Ecco un buon libro per chi ama in egual modo la narrativa e il teatro: “Comici randagi” (Sampognaro & Pupi) di Orazio Caruso. Si tratta, infatti, di un romanzo che si specchia in una pièce teatrale, sia per quanto concerne la struttura, sia per la trama, ma anche per i contenuti e per lo stile adottato. La storia è imperniata sul rapporto speculare tra due fratelli, sull’amore per il teatro (che diventa “metafora di salvezza”) e sul “Sogno di una notte di mezza estate” di shakespeariana memoria. Ne parlo con l’autore…
– Orazio, come nasce “Comici randagi”?
I libri non nascono tutti allo stesso modo. A volte è l’intreccio che si presenta nitido alla mente, magari mentre si guida su vecchi tornanti di campagna o si è appena svegli. A volte è un personaggio che bussa alla porta e vuole essere raccontato. La prima immagine di “Comici randagi” è quella di Eugenio che corre lungo la strada che costeggia la scogliera tra Catania ed Aci Castello. È così che è nato questo romanzo: un regista teatrale che corre lungo una strada di mare mentre sta per piovere.
– Che rapporto hai con il teatro?
Il teatro è un fantastico strumento per mettere a fuoco i nodi dell’esistenza, una lente di ingrandimento che rende evidente ciò che ad occhio nudo sembra appena accennato. Come in un esperimento di fisica, una porzione di vita viene isolata e scandagliata in tutti i suoi aspetti.
Il teatro è anche un grande gioco che, attraverso la finzione, fa emergere particolari verità.
– Perché hai scelto come “fil rouge” del romanzo il “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare?
Qualche anno fa ho messo in scena con il mio gruppo teatrale scolastico, le “TesteToste”, questo funambolico testo di Shakespeare, potendone apprezzare la potenza semantica nell’apparente leggerezza dei toni e dell’intreccio. La riscrittura del “Sogno” è servita per realizzare una riflessione sulla mutevolezza dell’amore nelle sue variazioni, che è poi uno dei temi centrali del romanzo.
– Proviamo a conoscere i personaggi del libro, partendo dai due fratelli – che sono i protagonisti – Eugenio e Alfio. Due personaggi speculari, come le due facce della stessa medaglia…
È vero, Eugenio ed Alfio sono due personaggi speculari, due fratelli che hanno avuto un destino molto diverso e distante. Due figure quasi emblematiche nella loro diversità.
– Partiamo da Eugenio, che di mestiere fa il regista “teatrale”. Che tipo di persona è? Quali sono i suoi pregi e i suoi difetti?
Eugenio incarna il motto siciliano che dice: “Chi esce, riesce.” Eugenio è il fratello che è partito e che ha realizzato le sue aspettative. È diventato un rinomato regista di teatro. Col passare del tempo, tuttavia, la sua energia si è affievolita, le sue radici morali e politiche si sono smarrite. Si è rinchiuso dentro un personaggio brillante ma fittizio. Recitando se stesso in modo eccellente, è finito in un punto morto esistenziale e la sua carriera si è infilata in un vicolo cieco. I suoi pregi sono i suoi peggiori difetti. È stato “giovane” e irresponsabile per troppo tempo. Il ritorno in Sicilia gli fornisce una seconda occasione.
– Alfio, invece, fa il bibliotecario. Parliamo di lui? Che tipo è? Come lo descriveresti?
Alfio è un uomo che ha dissipato il suo talento, mancando, con studiata stoltezza, tutte le prove significative della vita. Come se avesse le tasche piene di zavorre che lo portano a fondo. Come se avesse paura di vincere, come se non potesse permettersi di giocare la propria partita. È un meccanismo perfetto, ma inceppato. Anche lui aspetta la sua occasione per ribaltare il destino e giocare in un ruolo nuovo, non più in difesa a contenere il gioco degli avversari, ma da attaccante di sfondamento.
– Eugenio ed Alfio, l’abbiamo detto, sono personaggi speculari (anche se, a un certo punto, è come se le loro vite si “scambiassero”). C’è qualcosa che li accomuna?
I due fratelli, in realtà, hanno un fondo, una radice comune, come i due vasi comunicanti di un pozzo artesiano. Sono due guerrieri sconfitti ma non battuti che aspettano una seconda occasione per rialzarsi e riprendere la lotta. Il romanzo illustra un percorso a spirale che porta i due fratelli ad incontrarsi, a riunirsi, a contaminarsi.
– Il libro pullula di personaggi. Tra questi figura Alice (figlia di Eugenio). Parliamo un po’ di lei…
Alice è la figlia che Eugenio non sapeva di avere. È la figlia che, col proprio tocco magico, “partorisce” il padre, lo porta al grado giusto di maturazione. Nel romanzo ha lo stesso ruolo che ha il personaggio di Puck nel “Sogno di una notte di mezza estate”. All’inizio imbroglia i fili del destino dei diversi personaggi, portando scompiglio e disorientamento, ma poi ha il compito, assunto in modo naturale, di comporre nuovi paradigmi e di creare nuovi punti di contatto, in special modo tra Eugenio ed Alfio.
– Veniamo un po’ alla struttura del libro. Il libro è diviso in quattro parti che rispecchiano quattro momenti dell’anno e le quattro stagioni. All’interno della narrazione figurano anche pezzi di sceneggiatura teatrale. Perché questa scelta?
Ho voluto comporre il romanzo come una partitura musicale divisa in movimenti che presentano andamenti differenti, mentre l’orchestra degli strumenti-personaggi incarna timbriche difformi, a volte concordi e altre volte discordi. Tutta la vicenda si svolge nell’arco di un anno, ma il moto del racconto non segue la linearità cronologica della fabula, soffermandosi solo su alcune “scene” fondamentali. In ogni parte sono inseriti, accanto alla narrazione tradizionale in terza persona, degli inserti narrativi nella forma di glossari, mail, pagine di diario e note esplicative. L’intento è quello di allargare la focalizzazione e diversificare in modo caleidoscopico la prospettiva. Alcune scene, inoltre, non vengono narrate, ma scritte come in un copione teatrale. Scelta che mi è sembrata necessaria in un romanzo sul teatro.
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Grande Orazio Caruso. Ho avuto modo di leggere il romanzo e essermi anche commosso per la gioia. Ho riscontrato in esso, come in un “sogno” luoghi comuni, a me, molto vicini. La narrazione sciolta e lineare, fa rivivere ogni suo avvenimento, riportando alla memoria la musicalità, dall’infrangersi delle onde del mare sulla scogliera, allo schioppettare degli arbusti in fiamme del bosco al suo agre odore. Di certo, momenti analoghi vissuti in un’adolescenza creativa. Amo la sua tecnica di narrazione, parole docili che cullano il cuore e la mente.