Recensione film “Arrival” di Denis Villeneuve
Se l’extraterrestre è anche filosofo
In una decina di punti del pianeta stazionano pilastri ovoidali alti centinaia di metri. Pacifici o invasori? Si cerca il contatto. La fragile, celebre espertona di segni&linguaggio Louise (Amy Adams scienziata ispirata) scava nella sua mente, tra ricordi tragici e ossessioni verbali, per scoprire come comunicare con gli alieni chiusi nel monolite kubrickiano. Mentre dal mondo tutti si preparano a combatterli, la missione contro il tempo è parlarsi. Virtuoso della suspense, eclettico nella regia, scelto da Ridley Scott per il sequel di
“Biade Runner”, dal romanzo di Ted Chiang Villenueve crea un apparato di “incontri ravvicinati” quasi da B-movie intorno a un solo quesito, in fondo assai noto ai filosofi del linguaggio: se è il nostro italiano o il nostro inglese che determina anche il nostro modo di pensare, esiste una lingua capace di mutarci? Avvincente il percorso, riuscite certe invenzioni scenografiche “povere”, forse inevitabilmente un po’ ridicolo l’alieno poliposo in trasparenza, sta nella scia della cosiddetta fantascienza umanistica, da Spielberg a Nolan.
Silvio Danese
Titolo originale: Arrival
Conosciuto anche come: Story of Your Life
Nazione: U.S.A.
Anno: 2016
Genere: Fantacienza
Durata: 116′
Regia: Denis Villeneuve
Cast: Amy Adams, Jeremy Renner, Forest Whitaker, Michael Stuhlbarg, Tzi Ma, Mark O’Brien, Nathaly Thibault, Julian Casey