di Mario Ughi
Angela rientra a casa con la schiena a pezzi. Persino attraversare il ponte dell’Angiolo è una fatica. Rallenta il passo. Man mano che si avvicina al portone, più forte prova il desiderio di fuggire via. O almeno rimandare. Ciò che la piega, più della stanchezza, è la disperazione. Forse non è la parola giusta.
Rassegnazione.
Angela ha bene in mente i rituali da compiere prima di giungere al precario oblio che la attende in camera da letto, quando finalmente potrà distendersi sul materasso e abbandonarsi al sonno inquieto che per poche ore la separerà da un nuovo giorno, fatto di scale da pulire e pianti da reprimere. Non sa più quale sia il suo vero lavoro: se pulire interminabili serie di gradini o cancellare le lacrime che le salgono agli occhi.
Supera l’ingresso di casa e continua a camminare, come in cerca di un approdo, ma non c’è niente di nuovo.
Le strade sempre uguali, i palazzi sempre uguali. Le stesse vetrine, le stesse facce, da secoli.
Il mondo intorno sembra voler evidenziare il tedio provocato dal suo passaggio in quei luoghi. La presenza del mare, poco lontano, non riesce più ad attenuare lo sconforto e la noia. Il sottofondo dei suoni e delle voci di quella città è ormai tanto abituale da essersi trasformato in silenzio.
E nel silenzio lei vaga per le vie, tra le prime ombre della sera, al solo scopo di rimandare il ritorno a casa. Un giorno come troppi. Il vento freddo a tratti si incarica di ricordarle che è ancora viva, ma è un pensiero presto accantonato. Lentamente si avvicina a un incrocio; si ferma sull’angolo del palazzo al suo fianco. Dietro l’angolo non troverà nessuna sorpresa, questo lo ha bene impresso in mente. In ogni sua più piccola cellula, l’intero universo è costruito sopra questo desolante concetto: nessuna sorpresa, mai più.
Di fronte a lei, le luci di un bar. Si avvicina per guardare attraverso la vetrina: forse suo fratello Emilio ancora si attarda a scambiare battute con gli amici. Potrebbe entrare, ordinare un caffè, sedersi un attimo e parlare di qualcosa che non sia fatica e buio. Ma non lo vede.
Emilio. Sorride. Starà di certo passeggiando sugli scali del Pontino, in cerca di un posto barca che non riuscirà mai a comprare. Quanti gliene sono sfilati sotto il naso? Una marea. Uno più bello dell’altro, a suo dire.
Uno in particolare, tempo addietro, lo ha fatto smaniare parecchio. Un posto barca e insieme una fantastica Gabbianella attrezzata di tutto punto, a un prezzo incredibilmente basso. Ci tornava la notte, a guardarselo. Finché non hanno tolto il cartello. E qualcosa nei suoi occhi si è spento. O affievolito. O cancellato.
Se non fosse per Emilio, la sua vita sarebbe ancora più difficile. E’ lui che ogni mattina va a fare la spesa, e poi pulisce casa, e poi prepara il pranzo alla mamma. Il pranzo… certo, non arriva più in là di un piatto di spaghetti condito con un sugo pronto in barattolo, ma è già tanto. E Angela la sera cerca di ricompensarlo, nonostante la stanchezza, preparandogli per cena qualcosa di buono. E’ felice di vederlo sedersi a tavola sorridente. A lui piace la sua cucina. E’ già qualcosa.
A volte si immagina in una casa tutta sua, a cucinare per l’uomo che si è scelto come marito, una figura che neanche riesce a immaginare. Ma cucina per lui, poi escono a fare due passi sul lungomare, oppure vanno al porto turistico ad ammirare le grandi navi da crociera, sognando, anzi preparando il loro splendido viaggio. La sera, dopo cena, lui la trascina con dolcezza sul letto per riempirla di baci, e qualcos’altro.
Angela volta le spalle alla vetrina del bar, torna lentamente suoi propri passi. Chissà dove si trova adesso quel cazzone che avrebbe dovuto essere suo marito. Forse non è mai nato.
Di fronte al portone, con le chiavi in mano.
Ha dei compiti da assolvere, ed è già molto tardi.
Deve sollevare sua madre dalla lucente sedia a rotelle, per deporla con gentilezza sulla tazza del cesso. Lei la sta aspettando. E’ un’operazione che compiono da così tanto tempo che i suoi bisogni sono regolati come da un orologio. A volte, quando il lavoro la costringe a tardare, torna a casa di corsa, con la paura di trovarla che se l’è fatta addosso. Ma lei afferma che non esiste quel pericolo. Mangia così poco, che le sue feci sono secche come quelle di una capra.
Poi dovrà lavarla, e questa è l’incombenza davvero penosa. Ogni giorno la scopre più vecchia. Si perde tra le rughe del suo corpo, domandandosi con tristezza quante sono quelle recenti, e quante ancora quella minuta figura potrà ospitarne.
Alla fine siede al tavolo di cucina, e accende una sigaretta. Fuma lentamente, cercando di evitare quegli occhi che scintillando la guardano in un silenzioso ringraziamento.
Quando gli occhi di sua madre le premono sulla pelle con eccessiva, dolorosa insistenza, Angela si alza a preparare la cena. Ogni tanto getta uno sguardo attraverso i vetri della finestra vicina al lavello, in attesa di scorgere, oltre l’angolo della via, la figura dinoccolata e in qualche modo ancora non del tutto piegata e sconfitta di Emilio. Ceneranno insieme, come sempre, facendo gara a sfottersi nel loro particolare e tenero modo. Persino la mamma proverà a sorridere. Finché la stanchezza, di nuovo, prenderà il sopravvento.
Addormentarsi davanti alla televisione, con la rassicurante presenza di suo fratello a fianco, è quasi una consolazione.
Storie collegate: Emilio.
Tratto da: Livorno – Cronache immaginarie
Mario Ughi
Collegando questo racconto con quello di “Emilio” lo si gusta di più. Si soffre di più. Noi sappiamo di Emilio, della sua gabbianella e della sua probabile fuga. Chi farà compagnia ad Angela stasera?
Una storia come tante, mondi appena abbozzati che si schiudono senza far rumore, o si indovinano, accompagnando con gli occhi una figura che diviene personaggio ed emblema di una serie di storie simili.
E questa volta Mario Ughi incide mirabilmente sulla carta la storia possibile di un silenzioso e quotidiano eroismo. Lo fa con voce calma e piana, senza enfasi, con rispetto.
Enzo Maria Lombardo