isabella sta per partorire sembra migliorare di salute, perché comincia a mangiare e a parlare.
Chiedo asilo vince l’Orso d’argento, gran premio della giuria, al Festival di Berlino del 1980. Condividiamo la posizione di Paolo Mereghetti: “Apologo morale sul contrasto tra uomo naturale e uomo storico e sulla distruzione della spontaneità e della poesia da parte di un mondo alienato e alienante”. Il cinema di Ferreri non si può valutare per coerenza di sceneggiatura, va visto per immagini, come se fosse un collage simbolico di sensazioni fiabesche. Chiedo asilo è intriso di simbolismi vitali, come i bambini che recitano in modo naturale, nella più completa spontaneità; ma sono molti pure i simboli di morte: le lenzuola nere, i girini deceduti nell’acquario, l’albero cadente e decrepito. Il finale aperto lascia libere molte interpretazioni.
Siamo in una spiaggia della Sardegna, Benigni e il bambino per mano si dirigono verso il mare, la macchina da presa li riprende contro luce dall’angolo visuale di una rana in una boccia di vetro, sentiamo in lontananza il pianto del neonato mentre i due protagonisti scompaiono. Metafora della nascita, forse, accettazione della paternità, l’uomo che scompare di fronte al mistero dell’esistenza, oppure la morte che lascia il posto alla vita. Tutto è possibile e in fondo non è compito di un autore come Ferreri dare certezze.
Chiedo asilo è una favola struggente, interpretata con delicatezza e spontaneità da un Benigni sincero, quasi naif, voluto da Ferreri nel ruolo del protagonista proprio per la caratteristica di attore naturale. Citiamo alcune sequenze che ritraggono Benigni in un ruolo quasi clownesco, da folletto uscito da un libro di fiabe: l’apparizione in classe sbucando da un oblò di cartone, il vagare per la scuola di notte in cerca di ricordi e sensazioni, il finto pancione mentre dice ai fanciulli che deve partorire, un asino portato a scuola per far giocare i bambini, il carro di Carnevale con il gigantesco Ufo Robot … La storia d’amore tra Roberto e Isabella prende buona parte del film, narrata con poesia e spontaneità, senza forzature e concessioni al commerciale, in maniera simbolica, persino surreale.
Altri momenti grotteschi raffigurano un commissario che indaga sui metodi educativi di Roberto che accoglie nel suo asilo un bambino in fuga dalla famiglia. “Siete un po’ tutti impazziti voi maestri di questi tempi”, mormora il poliziotto. Vediamo alle spalle della scrivania del commissario una gigantografia di Che Guevara al posto della foto del Presidente della Repubblica, alcune riviste giudicate sovversive vengono sequestrate al maestro e si conclude con un dialogo surreale sull’interpretazione buona o cattiva di Che Guevara.
La macchina da presa di Ferreri passa dal piano sequenza intenso e poetico, ai primi piani, particolari di occhi, non abusa mai dello zoom, inquadra paesaggi degradati, periferie urbane, fabbriche cadenti, grigio squallore di miniere diroccate, anfratti di mare e case costruite su scogliere. Benigni è campione di “non recitazione”, così come lo sono i bambini, quando vagano per una fabbrica alla ricerca dei genitori, occupano l’asilo e gridano: “Ora e sempre resistenza!”.
Nel film ricordiamo l’attore toscano sfoggiare un’espressione ingenua, imbracciare la fisarmonica, intonare valzer e motivi del passato, prendere per mano i bambini, abbracciare la sua donna. Tra gli altri interpreti, interessanti le caratterizzazioni di Carlo Monni (il burbero amico che recita Montezuma a teatro) e Luca Levi (il lunare educatore di bambini), così come è ben calata nella parte Dominique Laffin (la venditrice di libri innamorata del maestro). Chiedo asilo è un film da riscoprire, come gran parte della filmografia di Marco Ferreri.
Regia: Marco Ferreri. Soggetto: Marco Ferreri. Sceneggiatura: Marco Ferreri, Gérard Brach, Roberto Benigni (collaborazione). Fotografia. Pasquale Rachini. Montaggio: Mauro Buonanni. Suono: Jean Pierre Ruh. Musiche: Philippe Sarde. Scenografia: Enrico Manelli. Costumi: Nicoletta Ercole. Aiuto Regista: Cesare Bastelli. Operatore: Giuseppe Tinelli. Mixage: Fausto Ancillai. Fotografo: Paul Pellet. Direttore di Produzione: Roberto Giussani. Produttore Esecutivo: Jaqueline Ferreri. Case di Produzione: 23 Giugno srl (Roma), A.M.S. Production srl (Parigi), Pacific Business Group (Thaiti). Produttore Associato: Ettore Rosboch per la Best International Film. Paese di Produzione. Italia/ Francia. Genere: Commedia grottesca. Durata: 110’. Colore/ Suono: Cinecittà. Negativi: Eastmancolor. Effetti Sonori: Aldo Ciorba & C. Macchina da Presa: Panavision. Mezzi Tecnici: Cime srl. Teatri di Posa: Rizzoli Palatino. Esterni del Film: Argentiera; quartiere Corticella (Bologna). Interpreti: Roberto Benigni, Francesca De Sapio, Dominique Laffin, Luca Levi, Girolamo Marzano, Carlo Monni, Guia Jelo, Chiara Moretti, Roberto Amaro, Franco Trevisi, Samuele Sbrighi. Partecipano i bambini della Scuola Materna P.e.e.p. Bentini di Bologna.
Gordiano Lupi
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