Calendario 2014-Poesie e fotografie del Laboratorio di scrittura creativa/Leggere Libera-mente


calendario 2014A cura di Alberto Figliolia

Cieli al tramonto. Turbini e fughe di luce. Vertigini di ghiaccio, la struggente purezza della neve. Riflessi. L’enigmatica figura di Samuel Beckett, le rughe scolpite dal tempo impietoso, un sorriso (?) a increspare il volto, in un mural che scolorisce si screpola si sfa, cui si sovrappongono altri elementi, così come accade per la molteplice (indecifrabile) realtà. L’animato traffico di una città. I ghirigori di ferro e vetro di una stazione deserta. Il sole che abbaglia. Una suonatrice intenta e l’eco di una musica lontana, dalle distanze. I ricami di un cancello le cui sbarre però non separano. Oltremodo evocative sono le fotografie di Margherita Lazzati che corredano il Calendario poetico 2014 del Laboratorio di lettura e scrittura creativa della Casa di reclusione di Milano-Opera, perfetto pendant agli scritti che lo popolano di sentimenti suggestioni speranze (talora disperanze).
“Cerco ancora di fare musica/ con la mia chitarra/ di nervi d’uomo/ che la vita ha accordato/ e scordato in tanti modi:/ eppure un’armonica tempesta/ creò nello strumento che io sono/ le vibrazioni del cuore”, scrive Giuseppe Carnovale, una sintesi magistrale di ciò che siamo e di ciò che non siamo, nell’eterno gioco del mutamento, anche quando la stasi parrebbe prevalere. “O mia strada scovata in fondo all’anima,/ sono io che ti percorro o il mio fantasma/ trascinato dai sogni e dai ricordi?”, conclude (da leggere del Carnovale la splendida raccolta di versi Nessuna pagina rimanga bianca, La Vita Felice, 2013, pp. 252, euro 16).
“Una vita vissuta/ senza la volontà/ di viverla…/ Ah avere creduto/ che nulla/ di questo mondo/ valesse la sofferenza/ di conoscerlo!” (Dino Duchini): accenti da Spoon River per il poeta-filosofo del gruppo. Una comunità di membri, quella del Laboratorio creato ormai quattro lustri or sono da Silvana Ceruti (Ambrogino d’oro 2012 per gli alti meriti civici), in grado di produrre scritti di elevato valore formale e, soprattutto, la prova vivente che un’altra via è possibile allorché siano il rispetto e la fiducia a regnare. Nulla più della poesia consente l’elaborazione, la ricerca interiore, l’indagine del mistero nelle cui onde cosmiche siamo immersi. “Ho cavalcato in cieli stellati/ […] Ho salito e calpestato i tredici gradini/ […] Ho imparato il linguaggio degli dei/ […] Sono entrato nella casa dell’apostolo Pietro/ […] Per tutto questo/ sono stato rinchiuso in una/ scatola di ferro// Pertanto chiedo a voi/ fratelli immortali/ di organizzarmi un incontro/ con gli arcangeli// affinché io possa rivedere la luce” (Antonio William Pilato) o, ancora, “Guardo verso una terra senza mare/ attraverso una piccola finestra arrugginita./ La mia cabina è ad ovest, dove tramonta il sole;/ resto minuti, ore, secondi a guardare, non so,/ non saprei dire quanto./ Ora il tempo non ha più tempo./ Riempio i miei occhi di mistero,/ un sogno,/ guardo ancora un po’, non molto,/ l’emozione è forte./ Saluto il mare, chiudo la tenda./ La nostalgia mi assale, crudele.” (Franco Cordisco). Dall’infinità al quotidiano e, di nuovo, un biglietto per condurci lontano, altrove nello spazio e nel tempo. Lungo le strade del ricordo: “Città mia/ eterno contrasto tra bellezza e disfacimento/ vivi nell’attesa che qualcuno ti salvi prima che qualcosa ti distrugga/ Nobile decaduta/ […] Bottega senza tempo/ Scalzo ho scalato le tue strade, vicoli stretti/ […] dove panni appesi, camicie e mutande vanitose si affidano al vento/ dove sguardi saraceni accompagnati da ispanici sorrisi vagano in uno struscio senza tempo” (Antonio Cesarano).
Quale la lezione che possiamo apprendere da questi versi sedimentati nel profondo e poi sgorgati a suggerire vitae novae? “Non sono le sbarre/ il confine invalicabile di un carcere:/ indifferenza si chiama./ Noi non possiamo,/ voi non volete/ e l’incontro non avviene” (Matteo Chigorno).
La poesia è il dono che un’anima fa di sé e nessun’anima è irrimediabilmente perduta. Giunto sarebbe il momento che si aprisse un capitolo diverso per quel che concerne la considerazione dell’universo carcerario. Le poesie contenute in quest’edizione – così come tutte le precedenti altre e quelle a venire – sono agape, amore fraterno, pietas, domanda. Rimorsi, sì. Rimpianti, tanti. Ma, soprattutto, coscienza, desiderio di essere, oltre ogni separazione, con gli altri, con la società un giorno tradita (e che spesso a sua volta, non dimentichiamolo, tradisce). Che cos’è la colpa? Un chiodo che trafigge in eterno? Eppure, oppure è possibile risorgere dalle proprie ceneri, riscattarsi? Il sangue ideale incessantemente si rigenera. “Niente dolore… sono acqua viva/ Nebbia del mattino… oppure brina/ In una cascata, in un ruscello, in un lago calmo/ in una lacrima che scivola tra le dita/ scintillante come una cometa” (Giuseppe Catalano).
Chiedo venia se non sono riuscito a citare tutti gli autori, tali e tanti sono (e tutti meritevolissimi). L’auspicio è che le loro parole poetiche, il fare e modus vivendi della poesia liberata, rompano nelle reciproche direzioni ogni corazza di rabbia, che si sbriciolino i muri del pregiudizio, che il fastidioso rumore cessi. E non abbiate paura, o lettori, di commuovervi né timore di lasciarvi dolcemente trascinare dalle empatiche correnti della comprensione.

Alberto Figliolia

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