Io non invento niente, immagino tutto. Cerco solo di rappresentare la realtà, dal momento che nulla è più surreale!
Tutto può essere banale, tutto può essere meraviglioso! Che cos’è il banale se non il meraviglioso impoverito dall’abitudine?
Gyula Halász nasce nel 1899 a Brașov (in ungherese Brassó) in Transilvania. La vocazione francese della famiglia di origine era tuttavia tanto forte (il padre era un docente di letteratura francese) che già a 4 anni il piccolo Gyula aveva soggiornato in rue Morgue, nella Ville Lumière. Gyula Halász, alias Pierre Brassaï, uno dei più grandi fotografi del XX secolo nonché poliedrico e versatile talento artistico.
Nel 1918 troviamo il giovane Gyula-Pierre a Budapest a studiare disegno all’Accademia di Belle Arti e del 1920 è il trasferimento a Berlino dove conosce e frequenta non pochi intellettuali e artisti, fra i quali tali Kandinsky e Kokoschka. Infine nel 1924 è di nuovo nella sua città d’elezione, Parigi, delle cui luci e ombre, nebbie e chiaroscuri, esseri della più varia risma e atmosfere psicologiche, della cui essenza diverrà magnifico cantore: poeta e dipintore con l’obiettivo della propria macchina fotografica. Sarà amico di Prévert e di Picasso di cui dal 1943 al 1946 fotograferà le sculture nell’atelier di rue des Grands-Augustins (Sai cosa disse Picasso quando vide i miei disegni nel 1939? “Brassaï, tu sei un disegnatore nato. Perché non continui? Hai a disposizione una miniera d’oro e perdi tempo a sfruttare una miniera di sale.”).
Creerà anche scenografie teatrali a partire dai suoi scatti. Lavorerà per Harper’s Bazaar viaggiando in Italia, Spagna, Marocco, Grecia, Turchia. Ma Parigi sarà la sua inimitabile eterna musa…
A Brassaï è dedicata una bellissima mostra, visitabile sino al 2 giugno, nel Palazzo Reale di Milano. Una esposizione dall’intelligentissimo allestimento e percorso che consente di sviscerare i molteplici esiti e suggestioni dell’arte fotografica (e non solo) del ragazzo di Brassó dalla vocazione parigina e cosmopolita. Come detto, immagini di Parigi per eccellenza, dai piu vari ambienti al demi-monde e alle strade, dai primi piani, che sono ritratti dell’anima, ai gruppi e ai locali con la loro incredibile fauna umana. Non solo tuttavia, poiché, come detto, la curiosità di PB era onnivora. Vi sono, per esempio, anche immagini di graffiti… Il muro ha sempre sercitato su di me una sorta di fascino. Ho spesso preferito quest’altra ‘natura’, artificiale e urbana, intrisa di umanità, infinitamente ricca di suggestioni e il linguaggio effimero che misteriosamente vi prende forma. Brassaï fotografava quelle che riteneva vere e proprie “opere d’arte parietali”, ricomponendole quindi in specifiche categorie.
Realismo e istanze oniriche potevano convivere nella sua interpretazione, come nelle sperimentazioni delle Transmutations, in cui… “Brassaï afferma di aver voluto rivelare la figura nascosta che avvertiva in alcune delle sue fotografie. […] lavorava direttamente con un pennino su alcuni dei suoi negativi. In una successione di fasi arrivava a produrre fino a otto stati per ogni immagine, ogni trasmutazione subiva dunque un’evoluzione nel tempo. Attraverso la sua ramificazione polisemica l’immagine iniziale così sezionata trasmutava, acquisendo una nuova esistenza.”
Dalle immagini perse nella memoria al saccheggiare la bellezza in tutte le sue forme l’avventura intellettuale di PB è stata estremamente avvincente e oltremodo affascinante – Il surrealismo delle mie immagini non è altro che il reale reso fantastico dallo sguardo! – dalla vita quotidiana a quella più segreta e recondita, compresa l’umanità “declassata” trovando, questa, con lui una linfa vitalissima e in lui uno sguardo non moralistico o rinvenendo l’innocenza primigenia nei bambini catturati mai in posa, bensì nella loro spontaneità emotiva. E le situazioni paradossali, inconsuete od originali, con gli emarginati e i reietti della società, prostitute (le “case delle illusioni”…) e malviventi (questi ultimi, sì, messi sovente in posa).
Ero alla ricerca della poesia della nebbia, che trasforma le cose, della poesia della notte, che trasforma la città, della poesia del tempo, che trasforma le persone.
Bello perdersi in questo viaggio parigino e nell’anima – 200 le stampe d’epoca oltre a sculture e documenti vari – dalla luce immaginifica dei lampioni, piccoli diffusi soli notturni, agli effetti quasi illusionistici della nebbia, lungo marciapiedi e strade lastricate in attesa di figure e storie, nei volti scolpiti dalla durezza dell’esistenza o beffardi o sornioni o in preda a uno stranito stupore o d’invisibile tenerezza… “clochard, artisti, girovaghi solitari. Nelle sue passeggiate, il fotografo non si limitava alla rappresentazione del paesaggio o alle vedute architettoniche, ma si avventurava anche in spazi interni più intimi e confinati.”
“Esporre oggi Brassaï significa – afferma Philippe Ribeyrolles, curatore della mostra – rivisitare quest’opera meravigliosa in ogni senso, fare il punto sulla diversità dei soggetti affrontati, mescolando approcci artistici e documentaristici; significa immergersi nell’atmosfera di Montparnasse, dove tra le due guerre si incontravano numerosi artisti e scrittori, molti dei quali provenienti dall’Europa dell’Est, come il suo connazionale André Kertész. Quest’ultimo esercitò una notevole influenza sui fotografi che lo circondavano, tra cui lo stesso Brassaï e Robert Doisneau.”
E ancora… “Brassaï appartiene a quella “scuola” francese di fotografia definita umanista per la presenza essenziale di donne, uomini e bambini all’interno dei suoi scatti sebbene riassumere il suo lavoro solo sotto questo aspetto sarebbe riduttivo. Oltre alla fotografia di soggetto la sua esplorazione dei muri di Parigi e dei loro innumerevoli graffiti testimonia il legame di Brassaï con le arti marginali e l’art brut di Jean Dubuffet.”
Brassaï muore nel 1984, due anni dopo la pubblicazione de Les artistes de ma vie e poco prima di avere concluso la redazione di un volume su Proust a cui aveva dedicato non scarso tempo. Quanto dimostra il suo amplissimo spettro intellettuale.
La sua tomba è a Montaparnasse, dentro la città da lui tanto amata, specchio del mondo con la sua vivezza e le innumerevoli possibilità da essa offerte e vicissitudini o vicende appassionanti da conoscere e con cui intrecciarsi. Amabilmente e con un occhio speciale, caleidoscopio di nostalgia e di futuri.
Alberto Figliolia
Brassaï. L’occhio di Parigi, mostra promossa da Comune di Milano – Cultura e prodotta da Palazzo Reale e Silvana Editoriale, realizzata in collaborazione con l’Estate Brassaï Succession. Retrospettiva curata da Philippe Ribeyrolles. Fino al 2 giugno. Palazzo Reale, Piazza Duomo 12, Milano.
Catalogo di Silvana Editoriale curato da Philippe Ribeyrolles, con un testo critico di Silvia Paoli.
Info: siti Internet palazzorealemilano.it, mostrabrassaimilano.it.
Orari: da martedì a domenica 10-19,30; giovedì chiusura alle 22,30; lunedì chiuso.